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di PIETRO MASSIMO BUSETTA – La legge di bilancio per il 2025 prevede anche uno stanziamento da 1,5 miliardi di euro in più per il Ponte sullo Stretto. Lo prevede un emendamento della Lega. Così, i fondi complessivi per l’opera superano i 13 miliardi di euro, di cui quasi la metà a carico delle Regioni.
Qualcuno evidentemente si è convinto che il costo del Ponte sullo Stretto di Messina debba essere a carico dei siciliani e dei calabresi. Come fosse una passerella per far incontrare più facilmente il ragazzo di Messina con la sua amata di Reggio Calabria. E non il completamento del collegamento tra Singapore/Hong Kong e Berlino, e un modo per evitare che le maxi-porta containers attraversino tutto il Mediterraneo, escano dallo stretto di Gibilterra, costeggino Spagna, Portogallo, attraversino la Manica, lo stretto di Calais per arrivare a Rotterdam. Con conseguente immaginabile emissione di CO2.
Se la visione è la seconda allora non solo non deve essere finanziato dalla Sicilia e dalla Calabria, ma nemmeno dall’Italia, perché è una infrastruttura che serve all’Europa, in particolare in un momento in cui si guarda sempre di più al Mediterraneo, considerate le problematiche sempre più complesse che attengono ai rapporti tra Unione Europea e Federazione Russa.
Ma, riprendendo quello che diceva don Rodrigo sull’unione tra Renzo e Lucia (“Questo matrimonio non s’ha da fare“), siamo profondamente convinti che “questo ponte s’ha da fare”.
È in un momento così complicato (ma ce ne sono di semplici?), che si possa attingere al Fondo di Sviluppo e Coesione, e quindi alle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, non dimentichiamolo purché siano aggiuntive a quelle ordinarie e servano ad eliminare o diminuire le distanze economiche e sociali rispetto al resto del Paese, può anche essere opportuno.
Senza considerare il fatto che impegnare il Fondo di Sviluppo e Coesione in un modo così virtuoso ed evitare che si sprechi per alimentare il consenso della classe dominante estrattiva o peggio che vada perduto per incapacità di spesa può essere un esercizio virtuoso.
Ma deve essere chiaro a tutti, Unione Europea compresa, che un tale costo deve essere affrontato con la fiscalità generale, come avvenuto con il Mose di Venezia e continua ad avvenire con la TAV. Come si è proceduto con l’alta velocità ferroviaria, prevalentemente realizzata nel Centro Nord e con il costo delle autostrade.
Infrastrutturare un territorio, dotandolo di porti, aeroporti, linee ferroviarie, collegamenti autostradali, fa parte di un progetto che deve essere affrontato con le risorse ordinarie. Per il Sud invece pare che questa regola non valga, visto che tutte le strutture aeroportuali e anche parte delle autostrade sono state realizzate con i fondi “aggiuntivi“europei.
Adesso si vuole finanziare anche il ponte sullo stretto con le risorse aggiuntive? In un momento particolare, come quello che attraversiamo e visto che il CiPESS potrà approvare il progetto soltanto se vi è certezza di finanziamento, forse il passaggio che si è effettuato può anche essere opportuno. Ma con la riserva che tali risorse vanno restituite al Mezzogiorno, perché possano servire per gli obiettivi per i quali sono stati dati: cioè di costituire fondi aggiuntivi per lo sviluppo di tali territori.
Certo, forse qualche sforzo in più si poteva fare per inserire alcune opere accessorie o compensative, che potevano essere completate entro il 2026 nel PNRR, per il quale non si raggiungerà quasi certamente quel 40% stabilito che, con un colpo di mano rispetto all’oltre 50% che sarebbe toccato se si fosse utilizzato l’algoritmo individuato dall’Unione Europea per distribuire le risorse ai vari Paesi, e che il Governo Draghi ha individuato per l’attribuzione al Sud.
Ma inutile piangere sul latte versato, adesso quello che va richiesto è che le risorse utilizzate del Fondo Sviluppo e Coesione siano restituite al Mezzogiorno, sia se si troveranno investitori aggiuntivi, privati o pubblici, sia che invece rimanga tutto a carico dello Stato italiano.
E la richiesta che va fatta forte e chiara è che si inquadri il collegamento stabile come il passaggio di 3 km di mare inserito nella logica di un collegamento tra Augusta e Berlino con l’alta capacità ferroviaria, che metta in condizioni l’Italia di attrarre i grandi traffici provenienti dall’Estremo e Medio Oriente e dall’Africa e farli sbarcare nei porti di Augusta e di Gioia Tauro, superando il monopolio per anni consentito a Genova e Trieste, che devono farsene una ragione del fatto che sono sotto le Alpi e non in mezzo al Mediterraneo.
Che hanno retroporti molto contenuti in termini di spazi. Tale approccio potrebbe soprattutto fornire un’alternativa interessante agli armatori che gestiscono i traffici internazionali.
Per tale obiettivo è necessario però che si realizzi l’alta velocità ferroviaria nei tempi previsti, finanziando l’adeguatamente di tutta la rete ferroviaria, obiettivo che nell’ultimo periodo sembra slittare nel tempo.
Così come è necessario che si realizzino gli investimenti opportuni su Gioia Tauro ed Augusta, in modo da cominciare a testare il sistema complesso necessario ed attrarre i traffici, che non saranno facilmente ceduti da Rotterdam, che ormai ha raggiunto la quasi perfezione nella sua attività.
Avendo presente che mentre noi rinviamo i nostri investimenti, gli altri competitor, come ad esempio Tanger Med, lavorano intensamente per fare quello che noi rinviamo nel tempo, illusi che quando vorremmo farlo ci saranno le condizioni necessarie.
Tranne che i rinvii e le meline non siano funzionali a lasciare la situazione quale è adesso, nella paura di perdere posizioni acquisite da parte di qualche altra area interessata.
“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” diceva Andreotti e certo, nel passato l’emarginazione dei porti di tutto il Mezzogiorno ha avuto il retro pensiero di rendere centrali quelli di Trieste e Genova, ma in realtà favorito solo Rotterdam.
Oggi il principale assertore della necessità del Ponte sullo Stretto, Matteo Salvini, è in difficoltà sia per fatti interni alla Lega che per fatti esterni, dovuti al processo di Palermo. Per questo è ancor più necessario il monitoraggio della situazione per evitare che vi siano passi falsi che ritardino tutto il percorso.
In tale logica va bene che le risorse attinte siano provenienti dal Fondo Sviluppo e Coesione, ma a patto che sia un prestito da restituire totalmente e in tempi brevi. Altrimenti si darà ragione a coloro che sostengono che il ponte è solo uno specchietto, che probabilmente mai si realizzerà, e che assorbirà talmente tante risorse da sottrarle a tutta una serie di esigenze che continuano ad esserci e che sono sempre più pressanti. (pmb)
(Courtesy Il Quotidiano del Sud/L’Altravoce dell’Italia)
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