Che cosa si dice e che cosa non si dice delle magagne della costruzione europea. La lettera di Teo Dalavecuras
Nel 2022 รจ uscito un saggio di straordinario acume e profonditร di Stefan Auer (European Disunion, Hurst Publishers, Londra 2022)) di cui non ha parlato quasi nessuno e che di certo โ a differenza delle memorie di Merkel โ non รจ stato nรฉ sarร mai tradotto in trenta lingue. Auer, docente universitario, due volte titolare di Cattedra Jean Monnet, dopo avere analizzato in dettaglio alcune manifestazioni dellโinadeguatezza delle istituzioni europee di fronte a problemi di portata continentale รจ arrivato alla conclusione che cโรจ un insanabile vizio di impostazione alla radice degli handicap dellโUE. Lo dimostra non solo con una tagliente analisi politologica ma anche con quattro esempi concreti trattati per esteso: la crisi dellโeurozona che ha menomato la credibilitร economica dellโUnione, la crisi dei rifugiati che ne ha incrinato la coesione sociale, la incapacitร di far fronte alla Russia che le ha fatto perdere il senso di uno scopo comune e la pandemia del Covid-19 che ne ha distrutto la credibilitร di protettore dei cittadini europei.
Unโanalisi, quella di Auer, agli antipodi della trionfalistica narrazione disseminata non solo dai servizi stampa e promozione di Bruxelles (dei quali quasi tutti gli organi di informazione, quale piรน quale meno, sono tributari) diventata ormai da tempo un articolo di fede nei tinelli, nei salotti e nei palazzi del potere in Europa: ciรฒ che spiega il silenzio subito calato su European Disunion. Del resto, non รจ per capriccio che a Bruxelles, e dovunque si propaghi il verbo di Palazzo Berlaymont, si postula e si celebra unโUnione Europea che anzichรฉ perseguire una sovranitร tradizionale (vestfaliana, per capirci) si impone da sรฉ con i propri โvaloriโ universalistici, la forza del proprio mercato e la perseveranza nella produzione di regole di ogni genere che poi fa rispettare allโuniverso mondo grazie allโattrattivitร del proprio mercato di 500 milioni di consumatori, nel quale non si entra senza pagare obolo in denaro sonante agli Stati membri economicamente piรน deboli e omaggio alla supremazia delle norme prodotte a Bruxelles e interpretate in caso di bisogno da una Corte che siede a meno di 200 chilometri di distanza e i cui componenti โ sia detto senza offesa โ non sono nรฉ eletti nรฉย accolti in quel corpo giudicante per aver superato con successo un pubblico concorso, ma nominati โdi comune accordoโ dai governi degli Stati membri.
Questa entitร , che agirebbe da protagonista della scena mondiale in forza del prestigio delle proprie regole e dellโattrattivitร del proprio mercato, รจ qualcosa che non solo รจ ignoto alla scienza politica ed รจ contraddetto dai fatti ma proprio non esiste in natura. Ma lโattaccamento irremovibile a questa dottrina non รจ un capriccio, perchรฉ รจ il fondamento dellโideologia che tutela gli apparati di Bruxelles e ne fonda il potere di fatto, consentendo loro di farsi schermo dietro la formale sovranitร degli Stati membri (ormai non solo svuotata ma anche spesso e volentieri dileggiata) e dร verosimiglianza allโasserzione di una natura amministrativa e quindi politicamente irresponsabile del potere burocratico che governaย i territori e i popoli dellโUE da Bruxelles, fuori da qualsiasi logica democratica, con la massima opacitร , creando e gestendo โconsensoโ con il marketing di quello che da sogno politico dei nostri anni giovanili รจ degenerato nel โbrand Europaโ e con crescenti ingerenze in quel che resta di vita democratica negli Stati membri.
In breve, mi pare indiscutibile che nellโUE ci sia un problema istituzionale grande come un continente. Ma la cosiddetta opinione pubblica, in Europa, non se ne rende conto, forse anche perchรฉ il tema delle istituzioni, cioรจ dellโorganizzazione, della โcanalizzazioneโ e della stabilizzazione del potere รจ stato metodicamente rimosso, con notevole successo, dal discorso pubblico insieme al tema degli interessi: totalmente rimosso da quello progressista ma in gran parte anche da quello conservatore, e in ogni caso da quanti sono dotati di licenza per la proclamazione, in nome e per conto di tutti i concittadini, di ciรฒ-che-pensa-la-gente, cioรจ, lo avrai capito, i media di ogni ordine e grado. Il problema non sussiste: la sovranitร appartiene agli Stati membri e poi ci sono le elezioni europee: non cโรจ niente da cambiare in Europa, paradiso dei โvalori democraticiโ. Semmai cโรจ da mettere altra carne al fuoco, โallargareโ (cโรจ anche un commissario allโallargamento, quasi fosse una funzione di routine del cosiddetto โEsecutivo UEโ, la Commissione) adesso ai paesi dei Balcani occidentali, ma senza porsi limiti, ampliare le competenze di Bruxelles alle forniture e allโindustria bellica, e giร si comincia a parlare di esercito europeo. Questo รจ il dogma su cui si fonda lโUnione Europea. Lโimportante รจ non ridiscutere il dogma, che poi a come metterlo in pratica ci pensano i mandarini di Bruxelles.
Anche se richiede un poโ di spazio โ me ne scuso in anticipo โ รจ necessario ora illustrare con qualche esempio il discorso, perchรฉ la pur autorevole testimonianza di Bernabรจ da sola non basta. Innanzitutto, bisogna parlare di parlamenti (finalmente! dirai tu, direttore, visto che da lรฌ siamo partiti). Di quello italiano abbiamo parlato, anzi ha parlato Feltri. Parliamo del Parlamento Europeo. Perchรฉ a Strasburgo, ma anche a Bruxelles, si riunisce un Parlamento europeo. In realtร il Parlamento in quanto tale, nella sua intera consistenza di settecento e rotti membri si riunisce assai di rado. Quasi sempre piccoli gruppi di parlamentari confabulano nelle commissioni, o in formazioni organizzative come la Conferenza dei presidenti o lโUfficio di presidenza (oltre al/la presidente, 14 vicepresidenti).
Ma di lร delle dinamiche organizzative, che denotano la sostanziale assenza di dibattito parlamentare in Europa, vorrei farti qualche domanda, direttore, nella tua qualitร di operatore dellโinformazione. Ti risulta che in quellโassise si svolga qualcosa di simile a una dialettica democratica? Vogliamo parlare dello โscandalo Qatarโ โesplosoโ, mentre si celebravano i riti di chiusura dei mondiali del calcio a Doha, grazie a indagini cominciate due anni prima da parte della servizievole polizia belga e rimaste segrete sino allโimprovvisa deflagrazione mediatica con diffusione, sulla stampa e in tutta lโinfosfera, delle foto di valige traboccanti di banconote di grosso taglio? Sorvoliamo sui due magistrati investiti del dossier che poi in rapida successione hanno ritenuto di astenersi? Sorvoliamo sulle dimissioni imposte (da chi?) a una dei quattordici vicepresidenti, rassegnate e accettate senza una frazione di secondo di dibattito parlamentare, con la โdimissionariaโ, madre di una bambina di due anni, chiusa in galera per oltre quattro mesi? Sorvoliamo in una parola sul fatto che questo โscandaloโ, al quale perfino lโautorevolissimo il Mulino aveva dedicato ai tempi un articolo dai toni millenaristici dove si paventava la fine dellโUnione Europea, si รจ perso nelle mitiche nebbie del Belgio, insomma su uno โscandaloโ che fa ripensare alle parole di Hannah Arendt, quando scrive che talora la corruzione รจ lโunico baluardo che protegge i sudditi dal potere totalitario?
(2. segue; la prima parte si puรฒ leggere qui)
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