Ultimo passaggio (blindato) per la manovra in Senato. Il relatore di maggioranza lascia: “Basta con la singola lettura”. L’opposizione: “Pagliacciata”

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Ultimo atto per la terza legge di Bilancio del governo Meloni che è approdata nell’Aula del Senato e su cui il governo ha posto l’ennesima fiducia che fa decadere le proposte di modifica. Il voto finale è atteso per il 28 dicembre all’ora di pranzo. Le opposizioni hanno nuovamente protestato contro la prassi del monocameralismo di fatto: anche quest’anno uno dei due rami del Parlamento (stavolta appunto il Senato) non ha tempo di discutere il testo e deve votarlo a scatola chiusa. Il relatore di maggioranza, Guido Liris di FdI, a sorpresa si è unito dando simbolicamente le dimissioni per stigmatizzare la cosa. “Chiedo al presidente”, ha detto rivolgendosi a Lorenzo Fontana, “di farsi mediatore perché non ci sia più la singola lettura, perché si torni alla doppia lettura“. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è detto sostanzialmente d’accordo: “La revisione dei meccanismi e delle regole è necessaria. Noi siamo assolutamente disponibili” ma “è materia parlamentare non di governo, l’iniziativa deve essere parlamentare”. Più tardi, intervenendo in replica, il titolare del Mef ha rivendicato la “prudenza” del governo definendola “un valore”: “Come governo che prima di partire a redigere il proprio bilancio aveva 90 miliardi di interessi passivi, non ci possiamo permettere di essere né temerari né avventati né sconsiderati. Questo atteggiamento ha premiato”, ha aggiunto, ricordando la riduzione dello spread. Poi ha ammesso di avere “un rammarico”: “Probabilmente quello che avrei voluto fare di più è per la famiglia e per i figli”.

Le dimissioni di Liris sono state definite “pagliacciata” dalle senatrici di Italia Viva Raffaella Paita e Dafne Musolino. “Una mossa senza precedenti, ma che sa di lacrime di coccodrillo. Se la maggioranza avesse tenuto così tanto alla doppia lettura e alla centralità del Parlamento, non si sarebbe fatta umiliare in questo modo dal governo”. Il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia, aggiunge: “Non si capisce cosa voglia dire dimettersi oggi da relatore, dopo che maggioranza e governo hanno deciso di non dare il mandato al relatore stesso. Calpestando ancora una volta e mortificando il ruolo del Parlamento. Ci si dimette di solito in polemica con chi non ci ha permesso di svolgere il nostro ruolo. Chiediamo a Liris di sapere con chi ce l’ha. Si dimette contro il governo Meloni? Si dimette in polemica con il suo partito che ha sottomesso i gruppi di maggioranza alla volontà ottusa del governo? Forse più semplicemente la maggioranza in Senato ha preso atto che questo livello di umiliazione non è mai stato raggiunto e provano a salvare la coscienza inscenando dimissioni a dir poco risibili”. È l’epilogo (inedito) di due mesi di gestazione alla Camera, culminati in liti notturne, emendamenti votati per errore, 100 milioni avanzati (“sovracoperture“), tensioni con le opposizioni e nella stessa maggioranza fino alle ultime frizioni proprio sui tempi e sul “tour de force inutile” del Senato che in poco più di 24 ore, senza averlo toccato, approverà in via definitiva il testo.

In mattinata si è svolto l’esame in commissione bilancio con 800 proposte di modifica presentate dalle opposizioni. Ma “non si potrà cambiare una virgola di una legge ingiusta”, ha lamentato il Pd. Le opposizioni hanno dato voce a un malessere che serpeggia da tempo – la prassi di una manovra che dal 2018 viene modificata in un solo ramo del Parlamento, esautorando di fatto l’altro – e che evidentemente è condiviso almeno da una parte della maggioranza. “La sensazione è che siamo qui per una manovra arrivata morta, arrivata inerme”, ha sottolineato il capogruppo Francesco Boccia, che dopo 6 mesi di richieste senza risposte è tornato a chiedere “un ddl di modifica delle modalità della legge di contabilità”. “Anche quest’anno, uno dei due rami del Parlamento viene mortificato e privato delle proprie competenze“, ha aggiunto il capogruppo del Movimento 5 Stelle Stefano Patuanelli.

La gestazione della manovra è durata circa due mesi. La legge di bilancio vale 30 miliardi di euro, per lo più impegnati per confermare misure già introdotte con le manovre degli scorsi anni. I vincoli di bilancio europei tornati pienamente in vigore fanno sì che non ci siamo margini per allargare i cordoni della borsa. Vinee reso strutturale l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef. Continueranno dunque ad applicarsi tre aliquote su tre scaglioni: 23% fino a 28mila euro, 35% fino a 50mila euro e 43% oltre i 50mila euro. Piccolo ampliamento per il taglio del cuneo fiscale: la soglia di reddito sale da 35mila a 40mila euro. Per ogni figlio nato o adottato dall’1 gennaio 2025 è riconosciuto un importo una tantum pari a mille euro, per nuclei familiari con Isee non superiore a 40mila euro annui. Tra le modifiche inserite alla Camera si segnala uno sconto sull’Ires che andrà però a beneficio di sole 18mila imprese e una nuova via per il pensionamento anticipato che riguarderà però solo pochi fortunati.

Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, in un’intervista a Repubblica attacca: “Finora Meloni ha fatto leva sul controllo di gran parte dei media, su un dibattito pubblico in cui si parla di tutto tranne che di economia, e sull’assenza di una compiuta alternativa di governo. Ma non durerà. L’economia è in stagnazione e i media vicini alla destra non riusciranno ad occultare la situazione a lungo”. Nel merito, “di fronte a un’economia che si è fermata, al crollo della produzione industriale da 21 mesi consecutivi e al record della povertà assoluta serviva una terapia d’urto per far ripartire il Paese e ridurre le diseguaglianze. Abbiamo invece una legge di bilancio di mero galleggiamento, con forti elementi di iniquità e autentiche schifezze come la cancellazione delle multe ai no vax“. Secondo l’esponente del Pd le priorità del governo “non sono certo la sanità e la scuola pubblica, bensì aprire sempre più spazi ai privati, abbandonando la parte del Paese che sta peggio e lavorando solo a favore di alcuni settori del proprio elettorato”.



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