L’ombra di Al Qaeda su Bologna, operazione anti terrorismo: 5 misure cautelari

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Bologna, 24 dicembre 2024 – L’ombra di Al Qaeda sulla città di Bologna. Ombra che pare però dissipata dall’operazione dei carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) guidati a Bologna dal tenente colonnello Luca Latino e coordinati dal Dipartimento Antiterrorismo della Procura con i pm Stefano Dambruoso e Morena Plazzi, che, con il coordinamento della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, hanno messo in campo un’indagine che ha portato, stamattina all’alba, agli arresti di quattro dei cinque giovani di origine straniera residenti a Bologna, Milano, Udine e Perugia indagati, a vario titolo, di avere costituito o fatto parte di un’associazione terroristica dedita alla promozione, al consolidamento e al rafforzamento delle formazioni terroristiche globali di Al Qaeda e Stato Islamico. 

Piano sicurezza anti terrorismo, controlli dei carabinieri (foto d’archivio)

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Nelle prime ore di questa mattina, i militari del Ros e del Comando provinciale di Bologna guidato dal generale Ettore Bramato, hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Andrea Romito nei confronti dei cinque stranieri. Uno di questi però, un giovane marocchino (gli indagati, pur maggiorenni, hanno tutti meno di trent’anni) residente fino a poco tempo fa a Milano, è ancora ricercato: secondo gli inquirenti si trova infatti in Corno d’Africa, dove si sarebbe unito alle milizie jihadiste lì operanti.

L’INCHIESTA

L’attività è cominciata nel settembre 2023, partendo dall’azione di monitoraggio sui circuiti radicali di matrice jihadista per vagliare la diffusione di contenuti di propaganda attraverso la rete. Del resto, web e i social network sono ormai un formidabile strumento per avvicinare e fidelizzare giovani stranieri di seconda generazione o italiani in cerca di una chiara identità e che più di altri subiscono la fascinazione della retorica jihadista globale. Così, è balzata all’occhio degli inquirenti  la figura di una giovane pakistana, residente a Bologna con la famiglia, in zona  stazione-Bolognina. La ragazza, che non frequentava moschee né centri islamici ela cui famiglia è ben integrata sul territorio, era iscritta in un istituto superiore della città, ma dopo la pandemia ha improvvisamente abbandonato gli studi e iniziato a indossare velo e abiti rigorosamente osservanti dei dogmi della religione islamica. Iniziando nel contempo a mostrare comportamenti caratterizzati da particolare attivismo religioso, affiancati da un’incessante opera di proselitismo sul web e i social network. Quest’ultima in particolare ha acceso su di lei i fari di Dda e Ros. 

I PROTAGONISTI

Partendo dalla figura della giovane pakistana, i carabinieri hanno scoperto come la ventenne fosse stata in breve tempo in grado di coinvolgere un’altra giovane, di origine algerina e  cresciuta e residente a Spoleto: insieme, le due hanno formato un gruppo dedito alla propaganda e denominato “Da’wa”, che in arabo significa “chiamata” o invocazione ad abbracciare la “giusta” versione dell’Islam.  Gli ulteriori approfondimenti hanno permesso di identificare altri partecipi al sodalizio e di acquisire gravi indizi nei confronti di un giovane marocchino cresciuto a Milano, colui che ora si ritiene essersi unito alle milizie jihadiste in Corno d’Africa, e di un altro di origine turca, da molti anni residente a Monfalcone, tra Gorizia e Udine, dove peraltro risultava ben inserito nel tessuto socio-economico della zona. Il quinto indagato è il fratello minore, poco più che ventenne, della pakistana: si ipotizza nei suoi confronti l’avvio di un processo di radicalizzazione proprio sotto l’egida della sorella, e a suo carico l’Autorità Giudiziaria contesta l’ipotesi dell’addestramento finalizzato a un possibile arruolamento nell’ambito di organizzazioni terroristiche jihadiste.

Le persone coinvolte sono tutte giovanissime, tra i 19 e i 29 anni: per le ricostruzioni, nel loro percorso di radicalizzazione avrebbe avuto un ruolo centrale il periodo della pandemia di Covid-19, che, costringendoli a un isolamento forzato, ha facilitato per loro un rapido processo di radicalizzazione, amplificato dalla rete internet. Non solo: nessuno di loro pareva avere particolari legami con ambienti che potrebbero avere favorito un loro radicalizzarsi nel fervore religioso, né proveniva da contesti fragili o di emarginazione. Le loro famiglie sarebbero state ignare delle dinamiche che hanno portato i loro arresti. 

IL MODUS OPERANDI

Stando a quanto emerge dalle indagini, i giovani indagati (eccetto naturalmente i due fratelli) non si sarebbero mai incontrati di persona: la loro attività era esclusivamente online, avviata tramite un primo contatto sui canali social più diffusi e poi proseguita in maniera privata su sistemi di messaggistica criptati. 

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Per l’accusa, quattro di loro avrebbero appunto costituito l’associazione “Da’wa Italia” d’ispirazione salafita – jihadista  e declinata in chiave takfirista, per mezzo della quale promuovevano e miravano a consolidare e rafforzare le formazioni terroristiche di Al Qaeda e Stato Islamico. Attraverso la propaganda di contenuti jihadisti e al reclutamento di nuovi adepti alla causa, poi, il gruppo si è dimostrato pronto a raggiungere i territori controllati dalle milizie jihadiste in Africa e Siria, circostanza poi concretizzatasi per uno dei sodali. Intenzione che si sarebbe evoluta in maniera rapidissima e perciò ancor più preoccupante, e affiancata dall’obiettivo di ampliare il raggio d’azione verso nuovi soggetti (come appunto il fratello minore della principale indagata) e alla ricerca di contatti al di fuori del territorio italiano per poter raggiungere i territori controllati dalle milizie jihadiste.

IL QUADRO GENERALE

Nel programma e nelle vicende di questo gruppo si rinvengono alcuni punti cardine del movimento jihadista globale: il sempre maggiore ricorso ai giovani, spesso anche minorenni, che risultano particolarmente affascinati dalla propaganda e che in breve diventano a loro volta strumenti di diffusione del messaggio, oltre a risultare imprevedibili nel potenziale passaggio all’azione e quindi ancor più pericolosi; la proiezione verso il combattimento e a un contributo effettivo alla “causa” islamica, prendendo contatti e poi partendo verso i territori controllati dalle milizie jihadiste. E’ mancata nel caso specifico invece la raccolta di denaro per supportare tali milizie, raccolta che solitamente avviene sotto forma di fondi da destinare a famiglie in difficoltà in zone di guerra, in realtà volti a finanziare i combattenti.  



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