Effettua la tua ricerca
More results...
Mutuo 100% per acquisto in asta
assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta
«La finanziaria che sarà approvata oggi è un compromesso al ribasso tra esigenze di bilancio e interventi mirati. Da un lato è positivo il taglio del cuneo fiscale e l’attenzione ai ceti deboli, dall’altro si nota l’assenza di misure strutturali per il rilancio della produttività e il sostegno alle imprese. Meno male che è stata ritirata la proposta del ministro Giancarlo Giorgetti di estendere la web tax alle pmi, una misura che avrebbe gravemente danneggiato il cuore dell’economia italiana, rallentato la digitalizzazione e aumentato la pressione fiscale».
Stefano Ruvolo, 53 anni, laurea in economia aziendale, dirigente d’azienda, è presidente di Confimprenditori, fondata nel 2008, associa 370mila piccole imprese e partite Iva.
Domanda. Perché non si riesce a dare una spinta alla produttività?
Risposta. È un problema legato a fattori come l’inefficienza burocratica, la scarsa innovazione, la frammentazione delle imprese, la mancanza di un forte sostegno alle piccole e medie aziende, che rappresentano oltre il 40% del valore aggiunto prodotto in Italia. Esse, pur essendo spesso eccellenze nei loro settori, incontrano difficoltà nel crescere e innovare. Perciò bisognerebbe facilitare la creazione di reti di impresa per superare la frammentazione, promuovere il loro accesso ai mercati internazionali ed investire in un piano nazionale per la formazione continua dei lavoratori, allineando le competenze alle richieste di un mercato in costante evoluzione. Se l’Italia colmasse il gap di produttività con la media Ue, il Pil crescerebbe del 5% in pochi anni.
D. Ha ragione il Censis a fotografare un’Italia che “galleggia”?
R. Sì, l’Italia fatica a uscire da una condizione di stagnazione. C’è troppa burocrazia. Ogni anno le piccole e medie imprese spendono oltre 57 miliardi di euro per adempiere agli obblighi burocratici, spesso inutili, risorse che potrebbero essere investite in crescita e sviluppo. Inoltre in nessun Paese europeo le imprese sono lasciate sole, come avviene in Italia, nell’affrontare le sfide della globalizzazione e della transizione digitale. È assurdo che non ci siano incentivi reali e praticabili per le piccole imprese che vogliono investire in innovazione, formazione e avviarsi verso la transizione green. Inoltre il carico fiscale è spesso insopportabile e tarpa le ali di chi invece vorrebbe volare alto. Poi c’è un richiamo da fare all’Europa che non ha mai incentivato chi è piccolo a diventare grande e ha combinato il pasticcio del Green Deal.
D. Come modificare il Green Deal?
R. Il Green Deal, pur partendo da un principio condivisibile di sostenibilità, dev’essere riformulato per proteggere le imprese europee. Le attuali normative rischiano di penalizzare in particolare le piccole imprese, già messe a dura prova da costi operativi crescenti e vincoli normativi. L’Unione europea deve adottare un approccio più pragmatico, bilanciando la transizione ecologica con la necessità di sostenere la competitività del sistema produttivo europeo. Bisogna consentire a chi fa impresa di adattarsi gradualmente ai nuovi standard ambientali, senza che la svolta ecologica si trasformi in un ulteriore peso per le imprese, molte delle quali non resisterebbero. Il nuovo corso europeo dovrà avviare una revisione complessiva di normative come quelle del Green Deal, che rischiano di favorire Paesi extra-Ue meno vincolati, a scapito delle imprese europee.
D. Riuscirà la Germania a uscire in tempi brevi dalla crisi?
R. La Germania sta affrontando una crisi strutturale aggravata dalla transizione energetica e dal rallentamento della domanda globale. Questa situazione non è solo un problema tedesco: le ricadute sull’Italia sono inevitabili, considerando che la Germania è il nostro principale partner commerciale. Un rallentamento della crescita tedesca riduce le esportazioni italiane e innesca un effetto domino sui settori industriali interconnessi, a cominciare da quello dell’automobile. Per l’Italia, diventa cruciale diversificare i mercati di riferimento e rafforzare il proprio sistema produttivo interno per mitigare gli impatti negativi.
D. Il Pnrr sta marciando nella giusta direzione?
R. Indubbiamente ha avviato progetti importanti, ma i ritardi nell’attuazione delle riforme concordate in sede europea per ottenerlo e anche i ritardi nella spesa delle risorse ricevute rischiano di comprometterne i risultati. Non si fa abbastanza per accelerare l’esecuzione dei lavori, migliorare il coordinamento tra le amministrazioni e garantire maggiore trasparenza nell’allocazione dei fondi.
D. Come finiranno le grandi manovre in corso in ambito bancario?
R. Le fusioni e acquisizioni in ambito bancario sono guidate dalla necessità di rafforzare il sistema finanziario europeo. Tuttavia, il consolidamento rischia di penalizzare le piccole realtà locali. È probabile che emerga un sistema più integrato, ma con meno operatori. Le piccole imprese hanno bisogno che accanto ai grandi gruppi europei vi siano istituti radicati nel territorio.
D. Le criptovalute sono una bolla o hanno un futuro?
R. Restano un settore controverso. Mentre alcune tecnologie come la blockchain hanno potenziale a lungo termine, la volatilità di molte criptovalute e i recenti crolli o picchi di valore sollevano dubbi sulla loro stabilità. Una regolamentazione adeguata sarà fondamentale per garantirne un futuro sostenibile. È urgente che questo avvenga, prima che sia troppo tardi e ci si ritrovi nel mezzo di terremoti finanziari.
D. Le imprese sono preoccupate per i propositi protezionistici di Trump?
R. L’Italia e l’Europa devono rispondere a queste politiche con un approccio diplomatico, salvaguardando gli interessi delle proprie imprese senza inasprire conflitti commerciali. È essenziale mantenere il dialogo aperto e cercare accordi bilaterali vantaggiosi, anche in un contesto di protezionismo crescente, che per altro va in parte compreso. Dal punto di vista americano, il protezionismo promosso da Donald Trump è una strategia per tutelare il mercato interno e garantire maggiore competitività alle imprese nazionali. Sebbene possa creare tensioni commerciali, è comprensibile che un leader difenda gli interessi economici del proprio Paese. Perciò, per evitare danni, occorre dialogare e trovare soluzioni condivisibili da entrambe le parti. Vorrei aggiungere che anche l’Europa sarebbe ora che difendesse le proprie imprese e produzioni. Come si fa a richiedere standard tecnici ed etici alle nostre imprese e poi concedere l’import a chi non li prevede? Chissà che sotto la spinta di Trump anche l’Europa non si svegli.
Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link