Opinioni | La forza della fragilità

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Narrano le antiche cronache che Leone XIII, a 90 anni, aprì la Porta Santa del Giubileo del 1900 in piedi, «per primo e solo». Per aprire quella del Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II, minato dal Parkinson, fu faticosamente aiutato da un paio di preti. Papa Francesco ha preferito farlo restando sulla carrozzina, alla quale è sempre più spesso costretto. Una scelta precisa. Dettata ancora una volta dalla volontà di mostrare fino in fondo la sua fragilità corporale. E insieme la sua vicinanza al mondo della disabilità, della malattia, della vecchiaia. Uno dei temi del suo pontificato.
Lo spiegò anche in occasione, nove anni fa, del Giubileo degli ammalati e delle persone disabili: «Nell’epoca in cui una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e dunque affare economico, ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante. Meglio tenere queste persone separate, in qualche «recinto», magari dorato, o nelle «riserve» del pietismo e dell’assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi. Ma, in realtà, quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità! Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite. Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente «perfette», per non dire «truccate», ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto. Come sono vere le parole dell’apostolo: “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti”».

Mostrare quelle debolezze, in tempi anche non lontani, era impensabile. Dicono tutto, fra i tanti casi che potrebbero essere citati, le scelte di uno dei più grandi presidenti americani Franklin Delano Roosevelt. Era un ragazzone sportivo alto quasi un metro e 90 e nelle foto scattate prima di essere colpito dalla poliomielite, quando aveva solo 39 anni ed era già lanciato in politica, lo si vede mentre gioca a tennis, nuota o rema in gare di canottaggio. Rimasto semiparalizzato alle gambe fece di tutto per nascondere la propria disabilità. Dall’uso di strutture metalliche sotto i pantaloni che gli consentivano di restare per qualche tempo in piedi a un sapiente controllo sulle immagini pubblicate dai giornali. Rarissime le foto in cui è su una carrozzina. Una a bordo di una nave mentre va a curarsi a Warm Spring, una celeberrima con la figlioletta Diana del suo consigliere Harry Hopkins, una di spalle nel giardino di un hotel… Perfino quando incontrava dei disabili motori preferiva restare seduto in macchina. Men che meno accettò di essere immortalato in carrozzina alla conferenza di Jalta del febbraio ‘45. Quando ai fotografi fu concesso di fare qualche scatto a lui seduto trionfante tra Winston Churchill e Iosif Stalin così che fosse impossibile cogliere il minimo indizio di disabilità. Perfino gran parte delle statue che lo celebreranno successivamente lo mostreranno in poltrona. Disabile? Quando mai…




















































Eppure la scelta di Jorge Maria Bergoglio di mostrarsi così fragile anche nell’occasione più solenne ha un significato ancora più profondo. Per millenni, infatti, nella scia del monito biblico nel Levitico («Parla ad Aronne e digli: nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe, che abbia qualche deformità, potrà accostarsi ad offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né chi abbia il viso deforme per difetto o per eccesso, né chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo, né un nano, né chi abbia una macchia nell’occhio…») la disabilità pesò come un macigno sugli uomini di Chiesa esclusi dal sacerdozio perfino nel codice di diritto canonico del 1917 in caso di «un’imperfezione fisica per la quale non siano in grado di adempiere con sicurezza (a causa della loro infermità) o con l’opportuna decenza (a causa della loro deformità) al ministero dell’altare». Obiezioni umilianti per tanti aspiranti preti costretti ad aspettare fino al 1983. Quando il divieto infine fu abolito, salvo infermità psichiatriche, da Giovanni Paolo II. Meglio tardi che mai, si dirà. Ma quanto tardi…

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26 dicembre 2024



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