Si discute delle modalità concrete di attuazione della compensazione di crediti IVA e della perimetrazione dei limiti del plafond disponibile in capo al contribuente.
La compensazione di un credito d’imposta superiore al limite massimo previsto dalla legge equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, sicché si applica la sanzione prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti (Cass. ord. 17 aprile 2019, n. 10708).
L’art. 34 della legge n. 388/2000, sancendo un limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi compensabili, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, per i soggetti intestatari di conto fiscale, ha inteso introdurre per ogni periodo d’imposta un limite invalicabile alla compensazione di crediti IVA e debiti relativi ad altre imposte, per non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale (Cass. ord. 1° dicembre 2022, n. 35385). Inoltre, la violazione del superamento del plafond annuale compensabile non è meramente formale, in quanto non rispondente ai due concorrenti requisiti di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle operazioni di controllo e, al contempo, di non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. sent. 22 ottobre 2014, n. 22430).
L’innalzamento della soglia per la compensazione dei crediti IVA ha determinato una riduzione della condotta rilevante ai fini dell’applicazione della sanzione ex art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, che risulta circoscritta all’omesso versamento di importi eccedenti il più elevato tetto, con conseguente applicazione, ai processi ancora in corso, del regime sanzionatorio più favorevole per il contribuente, in ossequio al principio del “favor rei” di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997 (Cass. ord. 30 giugno 2021, n. 18367).
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