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L’inclusione si sperimenta in cucina #finsubito prestito immediato


Nella Milano in cui interi quartieri cambiano volto nell’arco di pochi mesi, diventando visibilmente più belli ma anche incredibilmente più elitari, quando si varca la soglia di Cascina Biblioteca sembra di entrare in un’altra dimensione. Si respira un’atmosfera fuori dal tempo: niente angoli volutamente allestiti a favore di Instagram, la spontaneità di chi accoglie i nuovi arrivati con un sorriso senza fronzoli.

Cascina Biblioteca è una delle varie strutture che testimoniano la passata vocazione agricola del territorio. Edificata intorno al 1200, nei secoli attraversa tante vite, passando nelle mani di Federico Borromeo, poi della Biblioteca Ambrosiana e infine del Comune che, negli anni Sessanta, la salva dall’abbandono e dal degrado. Una volta ristrutturati gli spazi, l’amministrazione li affitta in parte ad ANFFAS, Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e relazionale. Ed è qui che questo spazio poliedrico, ancora organizzato attorno all’antica corte agricola, assume la sua nuova anima.

I progetti di inserimento lavorativo del Consorzio SIR

Negli anni, i primi progetti che coinvolgono persone con disabilità diventano man mano più solidi e strutturati. La rete di organizzazioni che li gestiscono si amplia e accoglie – tra gli altri – anche il Consorzio SIR – Solidarietà in rete che, proprio alla Cascina Biblioteca, insedia il suo Centro di formazione professionale, rivolto sia a ragazzi e ragazze in uscita dalla scuola secondaria di primo grado, sia a giovani con disabilità. Ed è per questo che siamo qui, accolti dal sole luminoso e dal freddo pungente del 3 dicembre, Giornata internazionale delle persone con disabilità.

«L’inclusione si fa, non si racconta. Noi crediamo che, attraverso il lavoro e la formazione, le persone disabili possano avere un ruolo nella società», afferma sicuro Salvatore Semeraro, presidente del Consorzio SIR. La Trattoria Solidale di Cascina Biblioteca, che ci ospita, ne è un esempio. Dal lunedì al venerdì è un laboratorio per gli allievi del Centro di formazione professionale, guidati da docenti-chef. Nel fine settimana è un ristorante aperto al pubblico in cui le persone che hanno terminato il ciclo scolastico lavorano sia in cucina sia in sala, assunte con regolare contratto. «Ma non vogliamo che restino qui: devono avere le competenze per lavorare in qualsiasi altro locale», chiarisce Semeraro.

Disabilità e lavoro, due mondi spesso ancora distanti

Stando ai dati dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), in Italia vivono 3 milioni e 150mila persone con disabilità, tra cui quasi un milione e mezzo di over 75. Circa 300mila gli studenti che frequentano le scuole. Guardando solo alla popolazione dai 15 anni in su, il 2% ha gravi limitazioni alla vista, il 4,1% all’udito e il 7,2% alla deambulazione. Poi ci sono la disabilità intellettiva e il disturbo dello spettro autistico che, secondo le stime dell’Istituto superiore di sanità, riguardano circa il 2% della popolazione.

In media, le famiglie delle persone disabili hanno un reddito leggermente più basso (per la precisione, è inferiore del 7,8% a quello nazionale) e tendono ad affidarsi a reti informali di amici, parenti e vicini per sbrigare piccole e grandi incombenze domestiche, burocratiche e sanitarie (capita nel 34,2% delle famiglie, il doppio rispetto al dato nazionale).

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Come risollevarsi da questa situazione di vulnerabilità? Con il lavoro, innanzitutto. La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata anche dall’Italia con la legge 18 del 2009, nell’articolo 27 sancisce il «diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità». Nonostante in Italia esista un apparato normativo ad hoc, ritenuto anche piuttosto lungimirante, i dati dicono che nel 2019, nella fascia di età 15-64 anni, aveva un impiego solo il 32,2% delle persone con limitazioni gravi. Contro il 59,8% delle altre.

Il protocollo d’intesa tra Consorzio SIR e Gruppo Felsineo

È qui che la storia del Consorzio SIR si incontra con quella del Gruppo Felsineo. Forte di una tradizione lunga oltre sessant’anni nella produzione di mortadella, la società benefit bolognese nel 2016 ha inaugurato anche FelsineoVeg, una nuova azienda specializzata nelle alternative vegetali agli affettati.

Alla Trattoria Solidale, Salvatore Semeraro del Consorzio SIR e l’amministratrice delegata del gruppo Felsineo, Emanuela Raimondi, hanno firmato il protocollo d’intesa che li vedrà fianco a fianco per progettare un’esperienza educativa completa, articolata su masterclass e percorsi didattici pratici in azienda. L’obiettivo è quello di dare agli utenti gli strumenti per sviluppare le proprie abilità e perfezionare la propria professionalità. Anche con un focus sulla corretta nutrizione, tema su cui si impernia l’hub di educazione alimentare del Gruppo Felsineo, chiamato Open Food Factory.

Per il Consorzio SIR non è il primo accordo di questo tipo. «Abbiamo attivato varie masterclass con le imprese, per diversificare le attività e dunque allargare le competenze», spiega Semeraro. «Portare le aziende nelle scuole è fondamentale. Chi arriva nelle nostre strutture ha un progetto di vita e noi ne siamo i custodi».

36 ricette tra fantasia, gusto e diversità

Nemmeno per il Gruppo Felsineo è un progetto isolato. Lo dimostra il fatto che, sempre nella stessa occasione, ne abbia presentato un altro. Differente, ma mosso dallo stesso spirito. È “Bontà chiama bontà”, il libro di ricette realizzato insieme ai ragazzi del Centro ANFFAS di Modiano, una struttura diurna socio-riabilitativa per persone con disabilità fisica e cognitiva che ha sede a Sasso Marconi e ha da poco tagliato il traguardo dei quarant’anni di storia.

«Nel 2020 abbiamo iniziato un percorso strutturato di sostenibilità», racconta Raimondi. «Conoscevamo il Centro Modiano e abbiamo voluto organizzare con i ragazzi il laboratorio Fantasia e buona cucina. Le ricette nascono proprio da loro: il primo anno è stato tutto dedicato al gusto, dando risalto ai loro ingredienti preferiti; dopodiché, sono passati alle ricette che prendono spunto dai piatti tipici dei loro paesi d’origine».

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Sfogliando le pagine del volume ci si imbatte negli altri protagonisti di questa storia, gli studenti e le studentesse dell’Istituto Alberghiero Luigi Veronelli, che si trova sempre in provincia di Bologna, a Casalecchio di Reno. Sono loro gli autori delle proposte gastronomiche che puntano sulla stagionalità e sulla prossimità degli ingredienti. E, cosa altrettanto importante, del profilo nutrizionale a corredo di ciascuna delle 36 ricette: un caposaldo del programma didattico.

Il libro contiene 36 ricette realizzate da ragazzi e ragazze dell’Istituto Alberghiero Luigi Veronelli e del Centro Modiano © Gruppo Felsineo

La scuola come laboratorio di inclusione

Lo precisa il professor Simone Fogacci, raccontando anche che «gli studenti sono molto diversi tra loro. C’è chi punta a diplomarsi per avere un reddito il prima possibile e chi intende proseguire gli studi». E ci sono anche circa trecento studenti con disabilità, bisogni educativi speciali e svantaggio linguistico, aggiunge la dirigente scolastica Rosalba de Vivo. «È una scuola che mette insieme diverse anime: la didattica laboratoriale lo permette», continua Fogacci. «Anche nella redazione di questo libro, ci sono stati lavori più semplici e altri più complessi, ma sono tutti ugualmente importanti e al risultato finale si arriva insieme. L’educazione civica parte da qui. Non c’è nulla di più “civico” che andare al Centro Modiano a fare le ricette».

Perché l’inclusione, quella vera, è proprio questo. Non va confusa con l’assistenza, che pure è necessaria per rispondere a specifiche esigenze, ma è unidirezionale e non incide sul contesto circostante. Si può parlare autenticamente di inclusione quando si creano le condizioni giuste affinché ciascuno, con la sua identità e le sue caratteristiche, possa partecipare alla vita della società. «La frase da cui parto sempre è quella di un padre che disse alla maestra che considerava suo figlio incapace di apprendere: “Se non impara… insegna”», conclude Beatrice Beni, coordinatrice del Centro Modiano. «Lavorare con le persone con disabilità insegna ad ascoltare, a sorprendersi e a comprendere nuovi modi di relazionarsi».


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