Come il super anno elettorale ha mostrato le debolezze della democrazia

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Nel 2024 si è votato in oltre 60 Paesi. E in molti casi si sono affacciate nuove e vecchie ombre. L’estrema destra è in risalita ovunque. Lo si è visto negli Usa di Trump, ma anche nella crescita dell’AfD in Germania e dei lepenisti in Francia. Sono caduti i miti della stabilità sia a Berlino sia a Parigi. E i social, X e TikTok in primis, si sono confermati megafoni di propaganda e fake news. Un bilancio.

Come il super anno elettorale ha mostrato le debolezze della democrazia

Il 2024 è stato uno degli anni più elettorali di sempre. Oltre 60 Paesi sono stati chiamati alle urne. Elezioni che se da un lato plasmeranno in modo decisivo i prossimi anni, basti pensare solo alle Europee o a quelle negli Stati Uniti, dall’altro mostrano linee di tendenza a inquietanti. Sì, perché non sempre si è registrato un trionfo della democrazia. Anzi, sulla scena globale si sono affacciate nuove e vecchie ombre che mostrano come lo stato di salute di questa forma di governo non sia ottimale.

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Un anno duro per chi ha governato durante la pandemia

Il primo dato cristallino è che chi ha governato durante il periodo pandemico è stato punito praticamente ovunque. Prendiamo gli Stati Uniti. Nel 2020 Donald Trump era stato bocciato proprio per la gestione controversa delle prime fasi dell’emergenza, ma analogamente, quattro anni dopo, i democratici, dalla Casa Bianca fino alle corse congressuali, sono stati sconfitti. Destino identico, anche se politicamente di segno opposto, per i conservatori del Regno Unito, che hanno ceduto il potere ai laburisti dopo 14 anni. Idem in altri Paesi. In Portogallo, Ghana, Panama e Uruguay i partiti dell’opposizione si sono imposti indipendentemente dalla loro ideologia. Persino in Botswana, il partito democratico locale ha perso il potere dopo ben 60 anni. Ovviamente il ruolo della gestione della pandemia pesa fino a un certo punto. Secondo un’analisi del Pew Research Center condotta in 34 Paesi, una delle ragioni di questi ribaltoni elettorali è la ricerca della novità, soprattutto sul piano economico. Il 64 per cento degli intervistati ha sottolineato che l’economia era in cattiva salute, valore che sale al 70 per cento in Francia, Giappone, Corea del Sud e Regno Unito. Al centro di questo mal di pancia il grande tema del costo della vita, l’inflazione. Chiaramente in ogni Stato questa preoccupazione ha preso forme diverse. Come ha scritto Reuters si va dal timore per i rincari delle cipolle verdi in Indonesia al costo del cibo in India fino alle bollette energetiche in Europa.

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Donald Trump (Getty Images).

La fine della stabilità, anche in Europa

Nel corso dell’anno si è visto anche un progressivo sgretolamento della stabilità politica. I pochi partiti di governo che hanno retto l’urto elettorale sono comunque usciti indeboliti dalle urne. È il caso del Sud Africa dove l’African National Congress non ha raggiunto la maggioranza dei seggi per la prima vota dalla fine dell’Apartheid; ma anche nell’India di Modi e nel Giappone del partito liberal democratico. Ma ancora più significativo quello che è successo in Europa. Il 2024 da un lato ha segnato definitivamente la fine del mito della stabilità tedesca con una lunga crisi del governo Scholz culminata con la sfiducia e nuove elezioni fissate per il febbraio del 2025.

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Olaf Scholz (Getty Images).

Dall’altro ha trascinato la Francia in uno scenario all’italiana, verrebbe da dire. Il 2024 passerà infatti alla storia come l’anno dei quattro premier: Élisabeth Borne (fino a gennaio 2024); Gabriel Attal (fino a settembre 2024), Michel Barnier (fino a dicembre 2024) e François Bayrou. La scelta del presidente Emmanuel Macron di portare il Paese al voto dopo il disastro del suo partito alle Europee ha dato vita a un parlamento con più anime incapaci di trovare convergenze, nei fatti creando le condizioni per un’instabilità perpetua.

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Emmanuel Macron (Getty Images).

I guai di Parigi si uniscono a quelli di Bruxelles. Dopo il voto di giugno, Ursula Von der Leyen è tornata a capo della Commissione. Il punto è che la maggioranza nata nell’Europarlamento per eleggere il Von der Leyen bis è la più risicata di sempre. Il nuovo esecutivo europeo è stato approvato con 370 sì, 282 no e 36 astenuti (sui 688 presenti in Aula dei 720europarlamentari). In sostanza quasi un deputato su due non l’ha votata. Numeri che indicano come in realtà nell’Eurocamera non ci sia una maggioranza stabile, ma geometrie politiche variabili che in tempi di turbolenze globali forse non sono l’ideale. E questo perché sintomo di un male più profondo che colpisce le istituzioni europee: la lotta politica interna ai vari Stati membri che arriva tra i corridoi di Bruxelles. Giusto un esempio: durante il voto per la Commissione, 22 eurodeputati spagnoli del Partito Popolare europeo hanno votato contro perché candidata come vicepresidente c’era la connazionale e socialista Teresa Ribera.

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Ursula von der Leyen (Getty Images).

Il ritorno dei sovranismi

Se le spaccature più profonde non colpiscono le grandi famiglie politiche europee, ma sono per lo più interne alle singole nazioni è dovuto anche a un altro effetto elettorale: il ritorno del sovranismo, o meglio della destra radicale. Sempre secondo i dati del Pew Research Center un numero sempre più alto di elettori ha espresso una certa frustrazione per la democrazia rappresentativa. Nella trentina di nazioni in cui sono state svolte le ricerche, il 54 per cento degli intervistati ha detto di essere insoddisfatto del modo in cui il sistema funziona. I leader politici vengono considerati lontani e disinteressati da quello che pensano i cittadini. Questa insoddisfazione ha premiato quei movimenti che mostrano segni netti di rottura con la tradizione. Trump, che come miliardario e palazzinaro newyorkese dovrebbe incarnare le élite, è stato il più abile nel mantenere un’immagine di uomo di popolo vicino ai bisogni della gente. L’onda dei partiti vicini all’Alt-right e al populismo si è alzata in molti Paesi. In Francia è cresciuto il Rassemblement National di Marine Le Pen; in Austria la Fpö è arrivata in testa al 29 per cento; nel Regno Unito si è assistito al ritorno di Nigel Farage con il suo Reform Uk che alle ultime Legislative di luglio ha preso il 14 per cento. Ma soprattutto è da registrare il boom di Alternative für Deutschland in Germania. Il partito di estrema destra nei sondaggi tallona la Cdu dopo il trionfo alle Regionali in Turingia (rimanendo però esclusa dal governo) e il secondo posto in Sassonia. In realtà l’elenco potrebbe continuare e va ben oltre il Vecchio continente. Di Trump e dello sdoganamento dell’Alt-Right si è scritto moltissimo. Ma vale per molti altri Paesi. Come ha notato la giornalista e storica Anne Applebaum, la nuova era delle autocrazie (Russia, Cina, Iran e Venezuela) e della rete con le quali si sostengono a vicenda va a braccetto con l’indebolimento – o l’orbanizzazione – delle democrazie occidentali. Il 2024 è stato anche l’anno di Javier Milei, il presidente argentino (eletto però nel dicembre del 2023), fresco dell’ospitata ad Atreju, considerato l’alfiere della lotta al socialismo e alle idee woke. Un refrain che da pochi blog della destra oggi si è imposto nel dibattito pubblico.

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La leader del Rn Marine Le Pen (Imagoeconomica).

TikTok ma non solo: il ruolo delle piattaforme

Il grande anno elettorale ha messo in luce o confermato il peso dei persuasori occulti (ma non troppo se si pensa a Elon Musk) e soprattutto delle piattaforme social. Se il 2016 e la vittoria di Trump avevano portato sul banco degli imputati soprattutto Facebook, tanto che negli anni Mark Zuckerberg ha fatto quasi di tutto per ridurre i contenuti politici sulla piattaforma, il 2024 è stato l’anno di X, diventato con Musk la casa sicura del pensiero della destra estrema, e di TikTok, ventre molle della propaganda anti occidentale, almeno secondo l’Unione europea. Pomo della discordia le elezioni in Romania. Stravolto ogni sondaggio e ogni pronostico nel primo turno si è imposto Calin Georgescu davanti a Elena Lasconi del partito di opposizione Usr. Georgescu, forte di una piattaforma politica vicina alla Russia di Vladimir Putin e fortemente anti-Nato, ha svolto gran parte della sua campagna elettorale su Tiktok. Il terremoto romeno ha avuto due conseguenze: l’annullamento del voto da parte della Corte costituzionale del Paese per “interferenza russa nelle elezioni” e l’apertura a Bruxelles di un procedimento contro il social cinese per la violazione del Digital Services Act in particolare in materia di rischi legati all’integrità elettorale. Secondo l’Ue TikTok non avrebbe vigilato sul sistema di raccomandazione dei contenuti (quindi sul funzionamento del suo algoritmo) e sull’uso di pubblicità politica nei contenuti a pagamento. Al di là di come finirà l’indagine di Palazzo Berlaymont, è certo che la piattaforma dei video brevi è ormai un canale fondamentale per chi fa politica. Ne sanno qualcosa Francia e Germania, dove proprio su TikTik hanno spopolato tanto gli esponenti del Rassemblement National quando l’estrema destra dell’Adf. Ed è altrettanto vero che anche nel 2025 proseguiranno le polemiche sulla propaganda elettorale eterodiretta. Alle recenti elezioni in Irlanda, ad esempio, la Ong Global Witness ha provato a farsi approvare dalla piattaforma post a pagamento con evidenti fake news e tutti hanno ricevuto luce verde. Il segno che le democrazie hanno ancora un punto scoperto in cui le autocrazie possono colpire.



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