Mentre Xi Jinping entra nel suo secondo decennio al potere, un coro crescente di voci, sia all’interno che all’esterno della Cina, mette in discussione la traiettoria della seconda economia mondiale.
Quello che un tempo era stato annunciato come un inarrestabile gigante economico si trova ora ad affrontare venti contrari, portando alcuni a definire gli ultimi dieci anni come un “decennio perduto” di opportunità mancate e rischi crescenti. Il Wall Street Journal ne ha fatto un interessante articolo.
Sotto la guida di Xi, la crescita della Cina, inizialmente impressionante, è stata alimentata da un potente cocktail di prestiti insostenibili, speculazioni immobiliari dilaganti e massicci investimenti in infrastrutture, alcuni dei quali non realmente necessari al Paese.
Le riforme economiche cruciali che avrebbero potuto sbloccare una crescita più duratura, come le misure per stimolare i consumi interni, sono state costantemente messe da parte a favore di politiche che hanno solidificato la presa del potere del Partito Comunista. La deflazione strisciante è stata sottovalutata, e allo stesso modo non è stata colta, se non molto recentemente, la necessità di sviluppare la domanda interna.
Ora il conto sta per arrivare. La Cina è alle prese con una montagna di debiti, un crollo del mercato immobiliare che ha spazzato via trilioni di dollari di ricchezza delle famiglie e la minaccia incombente di una spirale deflazionistica. La crescita economica è rallentata drasticamente, gli investimenti occidentali sono crollati e la fiducia dei consumatori langue vicino ai minimi storici.
Tuttavia, anche se la Cina si prepara a una potenziale seconda prova di forza commerciale con gli Stati Uniti, Xi rimane fermo nel suo approccio. È convinto che il suo modello economico top-down, guidato dallo Stato e incentrato sulla costruzione di una base industriale ancora più potente, sia la strada migliore per consentire alla Cina di superare gli Stati Uniti in termini di potenza economica.
“Xi è ancora convinto che l’Oriente sia in ascesa e l’Occidente in declino”, ha dichiarato un consulente di politica estera a Pechino, riferendosi a una dichiarazione fatta dal leader tre anni fa. “Potrebbe non essere una linea retta, secondo lui”.
Facendo un parallelo si trova nell’euforia della germnai del 2015: l’industria tira, il surplus di bilancia commerciale va bene, anzi perfino meglio. L’energia è perfino un po’ più conveniente, con le forniture di gas russo e di petrolio iraniano e russo. Che può andare storto? Eppure proprio il modello puro export rischia di essere la base della crisi.
Un decennio di opportunità mancate
I critici sostengono che il mandato di Xi sia stato caratterizzato da una serie di occasioni mancate per affrontare gli squilibri fondamentali dell’economia cinese. La leadership ha lasciato che una massiccia bolla immobiliare si gonfiasse per anni, nonostante i chiari avvertimenti sul surriscaldamento.
Sebbene Xi si sia finalmente mosso per arginare la bolla nel 2020, manca ancora un piano globale per ripulire la situazione, lasciando decine di milioni di unità abitative vuote e il mercato in un crollo prolungato. Soprattutto manca un piano serio per far rientrare la crisi, a parte una serie di misure, comunque non generali, per riacquistare immobili invenduti.
Allo stesso modo, alle amministrazioni locali è stato permesso di accumulare un debito fuori bilancio di ben 11.000 miliardi di dollari, finanziando ambiziosi progetti infrastrutturali, molti dei quali economicamente impraticabili. Questa corsa all’indebitamento ha creato un’illusione di crescita a breve termine, ma ha reso la Cina vulnerabile all’instabilità finanziaria.
L’aspetto forse più cruciale è che l’amministrazione di Xi ha costantemente trascurato le riforme che potrebbero stimolare i consumi interni, un motore fondamentale per una crescita sostenibile.
I consumi delle famiglie cinesi rimangono ostinatamente bassi, pari a circa il 39% del PIL, rispetto al 68% circa degli Stati Uniti. Gli esperti sostengono che per incoraggiare le persone a spendere di più sarebbe necessario espandere la rete di sicurezza sociale cinese, relativamente esigua. Tuttavia, Xi considera il consumo all’americana come uno spreco e teme che un sostegno eccessivo da parte dello Stato possa portare all’“assistenzialismo”.
La scommessa industriale di Xi
Invece di affrontare queste questioni fondamentali, Xi ha raddoppiato la politica industriale a guida statale, riversando risorse in settori come i semiconduttori e i veicoli elettrici. Il suo obiettivo è creare una catena di approvvigionamento industriale autosufficiente, riducendo la dipendenza della Cina dalla tecnologia occidentale e preparandosi a potenziali conflitti futuri con gli Stati Uniti.
Questa strategia ha comportato un giro di vite sul settore privato, apparentemente mirato a frenare “l’assunzione di rischi irrazionali”, ma che in definitiva soffoca l’innovazione e lo spirito imprenditoriale. Il risultato è un’economia sempre più dominata dalle imprese statali, con una crescente sovraccapacità in settori come l’acciaio e i veicoli elettrici.
Nello stesso tempo però qualsiasi miglioramento di efficienza nel sistema industriale viene a creare un surplus produttivo che il mercato interno non assorbe e che, se va bene, si riversa in quello esterno. Ma questa è un’altra forma di dipendenza della Cina. L’efficienza, paradossalmente, rischia di rendere l’economia ancora più dipendente dall’esterno.
Una resa dei conti incombente?
Mentre gli Stati Uniti si preparano a una potenziale seconda presidenza Trump e alla prospettiva di nuove ostilità commerciali, alcuni economisti cinesi sperano cautamente che una nuova guerra commerciale possa finalmente costringere Xi a spostare l’attenzione dalla produzione alla responsabilizzazione dei consumatori.
Se Trump dovesse mantenere la promessa di imporre tariffe più alte, le esportazioni cinesi diminuirebbero inevitabilmente, costringendo Pechino a sostenere la domanda interna per tenere a galla l’economia.
Tuttavia, il panorama globale è cambiato in modo significativo dal primo mandato di Trump. Sia la Cina che gli Stati Uniti sono più radicati nelle loro posizioni e lo stile di leadership assertivo di Xi, unito alla sua fiducia in un team di fedelissimi con una limitata esperienza di politica economica, potrebbe ostacolare la capacità della Cina di affrontare efficacemente le sfide future. Egli continua a ignorare i rischi di deflazione.
Una corsa contro il tempo
Molti economisti ritengono che la Cina sia in una “corsa contro il tempo” per affrontare i crescenti problemi economici prima che questi portino a un prolungato periodo di stagnazione, aggravato da tendenze demografiche sfavorevoli.
I prossimi anni saranno cruciali per determinare se la Cina riuscirà a superare con successo queste sfide e a realizzare la sua ambizione di diventare la potenza economica dominante del mondo.
Come si è lamentato un lettore della Cina centrale, che ha perso il suo posto di dirigente in un’azienda occidentale e ora lavora come autista di ride-hailing: “Non è che non stia lavorando sodo per trovare un lavoro migliore. Semplicemente non ci sono opportunità”. La sua storia ci ricorda il costo umano del rallentamento dell’economia cinese e l’urgenza di trovare un nuovo percorso.
Resta da chiedersi se Xi Jinping sia disposto a cambiare rotta, o se la suaLa Cina afr scommessa sul controllo statale finirà per condurre la Cina su un sentiero di declino economico. La Cina, come tutti i sistemi a democrazia debole, si basano sul culto della personalità, e sugli Yesman (non che l’Italia sia diversa). Avrà Xi Jinping e la dirigenza cinese il coraggio di fare autocritica?
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