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A cura di Moroni Avv. Francesca e Gonnelli Dott. Filippo
La “questione ambientale” rappresenta senza dubbio una delle problematiche più rilevanti del nostro periodo storico: diritto, scienza ed economia si intrecciano in un contesto interdisciplinare dove la tutela dell’ambiente rappresenta una delle emergenze cruciali da cui dipende la salvaguardia del pianeta (unico e insostituibile habitat che ci ospita). Di conseguenza, le recenti politiche economiche “ambientaliste”, volte principalmente a sensibilizzare la società civile (istituzioni, cittadini, imprese…) al fine di mutare il modo di relazionarsi con la natura, devono necessariamente imporre la diffusione di un modello globale orientato su scelte sostenibili, nella consapevolezza che le misure adottate da una singola nazione o continente, senza coordinamento né cooperazione a livello internazionale, finirebbero per avere effetti limitati, se non addirittura nulli.
In tale contesto, si inserisce il meccanismo del CBAM, ricompreso all’interno del pacchetto di misure “Fit for 55%”[1] finalizzato all’attuazione del “Green Deal” europeo[2]: un ambizioso obiettivo (comunitario) per cui nel 2050 l’Europa non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e sarà in grado di sganciare la crescita economica dall’utilizzo di risorse. Tale obiettivo, ma ancor prima necessità ambientale, si abbina anche ad un aumento del gettito di entrate che sarà cruciale per una definitiva transizione sostenibile e improntata su un’equa distribuzione di responsabilità tra gli Stati membri. Per approfondire questo tema abbiamo organizzato il corso Percorso Sostenibilità ESG. Strumenti pratici per le professioni
1. Una considerazione introduttiva sulla questione ambientale
Nel panorama europeo ad oggi il concetto del “chi inquina paga”, ovvero una tassazione ambientale che ha lo scopo di “internalizzare” il costo delle esternalità sommandolo alle spese che il produttore deve sostenere di per sé, sembra essere recepito da ognuno in modalità diverse: significativo risulta essere il caso della Carbon Tax, ossia il metodo di attribuzione di un prezzo al carbonio; a tal proposito si evidenza come, essendo i governi a definire base imponibile ed aliquote, queste variano a seconda della giurisdizione a cui appartengono e, ad esempio, in Polonia e in Ucraina le aliquote si attestano rispettivamente intorno ai 0,07 e 0,25 Euro per tonnellata di emissioni, mentre in Svezia si registra l’aliquota di Carbon Tax più alta pari a 116,33 Euro per tonnellata.
Da questo quadro si evince come il tema della tassazione ambientale non sia considerato nel complesso nella medesima prospettiva, sia per ragioni produttive e industriali, che da un punto di vista meramente culturale, rendendo l’attuazione di una politica climatica condivisa ancora più critica, aprendo così la strada alla vera minaccia delle politiche di riduzione delle emissioni: il fenomeno del carbon leakage. Nel dettaglio, questo fenomeno fa riferimento alla vera e propria rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ossia la scelta, da parte di un’industria di un determinato settore, di rivolgersi verso un paese terzo dove le normative ambientali sono meno stringenti (a svantaggio di una concorrenza leale sul mercato). In questa prospettiva, il CBAM appare come il primo meccanismo capace di arginare il carbon leakage, in primis garantendo alle imprese degli Stati membri le stesse condizioni di parità economica di quelle situate in paesi Terzi considerati “paradisi industriali”; in seconda battuta, dovrebbe stimolare i partner internazionali extra-UE a seguire l’esempio comunitario in tema di politiche ambientali.
L’Europa sta adottando efficaci strumenti per limitare le emissioni di CO2, sul presupposto che l’applicazione di una tassa internazionale sul carbonio risulta essere la più efficace (se non l’unica) strada percorribile per far fronte all’emergenza ecologica; tuttavia, va osservato anche come il continente europeo produce solo il 6% delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, mentre i veri giganti dell’inquinamento, come Cina (26%) e Stati Uniti (12%), non sembrano ancora molto interessati a questo tipo di prospettiva ambientale.
2. CBAM: contesto di applicazione e confronto con normativa EU ETS
L’iniziativa per un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) fa parte – come detto in premessa – del pacchetto legislativo “Fit for 55%” ed è destinato a fungere da elemento chiave tra gli strumenti dell’UE per raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 insieme ad una progressiva decarbonizzazione nei Paesi Terzi. In proposito occorre evidenziare come, ad oggi sono già attivi dei meccanismi (comunitari) per impedire il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio: si tratta dell’assegnazione di quote EU ETS a titolo gratuito per un periodo transitorio[3], ossia si attua un meccanismo di tipo cap&trade che fissa un tetto massimo complessivo alle emissioni consentite sul territorio europeo nei settori interessati che possono essere acquistate e vendute sul mercato.
Il CBAM subentrerebbe, quindi, al posto del predetto meccanismo di quote, garantendo un prezzo del carbonio equivalente per le importazioni e per i prodotti interni, al fine di evitare il rischio carbon leakage.
Al contempo, va sottolineato come nella prima fase di introduzione, i valori CBAM si combineranno con quelli già esistenti e rappresentati dai citati EU ETS, senza però andare a favorire le merci interne a svantaggio di quelle provenienti dai paesi terzi. Entrambi i sistemi, sebbene condividano il medesimo obiettivo, ovvero il cosiddetto carbon pricing e quindi l’istituzione di un prezzo per le emissioni di gas a effetto serra mediante l’attribuzione di certificati, si differenziano tuttavia nelle modalità di applicazione: il sistema EU ETS si attiene ad un massimale che prevede un numero totale di quote rilasciate per le emissioni di gas serra che derivano da quella determinata attività di produzione; di contro il CBAM non impone nessun limite quantitativo alle importazioni di merci[4]. L’effettiva distinzione di base riguarda in sostanza il perimetro di operatività delle due discipline, in quanto l’EU ETS si riferisce al territorio dell’Unione Europea, mentre il CBAM si applica anche i paesi terzi e, di conseguenza, risulta necessario che si riproducano fedelmente i prezzi e i valori dell’EU ETS, utilizzando medie calcolate su base settimanale (prezzi medi settimanali) che rispecchino a loro volta il prezzo delle quote EU ETS stabilite mediante aste su base giornaliera[5].
Infine, mentre l’EU ETS si applica a certe attività di produzione, il CBAM si riferisce alle rispettive importazioni di merci, andando ad includere nel computo totale sia le fonti di inquinamento diretto, come il carbone riscaldato nell’atmosfera, che quelle di inquinamento indiretto, ovvero l’energia elettrica impiegata nel processo di produzione.
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3. Definizione di CBAM: emissioni, merci e gestore
Sul piano normativo, il meccanismo in esame viene istituito dal regolamento UE 2023/956 e prevede due fasi di realizzazione. In particolare, il Regolamento 2023/956, in vigore da ottobre 2023 fino a dicembre 2025, andrà poi a confluire nel Regolamento 2023/1773 a partire da gennaio 2026, costituendo l’asse normativo che reggerà definitivamente il periodo a regime. I due regolamenti si completano, o meglio uno getta le basi dell’altro, in quanto il Regolamento 2023/956 fornisce l’inquadramento normativo all’interno del quale poi il secondo andrà a definire i dettagli più pratici e applicativi del meccanismo del CBAM che si concentra prevalentemente sul sistema di monitoraggio, rendicontazione e verifica delle emissioni.
Il regolamento CBAM distingue, sul piano operativo, le tipologie di emissioni che sono classificate come “dirette” quando si fa riferimento a quelle direttamente generate dai processi di produzione delle merci importate; invece emissioni “indirette” riferite al consumo di energia elettrica durante i processi di produzione delle merci stesse. Al riguardo, occorre effettuare una ulteriore distinzione tra le tipologie di merci: “merci semplici” quando risultano prodotte con materiali in entrata a zero emissioni incorporate e, quindi, basate sull’inquinamento che si verifica solo durante la produzione; “merci complesse” che includono anche le emissioni dei relativi precursori usati nel processo produttivo. Nella fase di raccoglimento dei dati, a far data da ottobre 2024, si è transitati dall’utilizzo di valori di default a quello dei dati veri e propri di impianto e la normativa in esame introduce uno specifico soggetto onerato di tale adempimento, ovvero il gestore (operator) responsabile della gestione dell’impianto e del reporting delle emissioni e di altri requisiti CBAM associati alla produzione di merci all’interno dell’impianto (installation), con cui si indica invece lo stabilimento industriale in cui si svolgono specifici processi di produzione.
L’utilizzo dei dati di default della Commissione o le stime fornite dai gestori vanno impiegati per i beni CBAM complessi dove i materiali in ingresso o sottoprocessati intervengono per un massimo del 20% sulle emissioni totali incorporate; di conseguenza, il problema di questo modo di procedere sorge quando i materiali utilizzati per la creazione della merce provengono da impianti diversi, rendendo molto più complicata la rendicontazione delle emissioni generate. Del resto, nella prospettiva di una (ideale) completa raccolta di dati, risulterebbe necessario associare la giusta parte di materiale prodotta al corrispettivo impianto ma la mancanza di tali informazioni corrette e complete al riguardo, rende altamente difficoltosa (seppure tecnicamente possibile) la predetta associazione.
4. Settori interessati. Classificazione delle merci e nomenclatura combinata (NC)
Il sistema di classificazione della nomenclatura combinata (NC) definisce le caratteristiche essenziali delle merci ed è utilizzato per identificare le merci settoriali che rientrano nell’ambito di applicazione del CBAM. Questo tipo di sistema di classificazione NC delle specifiche di prodotto si compone di due parti: nella prima è riportato un sistema di numerazione numerico a 4,6 o 8 cifre che rappresenta diversi livelli di disaggregazione dei prodotti, mentre la seconda corrisponde a una breve descrizione di ciascuna categoria di prodotto che ne indichi le caratteristiche essenziali. Dal lato del dichiarante doganale l’importatore deve stabilire quali merci importate rientrano nell’ambito applicativo del CBAM e, per questa ragione, risulta opportuno verificare l’intera serie di merci importate rispetto alle specifiche di prodotto indicate nell’Allegato I del Regolamento CBAM, al fine di stabilire quali merci rientrino nell’ambito di applicazione.
In primo luogo, l’obbligo del gestore è quello di definire i limiti dei processi di produzione impiegati queste tipologie di merci, individuando in sostanza quali flussi di materiali e di energia possano incidere direttamente sulle emissioni rientranti nel processo di produzione CBAM; a questo punto, stabiliti gli estremi del sistema per il processo di produzione, è possibile monitorare le emissioni associate alla produzione della merce. Diventa, inoltre, fondamentale evidenziare sia processi a monte (come la produzione di precursori) sia le attività a valle (come la laminazione e il rivestimento di prodotti di acciaio), con l’intento di stabilire se anche queste facciano parte del medesimo processo di produzione o di uno distinto[6]; criticità sorgono quando un impianto produce più di una categoria di merce CBAM aggregata, poiché risulta in capo al gestore la suddivisione dell’impianto in processi di produzione distinti, al fine di monitorare separatamente le emissioni di ciascun processo di produzione.
Sul piano pratico, i primi settori oggetto della normativa CBAM includono: prodotti di ferro, cemento e acciaio, prodotti di alluminio e idrogeno estendendosi fino ai gas naturali, benzina, fertilizzanti e pesticidi con la previsione che in futuro questa lista diventi più corposa[7]. Partendo da un focus sul settore del cemento a titolo esemplificativo, risaliamo allo schema di raccolta dei dati che regge questo tipo di valutazione specifica della merce; l’unità di produzione del cemento è la tonnellata che va comunicata separatamente per ciascun tipo di merce CBAM prodotta per ciascun impianto, mentre un tipo di attività associata è la produzione di cementi non polverizzati detti clinkers e argille calcinate che macinati e miscelati insieme creano il cemento. In questo procedimento si segnala la produzione di emissioni dirette, le tonnellate di CO2, consequenziali alle emissioni indirette rappresentate dal quantitativo di energia elettrica consumata (MWh); durante il periodo transitorio il settore del cemento deve tenere conto tanto delle emissioni dirette quanto di quelle indirette da comunicare separatamente e da calcolare per l’impianto o il processo di produzione specifico nel paese di origine.
Per quanto riguarda la rendicontazione delle merci che fungono da precursori, nel caso del cemento vanno considerati i “clinkers” ovvero i cementi non polverizzati (codice NC 2523 10 00) insieme all’ argilla calcinata (codice NC 2507 00 80) che può essere usata per modificare le proprietà del cemento prodotto; tali precursori sono definiti come merci semplici in quanto i costituenti delle materie prime e i combustibili impiegati nella loro fabbricazione sono considerati a loro volta a zero emissioni incorporate.
5. Segretezza e riservatezza della filiera
L’obiettivo del CBAM è di natura totalmente ambientale come si evince dalla normativa; tuttavia, la sua attuazione non può che intaccare e modificare profondamente gli aspetti economici dei Paesi soggetti a questa regolamentazione andando spesso in controtendenza con quelli che sono i princìpi dell’attività commerciale in sé. Un principio tra questi, se non il più dibattuto, è proprio quello della segretezza e riservatezza della filiera di produzione[8] che è il cuore di tutta la regolamentazione del CBAM, essendo direttamente connesso alla certificazione delle emissioni di anidride carbonica. In altri termini, il problema si origina proprio nel tracciamento della CO2 prodotta durante tutto il processo, poiché la quasi totalità delle aziende si avvale di specifiche clausole di riservatezza nei contratti, preservando quel principio di non divulgazione che è alla base di qualsiasi catena di produzione. A questo punto la normativa CBAM sembra in conflitto con alcuni dei meccanismi che regolano la concorrenza di mercato. La soluzione potrebbe essere rappresentata dalla individuazione di soggetti terzi super partes a cui affidare i controlli per riuscire a mediare quest’esigenza di sicurezza e riservatezza garantendo un approccio il più trasparente possibile.
6. Funzionamento pratico, sanzioni e autorizzazioni
In riferimento alla gestione concreta di una pratica CBAM, si specifica come tutta la procedura abbia inizio dallo Stato che vende ai dichiaranti CBAM autorizzati e stabiliti nel suo territorio, i certificati attraverso una piattaforma centrale comune, la quale trasferisce le informazioni sulla vendita, il riacquisto e la cancellazione dei certificati al registro CBAM al termine di ogni giorno. Ogni certificato ha un prezzo in quanto corrisponde al “dazio da pagare” per le imprese in relazione alla quantità di anidride carbonica prodotta, pertanto il prezzo di questi è stabilito dalla Commissione (in base a un calcolo riferito alla media dei prezzi di chiusura delle quote EU ETS sulla piattaforma d’asta per ogni settimana)[9]. Una volta acquistati i certificati da parte del dichiarante autorizzato, il primo obbligo a suo carico è quello di restituire, attraverso il registro CBAM, un numero di certificati corrispondente alle emissioni incorporate dichiarate entro e non oltre il 31 maggio di ogni anno; il dichiarante inoltre garantisce che il numero di certificati CBAM registrati al termine di ogni trimestre corrisponde ad almeno l’80% delle emissioni incorporate
Nell’arco della fase esecutiva delle procedure CBAM il dichiarante responsabile della rendicontazione delle emissioni può essere talvolta oggetto di sanzioni per via di un comportamento omissivo, qualora non restituisca, entro il 31 maggio di ogni anno, il numero di certificati CBAM corrispondente alle emissioni incorporate nelle merci importate nel corso dell’anno precedente[10].In particolare, le situazioni potenziali in ragione delle quali il dichiarante può essere soggetto a sanzione sono tre: qualora questo non abbia adottato le misure necessarie per adempiere l’obbligo di presentare le relazioni CBAM; nel caso in cui la relazione CBAM sia inesatta o incompleta e il dichiarante non abbia adottato le misure necessarie per correggerla, ove l’autorità competente abbia avviato la procedura di correzione; infine in ipotesi di mancata autorizzazione del dichiarante a compiere queste determinate operazioni, laddove questo introduca merci nel territorio doganale dell’Unione senza alcuna qualifica. In tal caso la sanzione ha natura effettiva, proporzionata, dissuasiva in relazione anche alla durata, alla gravità e alla reiterazione della violazione ed è pari a da tre a cinque volte la sanzione sopramenzionata.
Nel capo VI del Regolamento in analisi, oltre alle sanzioni viene definito il tema delle elusioni, specificando quale sia il ruolo della Commissione in questa precisa situazione; innanzitutto occorre richiamare, per completezza di trattazione, il comma 2 dell’articolo 27 in base la quale l’elusione rappresenta “una modifica della configurazione degli scambi di merci, derivante da una pratica, un processo o una lavorazione per i quali non vi sia una sufficiente motivazione o giustificazione economica, se non quella di eludere” Ad esempio, si sostanzia elusione quando la merce in questione viene modificata in maniera marginale per farla rientrare nei codici NC di altre merci non soggette a CBAM oppure si verifica quando le spedizioni sono artificiosamente frazionate di modo che il valore intrinseco di ognuna non superi la soglia dei 150 Euro (valore al di sotto del quale non c’è necessità di pagare il CBAM). Il ruolo della Commissione consiste proprio nel sorvegliare costantemente la situazione a livello dell’Unione al fine di individuare pratiche di elusione tramite vigilanza sul mercato o talvolta sulla base di comunicazioni e segnalazioni delle organizzazioni della società civile; è importante sottolineare che qualsiasi parte che si senta colpita o avvantaggiata da questa situazione può notificare alla Commissione l’esistenza di pratiche di elusione, fornendo un resoconto di dati e statistiche che accompagnino la denuncia.
7. Analisi critica e conclusione
Il CBAM è stato previsto (normativo) come strumento in grado di ridurre drasticamente la delocalizzazione delle emissioni di carbonio, il cosiddetto carbon leakage, garantendo un prezzo del carbonio equivalente per le importazioni e per i prodotti interni, con l’ulteriore intento di orientare le imprese ad adottare tecnologie più efficienti in termini di emissioni di gas a effetto serra.
In tale contesto, occorre evidenziare come il CBAM – introdotto per far fronte alla “questione ambientale” – andrà inevitabilmente a incidere profondamente sui rapporti commerciali tra Stati membri UE e Paesi terzi extra UE, modificando gli equilibri geopolitici su cui si basa il libero mercato. Il rischio è rappresentato anche dalle asimmetrie nelle politiche climatiche globali: diversi Paesi esportatori in via di sviluppo non hanno risorse e infrastrutture per adottare politiche climatiche stringenti come quelle europee. Questo tipo di economie, come noto, si basano proprio sullo sfruttamento massimo delle loro risorse naturali, su una conseguente produzione massiccia di emissioni di anidride carbonica, oltre ad una scarsa legiferazione in merito alle materie ambientali. In tale prospettiva, l’adozione di un sistema di tassazione sulle emissioni di carbonio potrebbe creare un conflitto in termini di “giustizia climatica”. Sarebbe al riguardo auspicabile l’istituzione di un forum di Paesi che dispongono di strumenti di fissazione del prezzo del carbonio, al fine di promuovere l’attuazione di politiche climatiche efficienti a livello globale e preparare il terreno per la fissazione del prezzo del carbonio a livello mondiale[11].
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Note
[1] Il pacchetto “fit for 55%” è stato portato alla luce nel luglio 2021 in risposta agli obblighi previsti dalla normativa dell’UE sul clima di riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra in Europa di almeno il 55% entro il 2030. Questo pacchetto legislativo definitivo dovrebbe ridurre le emissioni dell’UE del 57% entro il 2030 ed è un elemento centrale del Green Deal europeo nelle sue varie articolazioni; la fissazione del prezzo del carbonio e un massimale annuale delle emissioni garantiscono che “chi inquina paghi” e inoltre che gli Stati membri con le entrate generate investano nella green transition.
[2] Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo; COM/2019/640. In tal senso si specifica che il Green Deal Europeo costituisce parte integrante della strategia della Commissione per l’attuazione dell’Agenda 2030 conformemente agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite
[3] Cfr. Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio, articolo 10 ter.
[4] Cfr. Regolamento (UE) 2023/956 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023 che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, Considerando 21.
[5] Ivi, Considerando 23.
[6] Cfr. P. Gailhofer, V. Graichen, Monitoring, Reporting and Verification in a Carbon Border Adjustment Mechanism Which rules and standards for calculating and certifying product-related emissions? German Environment Agency; 154/2023
[7] Cfr. Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (COM/2021/564 final), Allegato I – Elenco delle merci e dei gas.
[8] Cfr. P. Romano, P. Danese Supply Chain Management. La gestione di processi di fornitura e distribuzione. McGraw-Hill, 2020.
[9] Cfr. Regolamento UE 2023/956, cit., art. 21.
[10] Ivi, art. 26, comma 1.
[11] Bibliografia: Marta Castellini (2023). Equilibri magazine: l’impatto del CBAM nei paesi in via di sviluppo, in Equilibri magazine ; Ester Sofia Fuligni (2024), CBAM. Nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, in Economia e sviluppo sostenibile a cura di G.Rivetti, eum, Macerata, in corso di pubblicazione; M. Peta (2024), Tassonomia ambientale e Direttiva (UE) Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD: la rendicontazione nei bilanci delle imprese e carbon tax, in in Economia e sviluppo sostenibile a cura di G.Rivetti, eum, Macerata, in corso di pubblicazione; Francesco Clora (2020). Cos’è il carbon leakage: quando le emissioni si spostano all’estero, Redazione Duegradi; Federico Boffa, Stefano Clò (2012). Strumenti economici nel diritto ambientale europeo, Cedam.
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