Referendum sull’autonomia differenziata, un grande sforzo per il quorum. Di Alfiero Grandi – Coordinamento per la democrazia costituzionale

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23 Dicembre 2024

Vale la pena di insistere sulle ragioni che spingono a chiedere il referendum abrogativo sulla legge 86/24 (Calderoli), la cosiddetta “autonomia differenziata”. Il governo Meloni ha appaltato al Ministro Calderoli la legge sull’autonomia regionale differenziata e non vuole prendere atto della sentenza 192 del 3-12-24 della Corte costituzionale e delle sue conseguenze. Se l’avesse fatto avrebbe potuto proporre l’abrogazione di quanto resta della legge, consentendo così una discussione in parlamento senza i condizionamenti degli errori fatti. Purtroppo questo governo è incapace di ammettere errori e di cercare un confronto serio in parlamento e con la società.

Senza cancellazione la legge continua ad esistere, pur menomata dalla sentenza della Consulta, come del resto ha riconosciuto la Cassazione. La Corte costituzionale con la sentenza 192 ha chiarito che nessuna interpretazione degli articoli 116 c.3 e 117 della Costituzione è possibile contraddicendo i principi fondamentali della Carta, come ha fatto la legge Calderoli. In pratica la sentenza ha interpretato questa parte del titolo V alla luce dei principi generali della Costituzione, ad esempio chiarendo che l’Italia è una e indivisibile e quindi i diritti garantiti dalla Carta ai cittadini debbono essere gli stessi, senza distinzione di regione o altro.

L’unità nazionale va salvaguardata e questo riguarda sia lo stato che le regioni, oltre che i comuni che tuttavia sono compressi dalla legge Calderoli in un ruolo subalterno.

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Che cosa ha detto la Corte Costituzionale

La sentenza 192 ha riconsegnato al parlamento il ruolo fondamentale che gli affida la Costituzione, tanto più se si tratta di decisioni che riguardano i diritti fondamentali, a partire dai Lep (i livelli essenziali delle prestazioni) che non possono in alcun modo essere sequestrati dal governo, per di più senza criteri espliciti di delega decisi dal parlamento.

Meno che mai il parlamento può essere obbligato ad approvare una legge senza poterla modificare, magari aggiungendo il voto di fiducia, come invece previsto dalla legge Calderoli che ha inventato questo meccanismo anche per impedire possibili referendum abrogativi.

L’indebolimento del ruolo del parlamento dura da troppo tempo. Questo deprime la sua capacità di rappresentare elettrici ed elettori ed è tra le ragioni importanti della disaffezione crescente dal voto (tanto non conta…). Questa esaltazione – a livelli contrari alla Costituzione – del ruolo del governo, che di fatto sottrae compiti legislativi e funzioni al parlamento, ricorda da vicino quanto si diceva della monarchia: che è temperata dal regicidio, in questo caso dalla sfiducia al governo. Infatti un governo che ricorre di continuo al voto di fiducia per obbligare il parlamento ad approvare una legge (che altrimenti non approverebbe) ha come unica alternativa il voto contro il governo, facendolo cadere.

L’antidoto è ridare al parlamento il ruolo che gli spetta di confronto e discussione senza vincoli obbligati, altrimenti il confine tra maggioranza e minoranza diventa un muro invalicabile. Se il governo avesse sgombrato il campo da ricatti, azzerando la legge 86/24 Calderoli, ci sarebbe stata la possibilità per tutto il parlamento di ridiscutere in modo approfondito il disegno istituzionale che deriverebbe da una visione chiara e costituzionale del ruolo dello stato, delle regioni, dei comuni.

Invece siamo di fronte ad un incaponimento, già emerso in altre occasioni, ad esempio sul CPR in Albania che ha portato Giorgia Meloni ad una reazione esasperata, a tratti isterica, degna di miglior causa. La sentenza 192/24 della Corte costituzionale ha in pratica riscritto la parte della legge di bilancio 2023 che anticipava l’iter di definizione dei Lep (approvata sempre con voto di fiducia) da cui è nata la Commissione Cassese, il cui compito di definire i Lep ora è azzerato, trasformato in faldoni di uno studio affidato in custodia al Ministro Calderoli.  Ancora di più la sentenza ha interpretato alla luce dei principi fondamentali il comma 3 dell’articolo 116 e il 117. Sono devolvibili non più materie ma solo singole funzioni, da motivare regione per regione, nessun supermercato da cui ogni regione può prelevare a piacere poteri.

La Corte costituzionale avverte inoltre che non andrà in vacanza e quindi controllerà passo passo la coerenza delle (eventuali) nuove disposizioni di legge alla luce della sentenza 192.

Per il referemdum conta il potere degli elettori

La Corte di Cassazione ha dato il via libera, per quanto la riguarda, al referendum abrogativo sull’autonomia regionale differenziata. In pratica ha riconosciuto che la legge, pur menomata, è in vigore ed è legittimo che, dopo avere raccolto 1.291.488 firme, tutte le elettrici e tutti gli elettori vengano chiamati ad esprimersi su una materia tanto importante, che potrebbe perfino – nell’interpretazione estrema – preludere alla rottura dell’unità nazionale o all’introduzione di gabbie regionali dei diritti costituzionali. Come per qualche aspetto sta accadendo per la sanità: cito solo il diritto all’interruzione della gravidanza che viene garantito in modo diseguale in diverse zone del paese.

La Cassazione ha rafforzato la sentenza della Consulta. Ora la Corte costituzionale deve decidere definitivamente sull’ammissibilità del referendum abrogativo. Sono tre gli aspetti decisivi: 1) la legge 86/24 non ha alcuna reale influenza sulla legge di bilancio, 2) è una legge non necessaria perché ogni eventuale accordo stato/regione dovrà essere approvato dal parlamento attraverso una legge ad hoc e non con un prendere o lasciare, 3) abrogarla vuol dire ripartire da capo senza lasciare problemi irrisolti.

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Calderoli ha tentato, dopo la sentenza della Consulta, di proseguire come se nulla fosse con le trattative con alcune regioni, ad esempio sulla protezione civile. E’ insieme ridicolo e pericoloso. Ridicolo perché la protezione civile è materia unificata da Zamberletti ad oggi, affidata ad una struttura tecnica, copiata altrove, che potrebbe essere rafforzata se non si fosse creato un dualismo con commissari straordinari nominati senza criterio, che ovviamente complicano i compiti e per di più nascondono che gli stanziamenti sono insufficienti per alluvioni, ecc. Tutto si ridurrebbe a verificare se un cataclisma ha seguito i confini regionali per consentire all’ego di un Presidente di regione di firmare un decreto di protezione civile al posto di chi lo fa oggi, senza soldi perché quelli comunque dovrebbe metterli lo stato. Sottolineo che sempre di soldi si tratta.

C’è da avere fiducia nella Corte costituzionale, nella convinzione che confermerà che il referendum abrogativo è possibile perché dovrebbe contraddire sé stessa e la Cassazione. Per questo dobbiamo sentirci già in campagna referendaria. Sappiamo che non sarà facile raggiungere il quorum necessario. Molti corvi volteggiano sul quorum, eppure un referendum è cosa diversa da qualunque elezione, perché pone ai cittadini una semplice domanda: vuoi cancellare questa legge oppure no? Chi vota decide, se non voti lasci decidere altri.

Nella maggioranza e nel governo ci sono tentazioni furbesche di invitare a non andare a votare. Certo, per essere una maggioranza che vorrebbe fare votare direttamente il Presidente del consiglio agli elettori emergerà qualche contraddizione con il messaggio andate al mare per il referendum. La Costituzione afferma che il voto è dovere civico, ma non basta, i cittadini debbono essere convinti che contano, che decidono, altrimenti si allontanano dal voto. Il referendum è una straordinaria occasione per contrastare l’assenteismo dal voto. Un’occasione di voto, di decisione che può essere un avviso pesante verso chi oggi pensa con faciloneria di potere ignorare gli esiti di precedenti referendum come per l’acqua pubblica e il nucleare (2011) che hanno cancellato leggi che oggi si tenta di riproporre sotto altre forme.

Il referendum non deve essere temuto, è una straordinaria occasione di partecipazione e per di più consente di dare alla società (associazioni, persone, ecc.) un protagonismo diretto, uscendo da una passività pericolosa. 25 milioni di elettori per raggiungere il quorum sono molti. Un’impresa ardua ma possibile, che è per tanta parte nelle mani del protagonismo della società.



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