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Quello tra Eugenio Dalmasson e la Trieste del basket è un intreccio d’amore impossibile da sciogliere. Una storia iniziata nel 2010 in terza serie, quando ancora si cercava di ricostruire dalle macerie del fallimento del 2004.
Da lì, un’ascesa costante, che ha trovato l’apice il 16 giugno 2018, giorno che ha sancito il ritorno in Serie A dei biancorossi: le immagini della festa a Casale Monferrato, culmine di un’esaltante cavalcata, sono ancora scolpite nella memoria di tutti i triestini.
Dopo il suo addio nel 2021, malinconica chiusura di una parentesi lunga 11 anni, allenare un’altra squadra sarebbe stato impossibile per lui. Ecco perché ha deciso di tornare nella natìa Venezia, prendendo al balzo l’opportunità di diventare club manager della Reyer. «Qui ho potuto espandere i miei orizzonti – racconta l’ex coach di Trieste –, e, soprattutto, continuare a vivere nel mondo che amo, quello della pallacanestro».
Ma il passato, domenica, è pronto a fare di nuovo capolino nella sua vita. Perché, per lui, tornare al PalaRubini avrà sempre un significato speciale. Anche se, stavolta, da avversario. «Sarà un piacere enorme rimettere piede in quel palazzetto, riassaporare tutto il suo calore: quello che Trieste mi ha dato, dal punto di vista sia professionale che umano, è qualcosa di indimenticabile».
Dalmasson, l’ultima volta che Trieste giocava in A da neopromossa, nel 2018-19, in panchina c’era lei. E anche allora i biancorossi si trovarono subito in corsa per le Final Eight, poi sfuggite sul più bello…
«Ricordo molto bene. Al di là di tutto, quel campionato è stato il coronamento di un percorso iniziato anni prima. Riuscimmo a competere alla pari con tutte le nostre avversarie, cosa per nulla scontata, grazie a un roster di alto livello, ma anche proponendo una pallacanestro dinamica e divertente. Un’annata da cerchiare in rosso, senza dubbio».
Oggi, l’entusiasmo di sei anni fa sembra tornato più vivo che mai, come testimoniano i numeri record del PalaRubini. Che idea si è fatto della squadra di coach Christian?
«Sicuramente stanno giocando sull’onda emotiva della promozione dello scorso anno, meritatissima per quanto mostrato durante i playoff. Poi in estate il gm Arcieri e tutta la società hanno fatto un ottimo lavoro, costruendo un roster che si sposa al meglio con le idee di gioco del coach. Oltre che nei singoli, la forza sta nel gruppo: nonostante l’assenza di elementi chiave come Brown e Reyes, di volta in volta emergono protagonisti diversi. Penso soprattutto al parco italiani, tra i migliori del campionato».
Tra loro, chi è che fin qui la sta impressionando di più?
«Ruzzier lo conosco bene avendolo allenato da giovanissimo: in Serie A, in questo momento, sono davvero pochi gli italiani con il suo talento nel passare la palla. Un altro che ho visto crescere è Candussi, che forse per la prima volta in carriera sta dimostrando di potersi ritagliare un ruolo importante anche in massima serie. Lo stesso vale per Bossi, Deangeli e Campogrande, tutti determinanti a modo loro e con un attaccamento alla maglia invidiabile».
A proposito di gente che conosce bene: Brooks, arrivato in estate proprio dalla Reyer, con la sua energia e determinazione nel lottare su ogni rimbalzo, ci ha messo poco a diventare un idolo del popolo triestino.
«Jeff è sempre stato un professionista esemplare, la sua carriera parla da sé. Secondo me, aveva bisogno di trovare un ambiente che lo facesse rinascere dal punto di vista delle motivazioni, dove tornare a sentirsi importante, cosa che forse gli era mancata a Milano e a Venezia. Ora in campo ha un fuoco dentro che non gli vedevo da anni. A Trieste sta vivendo una seconda giovinezza, e se la merita tutta perché, oltre che un ottimo giocatore, è una bellissima persona. Sono davvero felice per lui».
Dal golfo di Trieste, passiamo alla laguna di Venezia. La sconfitta al Taliercio con Brescia, l’ottava in stagione, vi ha di fatto estromesso dalla corsa alle Final Eight. Quali sono ora i vostri obiettivi?
«Per adesso pensiamo solo a migliorare la classifica giornata dopo giornata. Siamo consapevoli delle difficoltà che stiamo attraversando: speriamo di recuperare alcuni giocatori per la seconda parte della stagione, mettendo finalmente in campo la squadra programmata quest’estate che purtroppo, per tanti motivi, non è mai riuscita a giocare assieme».
In effetti quest’anno non avete quasi mai avuto il roster al completo.
«E gli infortuni hanno riguardato quasi soltanto il reparto guardie, a partire da quella titolare, Munford, che ha giocato solo 6 minuti nella prima di campionato e speriamo possa rientrare per fine gennaio. Ma pure Parks, Ennis, fino a McGruder (che con Brescia ha rimediato una lesione all’adduttore e non ci sarà a Trieste, ndr). In più dover gestire il doppio impegno campionato-Eurocup non è affatto semplice. La squadra, comunque, è competitiva e siamo convinti che, una volta rientrati tutti, potremo riagganciare il treno playoff. Intanto ci stiamo muovendo sul mercato, fermo restando che la posizione di coach Spahija rimane ben salda».
Come vi state preparando per domani?
«Sappiamo che per vincere a Trieste ci sarà bisogno della miglior Reyer della stagione, specie perché di fronte c’è una squadra lanciata e che potrebbe recuperare una pedina chiave come Markel Brown. In questo momento sono gli avversari peggiori da affrontare per noi, ma stiamo lavorando per arrivare al meglio all’appuntamento del PalaRubini».
Che pronostico si sente di fare?
«Si affrontano due squadre con stati di forma, sia fisica che mentale, opposti. Tuttavia, abbiamo l’esperienza e la qualità per giocarcela alla pari. Se l’esito, quindi, resta incerto, di una cosa sono sicuro: ci sono tutti gli ingredienti per assistere a una gran bella partita di pallacanestro». —
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