Il Natale silenzioso di Betlemme, luce nel buio del mondo in guerra

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Non ci sono i fiumi di pellegrini, mancano i turisti, mancano le decorazioni. Non manca, però, il Natale a Betlemme, dove tutto ha avuto inizio, là dove oltre 2mila anni fa la Vergine Maria mise al mondo Gesù. Il patriarca dei Latini di Gerusalemme, Pierluigi Pizzaballa, dopo aver fatto tappa nella Striscia di Gaza di fronte ai mille cristiani ivi residenti, si è recato nell’altra parte della Palestina, in Cisgiordania, entrando a Betlemme per dare il via, con la tradizionale processione della vigilia, ai riti del Natale che avranno il loro culmine nella messa di Mezzanotte nella Chiesa di Santa Caterina.

Il cardinale bergamasco è l’alfiere della Chiesa cattolica che non lascia, assieme alle altre confessioni cristiane, la Terrasanta nei giorni della Natività. Ora più che mai, nel secondo Natale funestato dalla guerra che arde in Medio Oriente dal tragico 7 ottobre 2023, giorno degli attentati di Hamas in Israele, il senso del Natale è spirituale, umano, sociale, financo politico: abbiamo visto nelle scorse settimane la kefiah messa attorno al Bambinello nel presepe romano suscitare polemiche, oggi idealmente è difficile non dare un significato più profondo al Natale che i pochi cristiani di Palestina celebreranno nel silenzio.

Gesù è ancora a Betlemme, o a Gaza

Viene quasi da pensare che probabilmente Gesù, se fosse nato nei giorni nostri, sceglierebbe di venire al mondo nuovamente qui: a Betlemme, o magari perfino a Gaza, dove tanti bambini neonati, tante famiglie, tante persone incamminate in un pellegrinaggio di paura e tensione si sono trovati vittime dei bombardamenti in questo ultimo, terribile, periodo di quasi 15 mesi.

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“Martedì le forze di sicurezza palestinesi si sono schierate attorno alla Chiesa della Natività nella città santa di Betlemme, mentre i fedeli si preparavano a un altro solenne Natale offuscato dalla guerra a Gaza”, ha riportato New Delhi Television, rete indiana tra le poche a documentare le festività in sordina del villaggio nativo di Gesù. Ndtv nel suo reportage segnala che “una calma insolita avvolgeva Piazza della Mangiatoia, il cuore della città palestinese dominata dalla venerata chiesa”. Anton Salman, sindaco di Betlemme, ha rinunciato a esporre nuovamente l’albero di Natale tradizionalmente posto dalla città nella piazza: “Vogliamo concentrarci sulla realtà palestinese e mostrare al mondo che la Palestina soffre ancora a causa dell’occupazione israeliana, soffre ancora per l’ingiustizia”, ha detto il sindaco.

Il Natale c’è ma non si vede. E forse per questo richiama all’autenticità della celebrazione. Lo fa in un clima di tolleranza della maggioranza musulmana degli arabi di Palestina, che in passato erano soliti unirsi alla gioia della minoranza cristiana quando a Natale Betlemme si riempiva di pellegrini; lo fa, soprattutto, contro ogni logica brutale di scontro di civiltà. Sarà un Natale che farà proseguire l’avvento, il tempo dell’attesa. Lo sarà per molti cristiani, in Terrasanta e non solo. In Siria il governo targato Hay’at Tahrir al-Sham ha dichiarato che non cambierà la tradizione dell’era Assad che vedeva il Natale e Santo Stefano festività nazionali in rispetto alla minoranza cristiana.

Uffici chiusi nella Siria post-dittatura nella giornata del 25 e del 26 dicembre: questo non toglie che nel nuovo Paese sarà un Natale di attesa e precarietà per chi, come gli aderenti alla Chiesa armena, greca e siriaca, temono le derive del gruppo di Abu Mohammad al-Jolani e degli altri ex ribelli. Anche qui, però, nonostante tutto il Natale c’è. Ed è forse questo il messaggio più forte della festa che simboleggia, per i cristiani, il ritorno della luce nel mondo.

La grotta di Betlemme e la luce di Natale

Nel mondo che sembra camminare con forza verso l’abisso delle rivalità e delle conflittualità il Natale può esistere come alle origini: dentro la grotta di Betlemme, attraverso le celebrazioni che guiderà Pizzaballa in diretto contatto con Roma, dove Papa Francesco non fa mancare il suo pensiero, la sua preghiera e la sua azione concreta a sostegno degli indigenti palestinesi. E idealmente questo Natale può mandare un messaggio dirompente, accendendo una luce metaforica su quegli scenari di guerra e conflittualità dove sarà un giorno di sofferenza: sull’Ucraina, ovviamente, ma anche sul Sudan, il Myanmar e gli altri Paesi dove divampano guerre e conflitti civili.

Il Natale come un Sole è anche l’immagine che nel 1960 Joseph Ratzinger, allora giovane teologo dell’Università di Bonn, propose in uno scritto dedicato alla natività. Ne “Il Sole a Natale” Ratzinger ricordava che “noi abbiamo paura del buio che proviene dagli uomini; scoprendo solo così quella vera oscurità che, in questo secolo di disumanità, abbiamo sperimentato più spaventosamente di quanto le generazioni che ci hanno preceduto avrebbero mai potuto immaginare”.

Il futuro Papa Benedetto XVI scriveva poi che “abbiamo paura che il bene nel mondo divenga impotente, che non abbia più senso scegliere la verità, la purezza, la giustizia, l’amore, perché ormai nel mondo vale la legge di chi meglio sa farsi strada a gomitate”. E forse per questo è bene ricordare il Natale come simbolo del ritorno della Luceche “non morirà, ma ha già in pugno la vittoria finale”. Oggi più che mai, parole che danno speranza e invitano, contra mundo, a non vedere solo nel silenzio di Betlemme il simbolo dell’ingiustizia dominante. Ma una prova, decisiva e netta, per la giustizia che dovrà sorgere un domani. Grazie anche alla testimonianza di chi il Natale oggi, così come la vita di tutti i giorni nel resto dell’anno, non smette mai di celebrarlo.

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