L’ultima ad annunciare l’addio a Piazza Affari è stata Friulchem. La società di Vivaro (Pordenone), attiva a livello internazionale in ricerca e sviluppo e nella produzione per conto terzi di semilavorati e prodotti finiti contenenti principi attivi farmaceutici e integratori alimentari, il 23 dicembre ha tenuto l’assemblea societaria nella quale è stata approvata la proposta del consiglio di amministrazione di lasciare la Borsa.
La ragione? Da una parte la necessità di razionalizzare i costi operativi, «in conseguenza del contenimento degli adempimenti e degli oneri derivanti dallo status di società quotata, con la possibilità di concentrare maggiori risorse operative e finanziarie sulle proprie attività tecniche e commerciali», dall’altra la possibilità di «focalizzarsi sulle proprie attività operative, volte al perseguimento degli obiettivi previsti dal piano industriale in termini di crescita nel mercato di riferimento», secondo quanto dichiarato dalla stessa azienda.
Un passo simile è stato compiuto nei mesi scorsi dalle venete Jonix e Tweppy. La prima, con headquarter a Tribano (Padova) e specializzata nelle tecnologie per la sanitizzazione dell’aria negli ambienti chiusi, punta a ridurre i costi dopo la brusca contrazione del settore, che aveva avuto un’impennata all’inizio dell’era pandemica.
Mentre Tweppy, operante nel settore dei servizi ad alto valore aggiunto in campo immobiliare, ha preferito ritirarsi a fronte delle crescenti difficoltà per il business del mattone legate all’aumento dei tassi.
Su Borsa Italiana restano quotate 27 imprese del Veneto e 10 del Friuli Venezia Giulia, nella stragrande maggioranza dei casi di piccole dimensioni, con poche eccezioni come Banca Ifis, Banca Generali, Generali, Geox e Fincantieri. La corsa al delisting non è recente e negli anni passati vi erano stati addii eccellenti come Carraro, Cerved ed Edizione.
«Stando alla nostra esperienza, alla Borsa è mancata la capacità di valorizzare le storie di crescita di tante realtà italiane d’eccellenza come la nostra», commenta Walter Bertin, fondatore e amministratore delegato di Labomar, azienda di Istrana (Treviso), specializzata nello sviluppo e produzione di integratori alimentari, dispositivi medici, alimenti a fini medici speciali e cosmetici per conto terzi, che a settembre 2023 ha lasciato il listino di Milano dopo l’ingresso nel capitale da parte di Charterhouse, una delle più grandi società di private equity operanti in Europa.
«L’azienda andava e va tuttora bene, abbiamo rispettato tutti gli impegni presi in sede di Ipo, realizzando investimenti e acquisizioni, continuando a crescere anche in via organica. Eppure, il mercato si è dimostrato molto statico e da parte nostra non potevamo attendere oltre».
Per Bruno Conterno, ceo di Nice Footwear, azienda di Padova, che si occupa di creazione, sviluppo, produzione e distribuzione di calzature, «la quotazione in Borsa (l’esperienza si è conclusa nel 2023, dopo l’ingresso del fondo Palladio Holding, ndr) è stata un’esperienza positiva poiché ci ha garantito visibilità e ci ha permesso di accedere a risorse finanziarie fondamentali per il nostro obiettivo di lungo termine: la creazione di un hub manifatturiero della calzatura in Veneto a supporto dei più prestigiosi brand del lusso».
L’addio, anche in questo caso, è legato alla percezione di una valorizzazione non adeguata da parte del mercato. «Abbiamo riscontrato difficoltà nell’essere correttamente valutati, malgrado i risultati positivi ottenuti, con una crescita a doppia cifra», aggiune Conterno.
Detto che il fenomeno non riguarda solo il Triveneto, né la sola Penisola, Borsa Italiana si è attivata per frenare la fuga. Anche perché, un Paese dominato dalle Pmi come il nostro avrebbe bisogno di capitali per crescere.
«Ogni delisting rappresenta una storia unica, con motivazioni specifiche legate a esigenze strategiche o industriali», annota Barbara Lunghi, responsabile mercati primari di Borsa Italiana – Gruppo Euronext, «è un processo fisiologico nel ciclo di vita di un’azienda. L’importante è che i mercati e la Borsa continuino a rispondere alle esigenze delle società quotate e restino attrattivi per nuove Ipo, alimentando così lo sviluppo del tessuto economico. Come Borsa Italiana, negli ultimi anni abbiamo portato a quotazione molte più società di quelle che si sono delistate», conclude Lunghi.
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