Byd, Geely, Nio: ecco chi guida l’invasione in Europa delle auto elettriche cinesi

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Forti di sovvenzioni pubbliche miliardarie, le imprese di Pechino preparano l’approdo delle ecar in Occidente e prevedono di guadagnare anche con i dazi

«È come assistere a un incidente stradale al rallentatore, nella speranza di trovare una via d’uscita», ha detto Jens Eskelund, presidente della Camera di commercio europea a Pechino commentando la vicenda dei dazi varati dalla Commissione di Bruxelles per cercare di fermare l’invasione di auto elettriche made in China.
Lo scontro frontale non è ancora avvenuto, soprattutto perché Xi Jinping guida con estrema cautela, consapevole di dover affrontare la sfida con Donald Trump e non vorrebbe scendere sul sentiero di guerra e perdere anche il mercato europeo. Finora Pechino ha reagito alla sanzione europea (dazi fino al 35% sui veicoli cinesi importati) punendo il cognac francese e indagando sulla carne di maiale spagnola. Si tratta ancora di rappresaglia a bassa intensità. Ma il problema resta.
Gli EV cinesi rappresentano già il 25% circa dei modelli acquistati dagli europei. Parlando con il cancelliere Olaf Scholz, angustiato dalla crisi dell’industria automobilistica tedesca che sta molto soffrendo anche nella Repubblica popolare dove la sola Volkswagen conta 39 linee di produzione, Xi ha sostenuto che i governi occidentali, invece di nascondersi dietro il protezionismo, dovrebbero ringraziare la Cina che con prodotti innovativi e basso prezzo «vi aiuta a perseguire i vostri obiettivi “verdi” e fa il bene dei consumatori abbassando l’inflazione».

Lezioni e sussidi

Bella lezione quella di Xi, che però sorvola sui sussidi e i prestiti statali: tra il 2009 e il 2021 l’industria dei veicoli elettrici in Cina ha ricevuto aiuti governativi per almeno 125 miliardi di dollari. Concorrenza «con caratteristiche cinesi».
Non c’è da sperare che il Partito comunista cambi il suo modello di produzione ed export spregiudicato e aggressivo, le vetture cinesi sono ormai sulle nostre strade per restarci. La strategia cinese da anni dirotta l’eccesso di produzione sui mercati stranieri, li stravolge e subentra alle industrie locali. Nel caso del settore dei new energy vehicles ci sono altri due fattori decisivi: le case occidentali hanno tardato a investire e i progettisti cinesi hanno dato ottime prove di ingegno tecnologico. Da Shanghai Bill Russo, guru del mercato automobilistico, conferma che comunque i dazi non fermeranno la corsa dell’export cinese: «BYD, diventata leader del settore elettrico, manterrà costi più bassi rispetto a qualsiasi veicolo che le case europee sono attualmente in grado di offrire». Gli analisti stimano che il gigante di Shenzhen conserverà un margine di utile intorno all’8% sulle vetture esportate in Europa, anche dopo aver scontato sul proprio bilancio la punizione di Bruxelles. In Cina BYD ha già surclassato i concorrenti: a novembre ha venduto 504 mila vetture elettriche, lasciando lontana al secondo posto l’altra casa mandarina Geely a 122 mila unità. 




















































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I tre protagonisti 

BYD è partita nel 1995 producendo batterie i per i telefonini e ha cominciato a lavorare sui motori elettrici nel 2003. Il suo fondatore Wang Chuanfu, nato da contadini poveri nel 1966, orfano da bambino, è stato cresciuto dal fratello e dalla sorella. Laureato in ingegneria chimica, con 300 mila dollari presi a prestito tra i parenti ha costruito il suo sogno (BYD sta per Build Your Dreams). Warren Buffett nel 2008 comprò il 10% delle azioni dello sconosciuto sognatore cinese per 230 milioni di dollari. Il finanziere americano dichiarò che BYD sarebbe diventato il più grande produttore di auto elettriche. La profezia ha ripagato l’Oracolo di Omaha: BYD oggi vale in Borsa 106 miliardi di dollari (la fortuna personale di Wang è stimata in 19 miliardi). L’ingegnere sta creando due teste di ponte con impianti basati in Ungheria e Turchia, in più ha messo in mare una grande nave da carico, la «BYD Explorer No.1» con capacità di 7.000 vetture a viaggio: primo sbarco a Bremerhaven in Germania a febbraio. BYD ha ordinato altre 7 unità sorelle.
Cerca una base europea per una grande linea di produzione elettrica anche Geely, diventata famosa per l’acquisizione e il rilancio della Volvo svedese. Il suo proprietario è Li Shufu, ingegnere che ci ha raccontato di essere nato così povero che disegnava automobiline sulla sabbia, perché il padre contadino non aveva soldi per comperargli quaderni e giocattoli. Li ha preso il controllo di prestigiosi marchi di nicchia, come la Lotus e la fabbrica dei taxi neri di Londra, naturalmente elettrificandoli. Il primo modello Geely è atteso in Italia entro pochi mesi.
Una casa che potrebbe cambiare le nostre abitudini è Nio: la sua specialità sono le stazioni di servizio dove in dieci minuti si cambia la batteria scarica e si riparte. Ha cominciato a costruire queste oasi anche sulle autostrade europee per sostenere la penetrazione della sua ET7.
Ci sono anche innovazioni più immaginifiche in arrivo da Oriente: sul tetto della Yangwang U8 da 140 mila euro, BYD propone come optional una valigetta che piacerebbe a James Bond: contiene un drone pronto al lancio. Utilità se non si è al servizio segreto del Partito comunista? Il drone è programmato per seguire dall’alto il percorso dall’automobile, filmando la scena in alta risoluzione; i video sono trasmessi in tempo reale sullo schermo di bordo e permettono di conoscere la situazione del traffico. Oltre a rappresentare un bel ricordo del viaggio da condividere con gli amici. I costruttori cinesi sono convinti che per battere la depressione da rallentamento economico dei consumatori cinesi (ed europei) si debba stimolare il loro spirito giocoso.

29 dicembre 2024



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