Come si regolano le spese di cause conciliate o estinte?

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


Il giudice ha emesso un’ordinanza facendo una proposta di conciliazione alle parti rispetto ad un giudizio che ne segue uno (per immissioni moleste) conciliato ed un altro estinto per inattività delle parti (per attuare gli obblighi non adempiuti di cui al verbale di conciliazione). Come interpretare e valutare la proposta del giudice? 

Vi è innanzitutto da dire che l’ordinanza del giudice, con la relativa proposta,  ha il solo fine di tentare una conciliazione tra le parti ai sensi dell’articolo 185, 2 comma, c.p.c. e, come espressamente specificato, non anticipa in alcun modo l’esito del giudizio.

Questo vuol dire che le considerazioni che il giudice fa nel motivare l’ordinanza non sono anticipazioni dell’eventuale sentenza e le parti possono contestarne il contenuto nel prosieguo del giudizio nei modi che i difensori riterranno più opportuni.

Ciò detto, è necessario dire e considerare che:

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  • l’articolo 92, comma 3, del Codice di procedura civile (applicabile anche al procedimento ex art. 696 bis c.p.c. giusta quanto deciso dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 29.850 del 2023) stabilisce che se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate a meno che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione. Questo significa che le spese per la Ctu svolta nel corso del giudizio cautelare restano a carico del ricorrente a meno che non si sia diversamente convenuto nel verbale di conciliazione (e pertanto anche gli onorari dei rispettivi difensori e ctp restano a carico delle parti che se ne sono avvalse, salvo loro diverso accordo contenuto nel verbale di conciliazione);
  • l’articolo 310, 4 comma, c.p.c. stabilisce per il giudizio estinto per inattivitĂ  delle parti che le relative spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate (se ve ne fossero state nel suo caso).

Da ciò consegue che se la richiesta avanzata nel giudizio oggi in corso (per la condanna dei convenuti ai danni patrimoniali) fosse da intendersi come tesa alla condanna degli avversari a rifondere all’attore quanto lo stesso ha sopportato per le spese legali, quelle del ctu e del ctp relative al giudizio cautelare conciliato, è chiaro che tale richiesta non potrebbe essere accolta stante il disposto di cui all’articolo 92, comma 3, del Codice di procedura civile e stante il contenuto del verbale conciliativo (che pare non abbia statuito in merito) oltre che dell’ordinanza che rese esecutivo il medesimo.

Se, invece, con il giudizio oggi in corso l’attore intende chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali intesi non come le spese del giudizio cautelare (onorari dell’avvocato, del ctu e del ctp), ma nel diverso senso esplicitato nel quesito (cioè di ristoro per gli effetti conseguenti ai rumori molesti), allora per poterne ottenere il risarcimento l’attore ha l’onere (articolo 2697 Codice civile) di provare l’esistenza di un danno, il fatto che lo ha generato, il nesso causale fra il fatto che ha causato il danno ed il danno medesimo e la quantificazione di esso.

Stesso onere di prova incombe sull’attore anche per ciò che concerne i danni non patrimoniali.

A tal fine la perizia (cioè la ctu) espletata in altro giudizio (cioè, quanto al suo caso, quello conclusosi con la conciliazione) non è di per se stessa prova del danno, del fatto che lo ha generato e del nesso causale, ma vale come presunzione semplice ai sensi dell’articolo 2729 del Codice civile o come semplice argomento di prova che deve essere sottoposta al contraddittorio tra le parti e deve essere assunta in giudizio nel rispetto dei termini stabiliti dal Codice di rito (in questo senso si è espresso il Tribunale di Reggio Emilia con sentenza n. 1.333 del 2021 e la Corte di Appello di Roma con sentenza del 19 settembre 2022 contenente ampi richiami ad arresti della Cassazione).

Questo significa che la perizia resa dal ctu in altro giudizio, come tutte le altre presunzioni semplici, è lasciata dalla legge alla prudente valutazione del giudice che dovrà ammetterla solo se ritenuta grave, precisa e concordante (potrebbe, quindi, anche non essere sufficiente, nella valutazione fattane del giudice, a dimostrare tutto quello che l’attore ha l’onere di dimostrare).

Per quello che riguarda invece le perizie mediche di parte (del cardiologo, del neurologo ed eventuali altre), la Corte di Cassazione (sentenza n. 2980 del 2023) ha chiarito che esse non costituiscono prove dei fatti che si intendono con esse dimostrare, ma semplici indizi (che il giudice valuta discrezionalmente).

Le perizie di parte assurgono invece a rango di prova, ed il giudice allora avrà il dovere di esprimersi su esse (ai fini della loro rilevanza probatoria), se il consulente di parte che le ha prodotte viene ascoltato come testimone nel processo (occorrendo evidentemente che il difensore ne chieda al giudice, nei termini di legge, l’assunzione come teste).

Chiaro è invece che se le perizie sono state regolarmente prodotte in giudizio, di esse il giudice dovrà tener conto (non potendole trascurare o confondere con documenti di spesa) o come presunzioni semplici oppure come prove vere e proprie laddove il relativo contenuto abbia formato oggetto di prova testimoniale.

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Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte



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