Il processo per l’inchiesta ‘Ambiente svenduto’ sulle emissioni velenose dell’ex Ilva dovrà essere celebrato a Potenza, ripartendo dal primo grado, o proseguire in appello a Taranto? E’ la decisione che dovrà prendere la Cassazione, che martedì 17 dicembre è chiamata a risolvere il conflitto di competenza sollevato dalle parti civili e dal Codacons dopo l’annullamento della sentenza della Corte d’assise di Taranto per gli imputati coinvolti nell’inchiesta. Una decisione che ha portato all’azzeramento del processo e al suo trasferimento al Tribunale di Potenza, perché due giudici onorari tarantini (in servizio all’epoca dei fatti) sono tra le oltre mille parti civili nel processo.
I Riva stanno inoltre notificando, riferisce il Codacons, i alle parti civili “un decreto ingiuntivo” con cui chiedono la restituzione delle provvisionali esecutive liquidate dalla sentenza di primo grado, annullata dai giudici dell’appello. “Oltre al danno, quindi, anche la beffa”, commenta l’associazione. Il processo di primo grado si era concluso il 31 maggio del 2021 con 26 condanne nei confronti di dirigenti della fabbrica, manager e politici. Le più gravi, a 22 anni e 20 anni di reclusione, per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva. Sentenza annullata in appello il 13 settembre scorso. La richiesta della difesa di trasferire il processo a Potenza era stata respinta in precedenza perché, spiegano i giudici d’appello, la Corte di primo grado aveva fatto riferimento alla circostanza che, al momento della costituzione come parte offesa nel processo nel 2016, i due magistrati avevano già dismesso le funzioni esercitate in quel distretto. Secondo la Corte d’assise d’appello, invece, “ciò che conta è la qualifica soggettiva al momento del fatto”, e cioè che i magistrati fossero in servizio quando sono stati commessi i reati contestati.
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