Per molti la parola Russia oggi evoca immediatamente Vladimir Putin. Il riflesso quasi automatico è motivato da ragioni politiche. Il problema, tuttavia, è quando si passa in maniera ottusa, com’è tipico dei bislacchi tempi odierni, a pensare alla Russia come a un Paese senza una storia e, peggio ancora, come se fosse priva di una cultura. In sostanza, il morbo del “presentismo”, unito al moralismo e a una certa intransigenza politica, portano a vedere nel Paese che è stato di Gogol e Turgenev, di Dostoevskij e Tolstoj semplicemente la terra del nuovo zar. Secondo una concezione tipicamente progressista e lineare della storia, detto brutalmente, la Russia è un dinosauro. Più ancora, ci dice proprio l’autore di Delitto e castigo, è un enigma.
L’editore Nino Aragno ci ha abituati a curare testi dal sapore aristocratico per tempi che trasudano uno spirito antitetico, chiamiamoli “massocratici”. E ora ha avuto il merito di pubblicare in prima traduzione italiana un documento importante scritto da Fëdor Dostoevskij. Si tratta di Russia, un articolo volto a spiegare l’enigma del suo Paese soprattutto per i non russi, segnatamente gli europei. Con testo russo a fronte, premessa e traduzione di Lucio Coco, lo scritto costituisce il preambolo a una serie di articoli dell’autore sulla letteratura russa (in realtà ne scrisse solo uno del ciclo ventilato).
L’Europa è la seconda nostra patria
Pubblicato originariamente nel 1861 sulla rivista Vremja (“Tempo”), l’articolo è importante per varie ragioni. In primo luogo, dà contezza della concezione della Russia e dell’Europa nella seconda metà dell’Ottocento per una persona russa. In secondo luogo, pone davanti all’europeo un dato di fatto: egli tende a dare giudizi sulla Russia senza averla nemmeno capita. Da questo consegue il pregiudizio costante che alimenta il giudizio sulla terra di Dostoevskij. In terzo luogo, sottolinea lo stesso autore de I fratelli Karamazov, i russi medesimi si trovano nella difficile posizione di sentirsi extra-europei ma anche legati profondamente all’Europa.
Nota infatti Coco nella premessa che nel 1877, nel Diario di uno scrittore, Dostoevskij così scrisse: «Noi non possiamo in nessun modo rinunciare all’Europa. L’Europa è la seconda nostra patria, io per primo con passione lo confesso e l’ho sempre confessato. L’Europa ci è quasi cara come la Russia». Parole di amore che, forse, nessun cittadino europeo di oggi rivolgerebbe alla pallida copia che è diventata l’Europa medesima.
La Russia è un mistero
Senza giri di parole Dostoevskij esordisce affermando che non esiste un paese al mondo «più sconosciuto e inesplorato, più incompreso e incomprensibile» della Russia per i vicini europei. Di più, quando si parla di Russia si tende a discettarne con una «insolita ottusità», come se la si fosse conosciuta e capita. I francesi, scrive in particolare l’autore con una certa godibile ironia, è assai probabile che scriveranno della Russia ancor prima di averla visitata: ciò che li caratterizza è una certa presunzione mescolata alla superficialità di giudizio. Eppure, ammette egli stesso, la Russia è quasi un mistero per i suoi stessi abitanti. Parte dell’Europa oppure altro da essa? Entrambe le cose.
Ma vi è un elemento che l’europeo non capisce, scrive Dostoevskij. Gli europei sono persuasi che in Russia esistano due ceti sociali irreconciliabili: boiardi e servi. Al contrario, le differenze sociali in Russia tendono a fondersi «pacificamente, in accordo tra loro, fraternamente»: esiste una sorta di tessuto comunitario che l’europeo fatica a comprendere, giudicandolo dalla propria prospettiva. Invece di pascersi di libertà ed eguaglianza, si potrebbe forse dire, la Russia pone sopra a tutto la fraternità, che tutti unisce sulla base di una salda appartenenza comune: «Uno solo è il cemento, uno solo è il collegamento, uno solo è il suolo nel quale tutto si unisce e si concilia».
Spirito comunitario
E ancora: «Questa è la garanzia della nostra pace comune, della serenità, dell’amore fraterno e della prosperità. Ogni russo è innanzitutto un russo e quindi già appartiene a una certa classe. Non è così da voi e ci dispiace per voi», conclude Dostoevskij.
Ciò che balza agli occhi, a ben vedere, è uno spirito comunitario, se così si vuole chiamare, che nel mondo occidentale è estraneo. Bene o male, lo giudichi il lettore. Ciò che però va notato è che l’Europa oggi è in crisi forse per un motivo cruciale: è una costruzione politica, artificiale e tecnica senza una base culturale, senza un’anima. Salvador de Madariaga scriveva: «Cristiana nella sua volontà, l’Europa è socratica nella sua mente». Che ne è delle radici greche e cristiane nell’Europa attuale? Può esserci futuro senza una cultura?
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