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Da sempre il sistema sanitario americano viene criticato in tutte le salse. L’omicidio del CEO di Unitedhealthcare è solo la punta di un iceberg di rabbia e malcontento. Facciamo chiarezza sulle differenze sostanziali tra il sistema americano e quelli europei, su come negli anni gli USA abbiano cercato di avvicinarsi ai nostri modelli, mentre noi di contro cavalchiamo l’onda delle privatizzazioni, degenerando lentamente in un sistema sanitario in cui chi paga ha la precedenza, mentre gli altri patiscono in coda.

Il sistema sanitario americano

Lo conosciamo bene perché lo abbiamo visto un milione di volte criticato nei film, nelle serie, e ora nelle pagine di cronaca con l’omicidio-protesta di Brian Thompson, CEO della nota compagnia assicurativa americana Unitedhealthcare. La sanità negli Stati Uniti non è un diritto, è un lusso.

Completamente gestito dalle assicurazioni private, l’accesso alla sanità varia a seconda delle disponibilità economiche di ognuno. Un piano assicurativo individuale può costare in media tra i 500 e i 1000 dollari mensili, anche se molto dipende da fattori quali età, precedenti problemi di salute, zona di residenza eccetera. Tuttavia, esistono alcune agevolazioni quali le assicurazioni familiari (che dipendono dal numero di persone appartenenti al nucleo familiare) o quelle offerte dal datore di lavoro (che copre una parte delle spese), che permettono una riduzione della spesa.

In assenza di copertura assicurativa, chi necessita prestazioni mediche anche d’urgenza si ritrova a dover pagare il conto (salatissimo) a seconda della prestazione. Il listino prezzi varia da Stato a Stato e chiaramente dalle cure ricevute. In media il costo di un parto è sui $10.000, l’intervento dell’ambulanza attorno a $2.000 e l’accesso al pronto soccorso sopra $1.200.

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Il malcontento circa la questione è tanto e dura da tempo: un americano su quattro dichiara di aver dovuto rinunciare alle cure a causa dei costi eccessivi, mentre una stima riportata da Kaiser Health News e National Public Radio sostiene che siano più di 100 milioni le persone costrette a indebitarsi per poter ricevere cure indispensabili alla sopravvivenza.

Negli anni, la questione è stata discussa più volte dalla politica, ma si sa, quando di mezzo ci sono gli interessi di privati con fatturazioni stratosferiche (nel caso di Unitedhealthcare si parla di 281 miliardi di dollari di ricavi) è difficile rimescolare le carte in tavola per rivedere un intero sistema.

Ciononostante, all’epoca del governo Obama si è cercato di smussare, per quanto possibile, alcune profonde lacune del finanziamento della sanità attraverso una riforma meglio conosciuta come Obamacare con la quale sono stati costituiti due programmi sanitari pubblici per specifiche categorie quali over 65, persone sulla soglia della povertà, donne in gravidanza e persone affette da disabilità.

Un tentativo, in realtà molto discusso, per tentare di avvicinarsi ai modelli europei e forse smettere di essere il fanalino di coda nelle classifiche sui sistemi sanitari internazionali, come quella di Commonwealth Foundation che, anche quest’anno, con lo studio “Mirror, mirror”, ha messo il sistema sanitario USA di fronte allo specchio mostrandone la totale assenza di equità sociale.

I maggiori sistemi sanitari europei

Per quel che concerne la sanità, il panorama europeo è in realtà abbastanza eterogeneo. Tuttavia, i sistemi sanitari adottati dai membri dell’Unione si basano su valori comuni quali: l’universalità, l’accesso a un’assistenza di buona qualità, equità e solidarietà. I sistemi sanitari europei si dividono fondamentalmente in tre modelli di finanziamento:

  • Il modello Bismarck: detto anche modello di assicurazione sociale obbligatoria. Introdotto in Germania nel 1883 dal cancelliere Otto von Bismarck, è un modello sanitario fondato su contributi dei lavoratori che o finanziano delle assicurazioni sociali, o vengono versati a enti sanitari pubblici o assicurazioni private.
  •  Il modello Beveridge: detto del sistema sanitario nazionale. Introdotto per la prima volta nel Regno Unito da William Beveridge nel 1946, è un modello sanitario universalistico, nel quale è lo Stato a garantire il finanziamento delle cure sanitarie. Questo modello si basa sul diritto universale alla salute dato dal solo possesso della cittadinanza.
  • Il modello misto: ovvero la convivenza dei due modelli precedenti.

I sistemi attuali, aggiustati nel corso di decenni, non corrispondono più integralmente ai modelli originali ma si stanno modellando in sistemi sempre più complessi per rispondere alle diverse lacune di un sistema e dell’altro.

Anche in Europa, dunque, vige l’eterna discussione attorno alla dicotomia pubblico-privato. Da un lato c’è chi preme per incentivare la privatizzazione del settore sanitario, argomentando che la qualità dello stesso può essere garantita solo dagli interessi economici e dalla spinta all’incentivo data dalla competizione tra privati, dall’altro chi sostiene la necessità di mantenere l’accesso alla sanità come un diritto universale garantito dallo Stato e indipendente dalle possibilità economiche del singolo.

Italia oggi: minima spesa massima resa (del privato)

Secondo la CGIL, il nostro caro e tanto sudato Sistema Sanitario Nazionale, universale e pubblico, conquistato nel 1980 dopo l’abolizione di quello mutualistico, sarebbe al collasso e la legge di bilancio approvata per il 2025 non prometterebbe nulla di buono.

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Anche quest’anno, il governo, soffermandosi sull’aumento progressivo del Fondo Sanitario Nazionale in valori assoluti, si bea di aver raggiunto grandi traguardi, mentre in realtà sta mettendo in scena la solita propaganda da illusionisti. 

La verità è che la quota del PIL destinata alla sanità è calata ulteriormente e scende al 6% “toccando il minimo storico”, come dichiarato da Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE.

Il quadro che emerge dall’analisi della CGIL è chiaro: un Paese che spende sempre meno (ancora meno di quello che spendeva pre-pandemia) per il sistema sanitario pubblico è un Paese che vuole incentivare il settore privato. In parole povere: tagliando le gambe alle prestazioni pubbliche si obbliga i cittadini a ricorrere a visite e cure private.

Ad aggravare la situazione la conferma del tetto alla spesa per il personale sanitario nonostante sia evidentemente insufficiente. Nessuna iniziativa dunque per tentare di risanare la carenza di medici e infermieri, o i salari inadeguati, o i tempi d’attesa sempre più dilatati. Viene però alzato ulteriormente il tetto di spesa per il privato, a cui saranno destinati 1,2 miliardi in più.

I principi fondanti del nostro Sistema Sanitario Nazionale si basano sul modello Beveridge di cui sopra, dunque su valori di universalità, uguaglianza ed equità nell’accesso alle cure. Sembra però che le manovre votate negli ultimi anni non facciano altro che sbandierare una tendenza a voler seguire il (cattivo) esempio americano, secondo il motto: minima spesa (pubblica), massima resa (del privato).

 

Alessia Cancian

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