Tra mancate promesse e spinte secessioniste, 61 anni di autonomia. Ma il Molise può ancora permettersela?

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C’era una volta un Molise pieno di speranze, nato ufficialmente come ventesima regione italiana il 27 dicembre 1963. Quel giorno, il Parlamento modificò la Costituzione per sancire la separazione dall’Abruzzo, e il Molise, finalmente autonomo, iniziò a sognare un futuro di crescita e centralità. Oggi, sessantuno anni dopo, quel sogno sembra appannato, sommerso da criticità strutturali, un’economia fragile e una crisi identitaria che si fa sentire sempre più forte.

Negli anni Sessanta, l’autonomia era vista come la chiave per risolvere problemi secolari: la dipendenza da altre province per i servizi essenziali, la necessità di infrastrutture moderne, l’ambizione di un’industria capace di generare lavoro e benessere. La Fiat di Termoli, inaugurata nel 1972, rappresentò il simbolo di questa speranza, con una previsione di 4.000 dipendenti che dovevano aprire la strada a un boom occupazionale. Ma oggi, tra cassa integrazione e contratti di solidarietà, nello stesso stabilimento restano meno di 2.000 lavoratori, e il futuro è incerto anche per la crisi globale dell’automotive e la disdetta della gigafactory, che resta un progetto appeso a una speranza flebile.

Le infrastrutture, da sempre tallone d’Achille del Molise, non hanno mai colmato il divario con il resto d’Italia. L’autostrada tra Termoli e San Vittore è rimasta un miraggio, le ferrovie sono lente e inadeguate, e la viabilità interna è spesso più una sfida che una risorsa. A tutto questo si aggiunge un bilancio fallimentare di diversi progetti industriali che dovevano rappresentare un punto di svolta per la regione. Lo Zuccherificio del Molise, chiuso definitivamente dopo anni di difficoltà finanziarie, è diventato il simbolo di un’occasione mancata. L’Ittierre, un tempo colosso della moda, ha visto un crollo vertiginoso con la perdita di migliaia di posti di lavoro. La GAM, azienda avicola, è stata travolta dai debiti e dalla mancanza di un piano di rilancio. Il settore automotive, con la crisi dello stabilimento Stellantis a Termoli, resta in bilico tra speranze e preoccupazioni. Esempi che sono solo la punta dell’iceberg di un sistema economico che fatica a mantenersi a galla.

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A complicare il quadro è la situazione sanitaria. Dal 2009, la sanità molisana è commissariata, un unicum che dura da oltre 15 anni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, malgrado lo sforzo messo in campo: ospedali sotto organico, servizi ridotti all’osso, pazienti costretti a spostarsi fuori regione per cure essenziali. La mobilità passiva è diventata la regola, con costi esorbitanti per le casse regionali e disagi enormi per i cittadini. E le tasse restano tra le più alte d’Italia: l’addizionale Irpef per i redditi sopra i 28mila euro è al 3,33%, quasi il doppio rispetto all’Abruzzo. Una contraddizione che alimenta il malcontento.

In questo contesto non sorprende che si parli sempre più insistentemente di riannessione del Molise all’Abruzzo. Il “Comitato per l’aggregazione della provincia di Isernia”, ormai è storia recente, ha raccolto oltre 5.200 firme per chiedere un referendum. I promotori puntano il dito contro un apparato regionale insostenibile, che costa 30,7 milioni di euro l’anno, ovvero 105 euro a testa, contro i 60 euro dell’Abruzzo.  Non è una questione di orgoglio, è una questione di numeri. Con meno di 300mila abitanti, il Molise è la sola regione italiana che oggi ha una popolazione inferiore a quella che aveva al momento dell’Unità d’Italia per via dello spopolamento, uno dei problemi più gravi del Molise. Dai 313mila abitanti del 2013 si è scesi sotto i 290mila nel 2023, con una perdita di circa 2.000 persone ogni anno. I giovani continuano a emigrare in cerca di opportunità che la regione non riesce a offrire, e il tasso di fecondità è tra i più bassi d’Italia. I piccoli comuni, che costituiscono il cuore del Molise, si svuotano lentamente, lasciando dietro di sé paesi fantasma e un territorio sempre più difficile da gestire.

Oggi si chiudono formalmente i festeggiamenti per i 61 anni dell’autonomia, senza più proclami e senza nemmeno le consuete dichiarazioni di rito. Anche la classe dirigente, sul punto, sembra patire un certo imbarazzo. Perchè è vero che, a tutti i livelli, il Molise si interroga sul suo futuro. Ha ancora senso rivendicare l’autonomia quando mancano i numeri, le infrastrutture e i servizi essenziali? Oppure l’autonomia resta un valore irrinunciabile, da difendere e rilanciare attraverso politiche coraggiose e visioni lungimiranti?

La risposta è tutto fuorché scontata. Da un lato, ci sono ragioni storiche e identitarie che fanno del Molise una regione unica; dall’altro, ci sono dati economici e sociali che spingono a pensare che il prezzo dell’autonomia sia ormai troppo alto. Mai come in questo 61esimo compleanno il Molise si trova davanti a un bivio in mezzo alla nebbia: da un lato la strada del rilancio, dall’altro il viale del tramonto.

 





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