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di D.B.

La risposta competitiva che sta cercando di dare l’Unione Europea alla Starlink di Elon Musk si chiama Iris2. Alla base di tutto c’è un business enorme che promette di fruttare tantissimi soldi a coloro che riusciranno a collocare le loro imprese nel settore dello spazio, il campo che oggi come oggi presenta le migliori prospettive di crescita economica.
Se i satelliti entrano sempre più a far parte del mondo degli affari industriali forse, per dare a Cesare ciò che è di Cesare, bisogna dire che è anche grazie a Elon Musk che, fino a questo momento, appare non solo il caposcuola precorritore di questo nuovo business, ma anche colui che ne detiene il monopolio. Con tutti i rischi del caso insiti nella parola stessa: monopolio.
Il mercato ci ha già fatto capire che senza satelliti non si andrà da nessuna parte e la foga con cui alcuni imprenditori, come Musk appunto, si sono buttati a capofitto in questo fiorente settore non lascia spazio ai dubbi: i satelliti diventano i protagonisti di una nuova governance mondiale, i cui contorni e i limiti non sono ancora del tutto definiti, né facilmente alla portata della comprensione da parte dell’opinione pubblica.
La space economy a livello mondiale, secondo il Rapporto del World Economic Forum e McKinsey, arriverà a valere in maniera esponenziale entro il 2035 una cosa come 1,8 trilioni di dollari. Quello che devono battere gli imprenditori del settore è il tempo. Detto così sembra un concetto astratto, invece è molto concreto perché in questo caso si tratta del tempo impiegato dal segnale trasmesso dal satellite per raggiungere la Terra. Parliamo infatti del tempo di latenza.
I satelliti geostazionari, ad esempio, distanti dalla Terra più o meno 36mila km, ruotano alla stessa velocità del nostro pianeta, ma da quelli orbitanti a una distanza più vicina chiamati Leo (Low Earth Orbit), lontani solo 600 km, partono segnali alla velocità di 25mila km all’ora.
Si tratta di gruppi di satelliti che rimbalzano il segnale fra loro, cioè dalla loro “costellazione”, prima che esso torni sulla Terra. I Leo perciò oltre a costare un po’ di meno, offrono un tempo di trasmissione più rapido dei loro “avi” geostazionari. L’intuizione di Elon Musk, di fatto rivelatasi corretta, è scaturita proprio puntando su questo tipo di satelliti, i Leo, fin dal 2019.
Il business dei satelliti riguarda quasi tutti i settori industriali, sia civili sia militari, per l’accesso alle comunicazioni via Internet, in banda larga e a bassa latenza, dalla sicurezza ai trasporti, dall’agricoltura alle telecomunicazioni e così via, senza limiti di categoria merceologica. Perfino Uber, che come alternativa ai trasporti pubblici funziona bene in quasi tutto il mondo (salvo l’Italia dove non viene favorito dalle leggi vigenti), utilizza una combinazione tra segnali satellitari Leo e gli smartphone per connettere con la massima rapidità i clienti richiedenti il servizio e i driver disponibili. Questo è solo uno degli esempi che si potrebbero fare per rendere l’idea, perché di fatto l’utilizzo dei satelliti non ha limiti di applicazione.
SpaceX, la società di Musk che controlla Starlink, possiede al momento 7mila satelliti a bassa orbita (i Leo), che rappresentano i due terzi del totale, posizionandosi così sul podio della classifica delle società che operano nel settore dello spazio.
Il competitor di Starlink è la società cinese Shanghai Spacecom Satellite Technology, controllata dal governo del Dragone. Entro la fine del prossimo anno il colosso cinese intende raggiungere un parco di 600 satelliti in orbita, ma anche altre realtà cinesi stanno facendo la stessa cosa. Ad esempio la China Satellite Network Group, con un progetto che prevede di lanciare una costellazione di 13mila satelliti Leo. Un piano strategico per Pechino che così potrebbe raggiungere quota 40mila satelliti in orbita entro il 2035.
Anche Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, nonché proprietario del Washington Post, ha un progetto spaziale per la banda larga. Si chiama Kuiper, con cui Bezos vuole lanciare a breve e medio termine 3.232 satelliti Leo. Segue la canadese Telesat che vorrebbe lanciarne 1.600 entro la fine del 2026 nell’ambito del progetto Lightspeed.
Infine, last but not least, tra i tanti imprenditori che hanno annusato il business della space economy c’è anche un italiano, David Avino (53 anni). Informatico esperto del settore aerospaziale ed ex paracadutista della Brigata Folgore, con la sua ex start-up Argotec, la cui sede è a Torino, con filiali operative nel Maryland e in Florida, costruisce micro satelliti Leo per soddisfare una fornitura richiesta dalla Nasa. Valore della commessa 6 miliardi di dollari.
Il monopolio di Elon Musk, dopotutto, rischia perciò di venire scardinato in un prossimo futuro, anche se al momento il competitor di SpaceX più agguerrito sembra essere Eutelsat OneWeb, ovvero la società europea nel cui Consiglio di amministrazione ci sono la multinazionale indiana Bharti Global, il governo francese e quello britannico.
Al momento, però, Eutelsat OneWeb controlla soltanto 630 satelliti Leo (un decimo di quelli di Starlink) e non avendo “lanciatori”, cioè stazioni specializzate nel lancio in orbita, deve appoggiarsi a terzi, mentre lo stesso Musk, nella sua galassia societaria, possiede anche quelle.
Torniamo allora a Iris2, di cui parlavamo all’inizio dell’articolo. A metà dicembre l’Ue ha annunciato un programma spaziale da 10 miliardi di euro (di cui più della metà provenienti da fondi pubblici) con l’obiettivo di ottenere una propria connettività Internet in sicurezza per l’Europa. La Commissione europea ha siglato un accordo di concessione con il consorzio SpaceRise, formato da tre operatori europei (le cui reti satellitari si chiamano Ses, Hispasat ed Eutelsat), a cui partecipano tutti i principali soggetti del settore spaziale (fra gli altri Airbus Defence and Space, Deutsche Telekom, Orange, Thales Alenia Space e per l’Italia la Telespazio).
L’obiettivo è di lanciare entro il 2030 290 satelliti per l’uso della banda larga nel territorio europeo.
Dopo i programmi Galileo (servizio di posizionamento satellitare) e Copernicus (monitoraggio del pianeta e dell’ambiente), Iris2 rappresenta il terzo programma-faro dell’Ue, progettato per affrontare le sfide urgenti a lungo termine in materia di sicurezza, protezione e resilienza. Per concludere, quindi, Iris2 guarda ai soli stati membri dell’Europa, mentre Starlink è già più che operativa a livello internazionale.

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