FIRENZE – Il pubblico che domenica 22 dicembre è rimasto incollato alla televisione per comprendere al meglio quanto Report aveva da dire sull’inchiesta “Vino su misura” si è diviso in due fazioni. Ci sono coloro che si sono scagliati a gamba tesa contro i produttori toscani e chi, invece, è rimasto con qualche dubbio.
Il senso, forse, era proprio questo, far scattare quella scintilla necessaria a porsi delle domande. E i primi quesiti riguardano proprio le etichette dei vini citate durante la puntata. “Integralmente prodotto” o “imbottigliato all’origine” sono le diciture che indicano che l’azienda si occupa della totalità delle operazioni di produzione, coltivazione, vinificazione e imbottigliamento e che garantisce l’autenticità del prodotto.
A tal proposito Monica Raspi di Fattoria Pomona di Castellina in Chianti (Siena), a Virtù Quotidiane afferma come “il commercio di vino sfuso in Italia è sempre stato importante e incoraggiato. Quindi se una retro-etichetta dice che il prodotto è ‘Imbottigliato all’origine’ oppure ‘Prodotto e imbottigliato da’, vuol dire che come minimo il 51% di quel vino proviene dall’azienda”.
“È nell’imprecisione della legge che si insinuano talvolta gli illeciti, che saranno oggetto di indagine da parte dell’autorità designata”, rileva la produttrice. “Se lo Stato ti permette di scrivere ‘Prodotto e imbottigliato da’, quando sei autorizzato ad acquistare fino al 49% di vino da un commerciante, il problema è nella dicitura, ma è tutto autorizzato e possibile”.
“Il problema è che Report non fornisce le informazioni giuste, l’unica certezza di bere un vino prodotto dal viticoltore (in questo caso più corretto chiamarlo vignaiolo) è quello con la retro-etichetta con dicitura ‘Integralmente prodotto’. I controlli per fortuna ci sono. È la legge che ha le maniche molto larghe e la gente non sufficientemente informata”.
Altro parere giunge da Giorgio Meletti Cavallari dell’omonima cantina di Castagneto Carducci (Livorno): “La trasmissione ha preso i dati in maniera superficiale e andando troppo indietro nel tempo”, dice. “La vendita del vino sfuso è legale, ma la trasmissione la rende sbagliata”.
Cavallari tiene a precisare che non si parla di Doc Bolgheri nell’inchiesta, ma visto che si è soliti a generalizzare, è sempre meglio specificare. “Ornellaia e Tenuta San Guido sono le prime che durante visite e degustazioni dicono che hanno dei prodotti primari, e che hanno anche l’Igt Toscana, con disciplinare e regole differenti”, ragiona il produttore. “In questo caso, se uno volesse, potrebbe migliorare il prodotto inserendo una percentuale di vino proveniente dai territori indicati, senza infrangere nessuna legge”.
Ci si ricongiunge alle parole di Cesare Cecchi, presidente del Consorzio Toscana Igt, sostenitore del fatto che, se acquista un vino da un produttore toscano si trova nelle condizioni di fidarsi della reale provenienza locale del prodotto, senza temere di essere un fuorilegge.
Tutti tecnicismi e dati da addetti ai lavori, ma il consumatore chi lo tutela? Sempre Meletti Cavallari si schiera contro le modalità di strumentalizzazione e divulgazione di fatti utilizzate dalla trasmissione di Rai 3: “La qualità dei nostri vini non si discute. Nel caso di contraffazione, un consumatore esperto riconosce subito la frode”.
E il consumatore comune? “Il consumatore ‘comune’ è comune, può giudicare solo se il prodotto è buono o meno. Non è solito bere questo tipo di vino”. Un modo un po’ brutale che sminuisce il consumatore comune, ormai non più solo confuso, ma che serve a far ben intendere il valore dei vini toscani.
“Trasmissioni di questo tipo prendono spot registrati in momenti differenti e li uniscono. Non contano però le leggi, i disciplinari e i tecnicismi. In tutto questo non trovo niente di professionale”.
La Toscana del vino si è schierata contro l’indagine del vino su misura. Cattiverie gratuite senza fondamenta tecniche o strade per mettere in discussione e rivalutare il settore?
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