Building Information Modeling: dal 1° gennaio 2025 il futuro digitale è (anche) nei cantieri

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Sommario: 1. Introduzione – 2. L’importanza delle competenze interdisciplinari nella risoluzione delle controversie BIM – 3. Un approccio relazionale alle clausole contrattuali – 4. Rilievi conclusivi

 

1. Introduzione

Negli ultimi decenni, il settore delle costruzioni ha subito profonde trasformazioni, guidate sia dalla crescente valorizzazione del lavoro collaborativo, sia dall’incessante avanzamento tecnologico. Un aspetto emblematico di questa evoluzione è rappresentato dalla transizione dal disegno su carta all’adozione di strumenti digitali. Tale mutamento ha trovato la sua massima espressione nell’utilizzo del Building Information Modeling (BIM), una metodologia che si è progressivamente affermata anche nelle procedure pubbliche di appalto.

Il BIM non solo minimizza gli errori progettuali e riduce il rischio di problemi tecnici o varianti — spesso causa di contenziosi — ma consente anche di gestire l’intero ciclo di vita dell’immobile, dalla fase di realizzazione fino alla sua eventuale dismissione. Questo approccio, che integra progettazione, costruzione, manutenzione e sostenibilità, rappresenta un cambio di paradigma rispetto ai tradizionali metodi di gestione delle opere edilizie.

Il BIM non è un semplice software[1], ma un contenitore polisemico in cui confluiscono le informazioni relative al progetto da sviluppare, frutto di prestazioni svolte in modo interattivo e coordinato da un team di professionisti. Rappresenta una metodica che permette di raccogliere e gestire tutte le informazioni necessarie al ciclo di vita di un edificio, dalla progettazione fino alla demolizione. Si configura come uno strumento in grado di proiettare il progetto lungo tutto il suo svolgimento, facilitando l’interazione e la collaborazione tra i partecipanti durante le fasi di ideazione ed esecuzione.

Un obiettivo ambizioso, reso possibile grazie a un approccio interdisciplinare che combina l’analisi dei profili tecnico-applicativi degli strumenti di gestione informativa digitale con lo studio dei relativi risvolti giuridici. La complessità tecnica delle operazioni condotte in ambienti BIM svela dinamiche inedite che richiedono una declinazione compiuta sul piano normativo, interrogando il giurista sull’adeguatezza delle tradizionali categorie del diritto civile.

Il BIM è una rappresentazione digitale di un’opera edile, sia essa un edificio o altra costruzione, che sfrutta applicazioni 3D per garantire precisione, affidabilità e immediatezza. Questo sistema fornisce dati tecnici essenziali per progettazione, esecuzione e manutenzione.

Le norme giuridiche, influenzate dalla tecnologia, offrono una base per lo sviluppo e l’adozione di innovazioni come il BIM. Sebbene la tecnologia crei nuove possibilità, la regolazione normativa è indispensabile. Tuttavia, la legge non evolve alla stessa velocità della tecnologia, lasciando ai giudici il compito di fissare regole in attesa dei legislatori.

Nel caso del BIM, è necessario valutare come il codice civile possa gestire i contratti, specie quelli del BIM integrato, che si differenzia dal BIM federato per un approccio collaborativo unico. Le leggi nazionali e internazionali mirano a incentivare l’uso del BIM attraverso standard comuni, tra cui l’ISO 19650. In Italia, il BIM è stato introdotto nel 2017, inizialmente come requisito obbligatorio, divenuto facoltativo nel 2021, ma tornerà obbligatorio per appalti pubblici sopra 1 milione di euro dal 1° gennaio 2025.

2. L’importanza delle competenze interdisciplinari nella risoluzione delle controversie BIM

L’analisi si concentra sull’importanza di competenze interdisciplinari per risolvere le controversie BIM, considerando sia la casistica italiana sia esperienze internazionali. Si esamina inoltre se l’approccio giuridico tradizionale ai contratti BIM sia sufficiente per affrontare le sfide attuali.

Molti avvocati e giudici non conoscono ancora il BIM, tema innovativo che supera i limiti del 2D, migliorando comunicazione e gestione dei dati. In Italia, la giurisprudenza sul BIM si limita a decisioni del giudice amministrativo, con scarsi interventi civilistici. Tuttavia, il decreto legislativo n.36/2023 integra numerosi richiami al diritto privato, come l’arbitrato, i rapporti societari, e le responsabilità contrattuali.

Sebbene la giurisprudenza attuale consideri il BIM un metodo costruttivo, rimangono inesplorate le questioni civilistiche legate alle responsabilità contrattuali e alla gestione dell’ambiente BIM. Questo impone una formazione specifica per affrontare le nuove sfide giuridiche.

Va precisato che, in ogni contratto BIM, è spesso complesso identificare il responsabile di un determinato segmento del processo lavorativo, che appare all’esterno come unitario, soprattutto nel caso del BIM integrato.  I professionisti coinvolti spesso inseriscono clausole contrattuali per esonerarsi da responsabilità o per limitare la loro esposizione nelle varie fasi del processo lavorativo.

In Italia, però, le dichiarazioni di liberatoria dalla responsabilità contrattuale devono essere sempre conformi all’art. 1229 c.c., che considera nulle tutte le dichiarazioni di rinuncia fatte per dolo, colpa grave o che contrastano con obblighi derivanti dall’ordine pubblico. Da un punto di vista pratico, questo problema è stato in parte affrontato con la creazione di nuove figure professionali, come il BIM Coordinator, il BIM Manager e il BIM Modeler, già descritte nei loro ruoli specifici. Il BIM Manager si occupa di collaborare con altri professionisti e individuare le migliori pratiche nei differenti approcci seguiti da aziende o progetti. Il BIM Coordinator ha il compito di comprendere i numerosi sotto-modelli, integrarli e creare il modello BIM finale. Infine, il BIM Modeler sviluppa il miglior modello BIM, adattandolo alle esigenze concrete di ciascun progetto.

Le tradizionali nozioni civilistiche si applicano se il contratto distingue chiaramente i ruoli tra i professionisti coinvolti nel BIM, evitando una condivisione indiscriminata delle responsabilità. Questo approccio convenzionale è implicitamente richiamato anche dall’art. 3.3 delle linee guida ANAC del 2018 in materia di appalti pubblici.

Nel settore edile, tuttavia, i professionisti spesso si affidano al lavoro svolto dai colleghi, accettando senza riserve i dati tecnici forniti nei segmenti progettuali già completati. Questo comportamento, sebbene comune, rischia di compromettere la responsabilità individuale, ad esempio rendendo difficile attribuire errori specifici, e di generare incomprensioni che possono rallentare la gestione dei lavori.

In linea teorica, l’approccio tradizionale può trovare applicazione qualora le parti concordino un contratto estremamente dettagliato, in grado di prevedere tutte le possibili modifiche o aggiornamenti necessari per far fronte alle eventuali nuove esigenze costruttive che potrebbero sorgere nel corso dell’opera. Tuttavia, in pratica, è chiaro che solo alcuni futuri rischi e circostanze possono essere anticipati o resi prevedibili. Questa limitazione comporta inevitabilmente un allungamento dei tempi necessari per aggiornare o rinnovare il contratto e un incremento significativo dei costi, con il rischio concreto di fermare i lavori.

Una possibile mitigazione a questo problema può essere ricercata nel principio di conservazione del contratto sancito dall’art. 1367 c.c. L’interpretazione del contratto, in questo caso, si basa su principi di equità (art. 1374 c.c.), tenendo conto degli usi locali del settore edile e della comune volontà delle parti (art. 1362 c.c.), nonché sul principio di buona fede (art. 1366 c.c.).

Il ricorso al principio generale di conservazione dovrebbe inoltre integrarsi con un nuovo criterio interpretativo applicabile ai contratti BIM. Questo approccio, di tipo relazionale, rappresenta una lettura evolutiva delle obbligazioni civili, da adottare in via sussidiaria rispetto all’interpretazione letterale tradizionale, quando quest’ultima non riesce a risolvere pienamente i problemi specifici del caso.

3. Un approccio relazionale alle clausole contrattuali

Il nuovo approccio propone di interpretare le clausole contrattuali tenendo conto degli usi e costumi propri del settore edile, così da rendere il contratto flessibile e capace di adattarsi a situazioni costruttive nuove, non previste o imprevedibili. Questo consentirebbe di valorizzare il principio di conservazione (art. 1367 c.c.), assicurando la continuità e l’efficacia del contratto anche in presenza di condizioni mutate.

Un esempio paradigmatico di questo approccio è rappresentato dal contratto di alleance (Alleance Contract), una forma contrattuale ampiamente utilizzata in ambiente BIM. Questo tipo di contratto si basa su principi di collaborazione e condivisione delle responsabilità, risultando particolarmente idoneo a gestire le complessità e le interazioni multidisciplinari proprie del metodo BIM.

In un contratto di alleance, le parti accettano una responsabilità collettiva per i rischi, la performance e i risultati. Questa dinamica, basata sulla fiducia reciproca, tende a trasformare le collaborazioni temporanee legate a progetti specifici in cooperazioni a lungo termine tra diverse imprese. Tale evoluzione comporta benefici concreti, come la riduzione dei costi per la supervisione e l’archiviazione dei dati, evitando il ricorso a consulenti esterni grazie alla stabilità e continuità del partenariato.

L’attenzione si concentra quindi sull’uso di tecnologie collaborative, che consentono ai contratti di adattarsi e crescere nel tempo, rispondendo alle esigenze in evoluzione. Nel settore delle costruzioni, dove il confine tra progettazione e attività di costruzione è particolarmente sfumato, la collaborazione assume un ruolo centrale. Il caso del BIM è esemplare: lo scambio continuo di dati insito nel suo utilizzo favorisce la creazione di relazioni professionali durature e integrate.

Non sorprende, dunque, che il nuovo Codice dei Contratti Pubblici valorizzi il ruolo dei professionisti BIM, prevedendo anche un incremento, forse eccessivo, delle loro retribuzioni.

Le connessioni tra appalti pubblici e diritto civile nel contesto del BIM, pur complesse, non costituiscono un ostacolo insormontabile. Sebbene manchino ancora pronunce giurisdizionali specifiche sui rapporti obbligatori tra le parti nei contratti BIM, è prevedibile che l’adozione sempre più diffusa di tali contratti – prescritta dal nuovo Codice – generi a breve un significativo contenzioso civilistico. Questo riguarderà, in particolare, gli aspetti critici finora evidenziati.

Per affrontare le problematiche future relative agli aspetti civilistici delle relazioni contrattuali BIM, e qualora l’approccio tradizionale si dimostrasse insufficiente, l’adozione di un approccio relazionale, come qui prospettato, potrebbe rivelarsi decisiva.

4. Rilievi conclusivi

Il percorso normativo che ha progressivamente introdotto il BIM nelle gare pubbliche ha avuto origine con la direttiva europea 2014/24/UE[2]. Questa direttiva consentiva agli Stati membri di richiedere, negli appalti di lavori e nei concorsi di progettazione, l’utilizzo di strumenti elettronici specifici, come quelli per la simulazione elettronica delle informazioni edilizie o per la modellazione[3] delle prestazioni progettuali. Per la prima volta, il BIM veniva riconosciuto formalmente come uno strumento normativo di rilevanza per il settore delle costruzioni.

L’invito del legislatore europeo è stato recepito in Italia con l’articolo 23, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici). Tale norma autorizzava le stazioni appaltanti a richiedere l’impiego di metodi e strumenti elettronici specifici, demandando a un decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti la definizione dei tempi e delle modalità di progressiva obbligatorietà del BIM. La disciplina di dettaglio ha posto l’accento su due esigenze fondamentali: da una parte, l’interoperabilità delle piattaforme mediante l’adozione di formati aperti e non proprietari, in conformità al principio di neutralità tecnologica[4]; dall’altra, l’impiego del BIM da parte di stazioni appaltanti dotate di personale adeguatamente formato[5].

La forza principale del BIM risiede nella sua capacità di andare oltre la semplice fase di progettazione e costruzione. Questa metodologia continua a “vivere” nell’opera, permettendone una gestione completa lungo tutto il suo ciclo di vita, prevedendo interventi di manutenzione futuri e valutandone la sostenibilità nel tempo. Tale approccio è destinato a trasformare profondamente il modo in cui il settore delle costruzioni affronta le sfide di un mondo sempre più orientato verso l’efficienza, la qualità e la sostenibilità. In sintesi, l’evoluzione tecnologica legata al BIM ridefinisce non solo i processi operativi, ma anche le modalità di interpretazione e applicazione del diritto. L’approccio relazionale si delinea come una soluzione necessaria e innovativa per affrontare le sfide civilistiche poste da questi contratti complessi, confermando come il BIM integrato rappresenti un terreno fertile per un’interazione sempre più stretta tra tecnologia e diritto.

 

 

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[1] La letteratura sul BIM si basa principalmente sulle scienze naturali, mentre il BIM giuridico è un tema abbastanza innovativo. In base alla letteratura scientifica, il BIM non deve essere considerato né un software e né una tecnologia. Secondo il Dizionario di Cambridge, il software è definito come le istruzioni che controllano ciò che fa un computer. Tuttavia, sebbene il BIM non sia un software, esso si avvale di software, come Revit e Archicad.
[2] Art.22, paragrafo 4, Direttiva 2014/24/UE approvata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio il 26 Febbraio 2014, che abroga la direttiva 2004/18/CE. Sulla direttiva 2014/24/UE, nonché sulla ulteriore direttiva 2014/25/UE, che unitamente alla prima, intende accelerare il processo di modernizzazione degli appalti nel mercato unico europeo.
[3] Modellizzare significa prevedere il futuro stato di un fenomeno, descriverne la probabile evoluzione, per comprenderlo e darne un’interpretazione. Sono necessari dei dati di input forniti dal progettista per ottenere dei dati di output che possono poi essere elaborati a seconda della complessità e delle necessità di visualizzazione.
[4] Il principio di neutralità tecnologica viene inteso dall’art.4, comma 2, lett.i, del d.lg. 01 agosto 2003, n.259, come modificato dal d.lg. 08 novembre 2021, n.32, come «non discriminazione tra particolari tecnologie, non imposizione dell’uso di una particolare tecnologia rispetto alle altre e possibilità di adottare provvedimenti ragionevoli al fine di promuovere taluni servizi indipendentemente dalla tecnologia utilizzata», S. Battiston, L’evoluzione della smart city in smart community. Strumenti di collaborazione tra P.A. e soggetti privati per il perseguimento degli obiettivi del P.N.R.R., Milano, 2023, p.148; A. Sciarrone Alibrandi, R. Lener, G. Luchena e C. Robustella, Mercati regolati e nuove filiere di valore, Torino, 2021, p.15.
[5] Con riferimento alla formazione del personale in materia di BIM, seppur limitatamente ai dipendenti in possesso dei requisiti per il conferimento dell’incarico di RUP, art.31, comma 9, del d. lg. n.50 del 2016, nella parte in cui afferma che la stazione appaltante, «allo scopo di migliorare la qualità della progettazione e della programmazione complessiva», organizza attività formativa anche in relazione ai metodi e strumenti di modellazione informativa per l’edilizia e le infrastrutture.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica

Copyrights © 2015 – ISSN 2464-9775

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