Gli auguri di Meloni e quel «ricarichiamo le batterie»: gli ostacoli che aspettano la premier dopo la tregua di Natale

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


di
Monica Guerzoni 

Le aspettative di Salvini di tornare al Viminale, il rapporto teso con la magistratura, la conferenza di fine anno che slitta al 9 gennaio: la premier sa che il 2025 sarà un anno«impegnativo»

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Alla fine del messaggio di auguri a tutti gli italiani postato sui social alla vigilia di Natale, Giorgia Meloni ha lasciato cadere una frase che tiene insieme il bilancio dell’anno che si chiude e le speranze per quello che si apre: «Ricarichiamo le batterie, perché ci attende un 2025 altrettanto impegnativo, per continuare a costruire una Italia forte e ambiziosa, capace di guardare lontano e di puntare sempre più in alto». Un auspicio che riguarda la durata del governo e la sua personale ambizione di «puntare sempre più in alto» e che la presidente del Consiglio rivolge anche a se stessa dopo un anno che ha segnato una svolta.

A luglio, scegliendo di votare al tavolo del Consiglio Ue contro il bis di Ursula von der Leyen, la leader di Fratelli d’Italia aveva giocato politicamente d’azzardo. I pronostici le erano quasi tutti contro, ma alla fine la linea di Palazzo Chigi si è rivelata vincente. La premier ha sostenuto il nuovo governo europeo, ha incassato la nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione e ha rinsaldato il rapporto con l’amica «Ursula», che per alcuni mesi era sembrato compromesso.




















































I sondaggi per Fdi e per la premier sono incoraggianti. La vittoria di Donald Trump e il legame con Elon Musk hanno fatto il resto, rafforzando l’immagine e la leadership internazionale della donna che guida il governo italiano. Immagine e leadership che, sul piano interno, avevano subito un duro colpo dal fallimento del protocollo firmato con Edi Rama per la deportazione dei migranti illegali in Albania.

Adesso, dopo oltre due anni di governo, Meloni si trova nella condizione ideale per puntare al traguardo che più le sta a cuore: arrivare a fine legislatura con la stessa squadra di governo, salve qualche cambio in corsa, senza infilarsi nella complicata e rischiosa trafila di un rimpasto e di un esecutivo bis.

Se si guarda oltre la tregua di Natale, favorita dall’apertura della Porta Santa per il Giubileo, gli ostacoli che potrebbero renderle difficile centrare l’obiettivo sono tutti in casa. E il più grande è Matteo Salvini. Forte della sentenza di piena assoluzione al processo Open Arms, il ministro delle Infrastrutture sogna il ritorno al Viminale e non si arrenderà facilmente, anche se la premier a quattr’occhi lo ha caldamente e con forza invitato a occuparsi del Ponte di Messina: nei piani di lei, il leader della Lega dovrà risalire la curva del consenso grazie alla più grande infrastruttura progettata dal governo e non certo grazie ai temi della sicurezza e del contasto ai trafficanti di vite umane. Temi che Giorgia Meloni si è intestata e che vuole portare avanti in prima persona, allargando il più possibile il «modello Caivano» e riuscendo nella missione, che le opposizioni ritengono impossibile e dannosa per le casse dello Stato, di far funzionare i centri in Albania. La linea dura la sta già attuando lei e certo non lascerà a Salvini la bandiera della «soluzione innovativa» per contrastare l’emergenza sbarchi: emergenza che in realtà, alla luce dei numeri del Viminale, non è più tale.

Su questo delicato e divisivo fronte l’ostacolo è il rapporto, sempre teso, con la magistratura. Il governo legge le ultime sentenze tutte a suo favore, ma in realtà i problemi non sono risolti. Aver spostato la competenza sui trattenimenti dai tribunali alle corti d’appello, ad esempio, rischia di allungare i tempi dei processi. Ma il mantra di Meloni non cambia: «Nessun passo indietro. L’Europa è con noi». E tra un paio di settimane le navi ricominceranno a fare la spola tra Italia e Albania.

L’agenda della premier ha già due date segnate in rosso per gennaio. Il 9 è il giorno della conferenza di fine anno, attesissima perché da un anno a questa parte la premier ha diradato sempre di più gli incontri «ufficiali» con i giornalisti, a parte la conferenza stampa del G7 in Puglia e i punti-stampa durante le missioni internazionali. L’ultimo incontro si era tenuto il 4 gennaio 2023 e non a dicembre, come da tradizione. Anche quest’anno la premier ha preferito far slittare l’appuntamento in un periodo meno infuocato, quando la travagliata manovra economica sarà stata approvata — il 28 al Senato, blindata dal voto di fiducia, nonostante le proteste delle opposizioni — e quando, lei spera, anche le ultimi tensioni tra Tajani e Salvini si saranno appianate.

L’altra data chiave nell’agenda di gennaio è il 20, giorno dell’insediamento di Donald Trump. Ufficialmente nulla è deciso, ma la leader della destra di certo sta già pensando all’abito per la festa di insediamento del presidente conservatore, suo alleato naturale, che giorni fa l’ha definita «fantastica». Se Salvini sperava di essere il punto di riferimento del tycoon in Europa, Meloni lavora a costruire un «ponte» tra la Casa Bianca e Bruxelles, che abbia in Palazzo Chigi il suo pilastro fondamentale.

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25 dicembre 2024 ( modifica il 25 dicembre 2024 | 14:45)

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