Corte Costituzionale: legittima la definizione delle liti pendenti

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Vediamo per quali motivi la Corte Costituzionale ha valutato legittima la definizione agevolata delle liti tributarie pendenti prevista dalla Legge di Bilancio per il 2023…

La Corte Costituzionale ha affermato la legittimità della disciplina in tema di definizione agevolata del contenzioso tributario, rilevando, tra le altre, che deve escludersi la sussistenza della violazione del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.

La scelta della definizione agevolata è stata favorita dal legislatore perché da essa possono discendere sia un tempestivo introito finanziario, benché in misura ridotta rispetto a quella astrattamente ricavabile, sia la deflazione del contenzioso, dovendosi dare adeguato rilievo all’evidente interesse dello Stato alla deflazione del contenzioso tributario e ai conseguenti risparmi di spesa.

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L’intervento della corte costituzionale sulla definizione agevolata delle liti pendenti

La Corte Costituzionale, con la Sentenza 28/11/2024, n. 189, si è pronunciata in relazione alla legittimità costituzionale della disciplina in tema di definizione agevolata di cui all’art. 1, commi 197, 198, 200 e 201, della L. 29 dicembre 2022, n. 197, su ordinanze di rinvio da parte della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria e della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.

In particolare, per quanto di interesse, la Corte della Calabria aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale per la parte in cui si prevede che, in caso di deposito della copia della domanda di definizione agevolata e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo è dichiarato estinto, per violazione degli artt. 3, 10, 11, 23, 24, 53, 80, 81, 97, primo comma, e 111 della Costituzione, dell’art. 113 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), degli artt. 6, 13 e 17 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dell’art. K.3 del Trattato sull’Unione europea (TUE), laddove in particolare si prevede che la dichiarazione di estinzione opera immediatamente, anche in pendenza del termine fissato all’Amministrazione per decidere in ordine all’eventuale diniego alla domanda.

 

I dubbi di costituzionalità

La rilevanza delle questioni è illustrata considerando che, dopo il deposito della domanda di definizione agevolata e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il giudice adito deve dichiarare estinto il processo, “salvo poi dover prendere atto” che tale estinzione abbia “definitivamente compromesso” sia “il principio costituzionale generale della tutela dei crediti erariali e delle pubbliche finanze” (artt. 53, 81 e 97, comma primo, Cost.), sia quello di “garanzia del giusto processo” (art. 111 Cost.), sia, infine, quello di uguaglianza (art. 3 Cost.), “posto che verrebbero ad equipararsi, nel sistema ideato dall’art. 1, commi 186 e seguenti della L. n. 197 del 2022, le situazioni di chi ha assolto interamente all’onere di versamento, rispetto a chi ha optato per il versamento immediato della sola prima rata“, laddove poi, l’eventuale diniego della definizione agevolata da parte dell’Amministrazione finanziaria dovrebbe essere impugnato dinanzi allo stesso organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia, con revocazione del provvedimento di estinzione già pronunciato ai sensi dell’art. 1, comma 198.

I giudici rimettenti sostenevano inoltre la violazione del principio di capacità contributiva (ex art. 53 Cost.), posto che due contribuenti di pari capacità, a seguito dell’avvenuta definizione, vengono così chiamati a corrispondere importi diversi, anche in violazione del principio di equilibrio del bilancio (ex art. 81 Cost.), per i riflessi sulle previsioni annuali di competenza delle entrate erariali, che verrebbero decurtate senza che il legislatore abbia provveduto alla previsione di un apposito fondo di bilancio utile a compensare, appunto, le minori entrate.

La Corte del Lazio, per conto suo, rilevava, tra le altre, che l’estinzione automatica del processo colliderebbe con gli artt. 3, 23, 24, 53 e 81 Cost. e con gli artt. 6, 13 e 17 CEDU, dovendo essere adottata dal giudice senza nemmeno tener conto dell’esito amministrativo della definizione e dell’eventuale diniego, ed essendovi conflitto altresì con l’art. 23 Cost., in quanto la disposizione censurata sarebbe nella sostanza un’ennesima misura di condono fiscale che indebolirebbe irragionevolmente il sistema tributario. L’art. 1, comma 198, della L. n. 197 del 2022 produrrebbe poi, secondo gli stessi giudici, ancora, lesioni del principio di tutela dei crediti erariali e delle pubbliche finanze (artt. 53, 81 e 97, comma primo, Cost.).

La Corte Costituzionale, rilevato che i giudizi avevano ad oggetto le medesime disposizioni e ponevano identiche questioni, ne disponeva la riunione ai fini di una decisione congiunta e, dopo aver richiamato il quadro di sintesi della disciplina normativa e dichiarato l’inammissibilità di molte delle questioni poste, limita l’esame al profilo dei parametri di cui agli artt. 3, 24, 53 e 111 Cost., con riferimento ai quali soltanto le ordinanze di rimessione indicavano una sufficiente illustrazione.

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La sentenza della Consulta

In ogni caso la Consulta ritiene le questioni non fondate. Evidenziano, tra le altre, i giudici che la disciplina della definizione agevolata deve essere letta nell’ambito del più ampio contesto degli interventi di carattere strutturale attuativi degli impegni assunti nel PNRR e trova origine e giustificazione nella situazione critica dello stato del contenzioso tributario.

L’evidente finalità principale di tale disciplina è, quindi, quella di conseguire rapidamente gli obiettivi di riduzione del numero dei giudizi tributari pendenti, laddove i dubbi sui possibili pregiudizi che i rimettenti prefiguravano a detrimento delle esigenze di tutela dei crediti erariali nell’eventualità che il contribuente, dopo il pagamento della prima rata, resti inadempiente, possono comunque agevolmente essere superati alla luce del disposto del comma 194 dell’art. 1 della L. n. 197 del 2022, ove si prevede l’applicazione delle disposizioni dell’art. 8 del D.Lgs. n. 218 del 1997, il quale, al comma 4, stabilisce che, in ipotesi di inadempimento nei pagamenti rateali, si applicano le disposizioni di cui all’art. 15-ter del D.P.R. n. 602 del 1973, che comportano l’iscrizione a ruolo del debito residuo, degli interessi e delle relative sanzioni.

Deve, infine, escludersi, secondo la Corte Costituzionale, la sussistenza della denunciata violazione del principio di capacità contributiva, dato che la scelta della definizione agevolata è stata favorita dal legislatore perché da essa possono discendere sia un tempestivo introito finanziario, benché in misura ridotta rispetto a quella astrattamente ricavabile, sia la deflazione del contenzioso.

La Consulta rileva infine che le ordinanze di rimessione paventano unicamente l’effetto di riduzione delle entrate finanziarie derivante dalle definizioni agevolate, senza però dare adeguato rilievo all’evidente interesse dello Stato alla deflazione del contenzioso tributario, con i relativi, conseguenti, risparmi di spesa.

NdR. Definizione Liti pendenti: ecco la norma della Legge di bilancio per il 2023

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Sabato 28 Dicembre 224



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