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Epicentro del multiculturalismo felice, capitale dell’ideologia woke, miracolo di valorizzazione delle differenze nel nome dell’uguaglianza formale. Niente di tutto questo: il Canada di Justin Trudeau che oggi vanta il record di attacchi terroristici di matrice anti-semita in Occidente (più di Belgio e Francia, per intenderci) e ripropone con tutta la sua urgenza la vulnerabilità del modello del laisser faire applicato all’accoglienza migranti. Rendendo evidente come, in assenza di regole e di una chiara regia statale, l’integrazione appaia sempre più una chimera, mentre la radicalizzazione islamica, al contempo, qualcosa più di un rischio concreto.
La rappresentazione plastica del fenomeno si è avuta qualche settimana fa, quando a Missisauga, in Ontario, il sindaco Carolyn Parrish ha paragonato il defunto leader di Hamas, Sinwar, a Nelson Mandela, consentendo la celebrazione di una veglia in suo onore. «Ora», scrive il giornalista Terry Gravin (di famiglia irlandese, emigrato in Canada nel 1957) sulla Free Press, «un terzo di tutti i medici ebrei residenti in Ontario, sta pensando di fare le valigie», anche perché «dallo scorso 7 ottobre (data dell’attacco terroristico di Hamas in territorio israeliano) si sono verificate diverse sparatorie nelle scuole ebraiche di Montreal e Toronto, mentre numerose sinagoghe nella British Columbia e nel Quebec sono state incendiate». Ma sono gli ultimi attacchi, avvenuti negli scorsi mesi, dai colpi di arma da fuoco sparati contro una scuola ebraica di Montreal alla vandalizzazione di abitazioni private con immagini e scritte antisemite, ad aver sinistramente riecheggiato lo spettro della “notte dei cristalli” del 1938 in Germania.
Un dato: in tutto il 2023 si sono registrati 5.791 episodi di antisemitismo nel paese. Più del doppio rispetto ai 2.769 del 2022 e ai 2.799 del 2021. In termini percentuali, un aumento del 109%. A danno di una minoranza che, pur rappresentando appena l’1% di tutta la popolazione canadese, subisce molte più manifestazioni di ostilità rispetto a tutti gli altri gruppi. E dire che solo dieci anni fa, il primo ministro Justin Trudeau, sulle pagine del New York Times, aveva dipinto il “nuovo corso” canadese come quello di un Paese votato «all’apertura, al rispetto, alla compassione, ma senza un’identità e senza un mainstream». Salvo poi, ad oggi, rendere evidente come, con una popolazione cresciuta dl 16% solo grazie all’immissione massiccia di migranti, la non-identità del Paese si sia trasformata in qualcosa di essenzialmente nuovo, se non direttamente nel suo opposto di senso: «Un posto vacante, privo di storia, un nulla in attesa di essere riempito», come aveva egregiamente sintetizzato lo psicologo Jordan Peterson sulle colonne del Telegram già qualche anno fa, preludendo alla facilità con cui il proselitismo islamico avrebbe potuto facilmente germinare sul terreno fertile dell’autorazzismo indotto dalla filosofia della decadenza woke.
Anche in questo caso i dati non lasciano spazio a dubbi: uno studio recente di Acn International sulla libertà religiosa ha rilevato che «negli ultimi tre decenni il panorama religioso del Canada ha subito una trasformazione significativa». E se «i cristiani di tutte le denominazioni rimangono ancora la maggioranza con oltre il 60%, la percentuale di canadesi appartenenti a una minoranza e di quelli affiliati a una religione non cristiana è destinata ad aumentare. Entro il 2036, le minoranze dovrebbero costituire più di un terzo dei canadesi in età lavorativa (dai 15 ai 64 anni) mentre il numero di canadesi affiliati a una religione non cristiana crescerà fino al 13-16% della popolazione».
Ma non sono i numeri crudi a spaventare più di quanto non lo sia la percezione di un Paese ideologicamente rassegnato a diventare la prima provincia d’occidente contro l’Occidente, che attraverso l’estremismo multiculturale e la cancel culture coltiva al proprio interno i germi per la sua stessa distruzione. Nella speranza che altre, scorgendone per tempo la parabola discendente, sappiamo reagire e porre rimedio alla distopia di una post-modernità senza regole che ha ormai compiutamente svelato il suo vero volto: quello di filosofia, cioè, votata all’estinzione della tradizione liberal-democratica e dei suoi valori.
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