François Bayrou ha nominato il suo governo, il quarto in un anno in Francia, e ora sarà chiamato alla sfida più difficile: dare una prospettiva chiara e duratura a un esecutivo che nasce come coalizione di minoranza e alleanza tra il suo Movimento Democratico (MoDem), il partito del presidente Emmanuel Macron, Renaissance, e il centrodestra moderato di Les Républicains, tenendo fuori sia il primo partito (Rassemblement National) che la prima coalizione (Nuovo Fronte Popolare)per seggi all’Assemblea Nazionale. Il 73enne, storico esponente del centrismo francese, vicino a Macron dal momento della sua uscita dovrà riuscire dove il predecessore Michel Barnier ha fallito l’obiettivo: consolidare le finanze dello Stato, stabilizzare l’economia, navigare in un Parlamento spaccato e rassicurare le istituzioni comunitarie in una fase in cui entrambi i Paesi-guida dell’Unione Europea, Francia e Germania, vivono una situazione di grande travaglio politico. Ma sarà difficile: il nuovo governo nasce in un clima di generalizzato scontento, e il fantasma di una nuova mozione di censura dopo quella che ha travolto Barnier poche settimane fa aleggia ancora.
Chi fa parte del nuovo governo?
Poche conferme in ruoli di peso, molti ritorni di figure di spicco della politica francese, due ex primi ministri nell’esecutivo: Bayrou ha voluto costruire una squadra esperta per affrontare le sfide che attendono la Francia. Il governo è retto principalmente dai centristi del campo presidenziale, ma va segnalata la presenza di ben quattro tecnici, tra cui spicca la figura di Eric Lombard, scelto come titolare dell’Economia e delle Finanze. Lombard, 66 anni, è un banchiere che ha guidato fino a ieri la Caisse des dépôts et consignations, la banca pubblica transalpina equivalente alla nostra Cdp. Si tratterà del primo tecnico a guidare Bercy dalla fine della Seconda guerra mondiale, a testimonianza della delicatezza della sfida di stabilizzazione dei conti pubblici francesi, che Bayrou ha voluto affidare a una figura super partes. Per quanto riguarda gli altri portafogli, Macron ha blindato il suo fedelissimo Sebastien Lecornu nel ruolo di ministro della Difesa e Rachida Dati alla Cultura. I due rappresentano le due anime di Renaissance: Lecornu è uomo vicino al mondo delle forze armate, apprezzato anche dal Rassemblement National, Dati invece è un’intellettuale liberal, indipendente da ogni partito, che ne incarna l’anima progressista. Renaissance schiera gli ex primi ministri Manuel Valls (ex socialista come il presidente) ed Elisabeth Borne nei ruoli strategici di titolari dell’Oltremare e dell’Educazione rispettivamente. La loro presenza nel governo, per gli osservatori francesi, mira a garantire all’esterno la tenuta della coalizione. Dopo tre mesi torna invece in campo Gerald Darmanin, nominato ministro della Giustizia. Bayrou ha scelto l’ex ministro dell’Interno, che ha già annunciato una dura lotta a droghe e traffico di migranti. La sua scelta, assieme alla conferma del repubblicano Bruno Retailleau all’Interno, mostra che sulle politiche securitarie Bayrou intende strizzare l’occhio al Rassemblement di Marine Le Pen, su cui punta per evitare una censura in Parlamento. La nomina di Darmanin, secondo Le Monde, è stata indirettamente propiziata dalla leader sovranista: alla Giustizia “Il sindaco di Pau voleva nominare Xavier Bertrand a questo incarico, ma l’avversione di quest’ultimo all’interno del Rassemblement l’avrebbe reso un casus belli per Marine Le Pen, rivale di Bertrand che l’aveva battuta alle elezioni regionali nell’Hauts-de-France nel 2015”, mettendo a rischio la tenuta dell’esecutivo.
Come è stato accolto il nuovo governo?
Per Bayrou il nuovo governo si fonda su un “collettivo esperto per riconciliare e rinnovare la fiducia con i francesi”. Ma se il buon giorno si vede dal mattino, i partiti politici francesi maggiormente attenti ai segnali in arrivo dall’Hôtel Matignon, residenza del primo ministro, hanno dato scarsi segnali positivi al capo del governo. Il Rassemblement National, che per molti osservatori sarà decisivo con una sua eventuale astensione per far fallire una possibile mozione di censura e con il suo voto per veder approvate molte riforme, ha criticato l’esecutivo nonostante il peso indiretto giocato da Le Pen nel definire la squadra. “Fortunatamente, il ridicolo non uccide. Purtroppo, nulla è stato risparmiato ai francesi: François Bayrou ha riunito la coalizione del fallimento”, ha scritto il presidente del partito Jordan Bardella su X. Le Pen ha rincarato la dose: “Coloro che hanno messo il Paese in questo stato non sono da compatire ma da biasimare, non da sostenere ma da respingere”. Il Rassemblement non ha però annunciato la presentazione di una mozione di censura e fatto filtrare che aspetterà la dichiarazione generale politica di Bayrou, prevista per il 14 gennaio, per orientarsi. Durissimi, invece, i commenti della sinistra. Jean-Luc Mélenchon, leader del primo partito del Nuovo Fronte Popolare, La France Insoumise, intervistato da Le Parisien prevede “un rapido crollo della coalizione” e aleggia la “fine anticipata della presidenza Macron” in caso di flop di Bayrou, aggiungendo che “al prossimo voto per l’Eliseo la scelta sarà tra i lepenisti e noi”. Il leader del Partito Socialista Olivier Faure ha denunciato su BFM-TV /RMC che il nuovo governo è “una panoplia di fantasmi”. “Aspettavamo la notte di Natale, avevamo quella dei morti viventi. È Halloween!”, ha detto Faure.
Che prospettive ha l’esecutivo?
Le parole dell’opposizione mostrano che per il neonato esecutivo la navigazione sarà complessa. Bayrou si trova davanti una sfida chiara, quella di portare all’incasso una legge di bilancio che garantisca una stabilizzazione delle finanze francesi in un contesto che vedrà il Paese iniziare il 2025 in esercizio provvisorio, vista l’impossibilità di approvare la manovra entro il 31 dicembre. Nella giornata di mercoledì 18 dicembre è stata approvata la Loi Spéciale che consente di rifinanziare le attività ordinarie dello Stato e evitare il blocco delle amministrazioni del Paese dai primi giorni dell’anno entrante. Nel frattempo, Bayrou dovrà negoziare con i partiti all’Assemblea Nazionale per far arrivare in porto la legge di bilancio potendo contare solo su 211 dei 577 seggi in Parlamento. Barnier aveva impostato una bozza di manovra fondata su tagli di spesa e nuove tasse che mirava a rispondere ai rilievi della Commissione Europea sul deficit eccessivo di Parigi, al 6% del Pil. Bayrou ripartirà proprio dalla proposta controversa del predecessore: “I piani di Barnier di risparmiare 60 miliardi di euro all’anno tramite aumenti delle tasse e tagli alla spesa hanno rassicurato la Commissione, ma hanno sollevato critiche dai partiti di opposizione e hanno portato alla sua caduta”, nota Politico.eu. La sinistra chiede come condizione per negoziare la revoca della riforma delle pensioni di Macron del 2023, che Bayrou non sembra avere intenzione di concedere. Le Pen invece chiede minori tagli di spesa e un sostegno sia alla protezione dell’economia francese in settori critici come quello agricolo sia ai redditi della classe media revocando molte nuove imposte. Non è da escludere che Bayrou, come Barnier, tenti in primo luogo la strada del negoziato con la destra, provando a offrire concessioni iniziali sul tema della lotta alla criminalità e all’immigrazione clandestina, mentre alti esponenti del Partito Socialista fanno pressione su Faure per non appiattire la sinistra sulle posizioni di Mélenchon e provare a cercare spazi di manovra. In un’intervista a France 2, il Primo Ministro ha fissato come richiesta quella di poter tagliare al 5% il rapporto deficit/Pil nella prossima legge di bilancio. Bayrou si è anche impegnato a non chiedere l’applicazione dell’articolo 49.3 della Costituzione che consente a un primo ministro di far passare una legge senza dibattito parlamentare, fattispecie la cui invocazione è costata a Barnier il posto. Si profilano dunque per il capo di governo settimane, se non mesi, di negoziazioni mentre la situazione del Paese si fa sempre più critica. Sulla riuscita dell’esperimento Bayrou Macron si gioca la credibilità politica: in un Paese polarizzato, ogni tema sarà oggetto di un confronto serrato, e l’esecutivo nasce navigando a vista, senza una certezza sulle sue prospettive finché non sarà ben definita l’agenda con cui intende muoversi e la conseguente reazione dei partiti. In molti guardano già a luglio, quando dodici mesi dopo le elezioni anticipate l’Assemblea Nazionale potrà esser sciolta e il Paese potrà tornare al voto.
Il commento
di Antonio Villafranca, Vice Presidente per la Ricerca ISPI
“Non si capisce bene in cosa il nuovo governo Bayrou dovrebbe essere diverso – e avere sorte diversa – rispetto allo sfiduciato governo Barnier. La mossa sembra utile per prendere tempo e inviare un segnale di (semi)stabilità per un paese in procedura di infrazione da parte dell’Ue e sorvegliato speciale di agenzie di rating e mercati. Il primo scoglio del nuovo governo sarà l’approvazione del bilancio 2025 con le opposizioni a sinistra e a destra già pronte a dar battaglia. Se anche Bayrou lo superasse, la tentazione delle urne sarà forte quando la Costituzione francese permetterà di tornare alle urne la prossima estate. Per Parigi il 2025 sarà con ogni probabilità all’insegna dell’instabilità politica (e finanziaria).”
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