È uno scienziato e ragiona partendo dagli elementi e nel dibattito sulla dimensione universitaria della città di Novara ne manca uno: «Che cosa pensano i ragazzi?». Il neo rettore dell’Università del Piemonte orientale Menico Rizzi sgombra il campo anche da un’altra questione legata alle attività per gli studenti e alla loro partecipazione: «Non è una situazione specifica di Novara e dell’Upo».
L’università è un attore importante per Novara che però si chiede se sia diventata una città per gli universitari: che cosa ne pensa?
«Credo che sia un tema importante e vada affrontato con un grosso sforzo di riflessione per così dire “generazionale”. Dobbiamo cioè chiederci innanzitutto se quello che noi abbiamo in mente come attività interessanti per i ragazzi (e che lo erano quando noi eravamo studenti) lo siano oggi».
Quindi da dove si può partire in questa valutazione?
«Ragionando da scienziato, partiamo dagli elementi concreti e quello che manca è l’opinione degli studenti. Che cosa interessa a loro? Bisogna capirlo, quindi penso a un’indagine che prenda le mosse dai rappresentanti e si allarghi a tutti gli iscritti Upo. Lo sport è un’attività che non passa di moda e credo che investimenti in questo senso siano utili ma quando si arriva all’ambito della cultura i termini sono più complicati e vanno indagati».
Quali sono gli elementi che invece ci sono?
«Va riconosciuto che è stato fatto un grosso sforzo dell’amministrazione comunale e dell’ateneo per aumentare l’offerta di residenze, un fattore importante. Un altro elemento riguarda la provenienza degli studenti che si trasferiscono a Novara: quest’anno le matricole a Medical biotechnologies sono 190 e arrivano da 23 Paesi del mondo. Dobbiamo tenere presente anche questo».
Il problema del legame tra città e studenti riguarda in particolare Novara?
«No ed è un altro aspetto che mi preme sottolineare. Non bisogna ragionare come se la situazione fosse specifica di Novara o dell’Upo. A parte le sedi storiche di atenei come Pisa e Pavia, non vedo differenze rispetto a noi da parte di realtà quali Brescia o Verona. Al di là di un investimento forte sulla residenzialità degli studenti, che va riconosciuto al ministero, credo che una riflessione su cosa sia l’università nel terzo millennio non sia mai stata fatta».
Una volta avuta la risposta dagli studenti sui loro interessi, come ci si può muovere?
«Va definito un piano condiviso con loro delle attività che si possono mettere in cantiere, bilanciando quanto richiesto e quanto è possibile fare. L’università è disponibile a collaborare con tutte le forze sociali».
In questi anni trova che Novara sia cambiata?
«Io ho cominciato ad abitare qui nel 2007 e da allora ho visto l’offerta culturale cresciuta enormemente, da parte della città e dell’ateneo. Da rettore dovrei presenziare a tutti gli eventi che Upo organizza ma non riesco…»
E gli studenti partecipano? Ad esempio c’erano all’incontro sui premi Nobel?
«Per restare all’esempio dico di sì ma non quanto ci saremmo aspettati. Infatti oltre al quesito sui contenuti c’è anche un’altra domanda da porre agli studenti: noi comunichiamo gli eventi organizzati ma queste informazioni arrivano a loro?».
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