Ecco come Confindustria con il ministero dell’Ambiente sta cercando di sventare alcune follie insite nel Green Deal Ue. L’approfondimento di Giuseppe Liturri
Affiorano i primi timidi segnali di risveglio degli imprenditori italiani contro la burocrazia imposta dalla Ue, diventata asfissiante con il Green Deal promosso dalla precedente Commissione guidata da Ursula Von der Leyen.
È un lavoro che dura da mesi e che finora si è svolto sottotraccia, condotto a braccetto dai tecnici di Confindustria e da quelli del Ministero dell’Ambiente (Mase) guidato da Gilberto Pichetto Fratin e di cui possiamo riferirvi, avendo avuto accesso a fonti vicine al dossier, sia pure con la cautela necessaria essendo il cantiere dei lavori tuttora aperto. Nel mirino ci sono due direttive (di cui una già recepita in Italia) relative alla rendicontazione di sostenibilità e all’obbligo di monitoraggio dei fattori ESG lungo tutta la filiera produttiva, rispettivamente la CSRD (2022/2464) e la CSDDD (2024/1760).
Il tutto sta avvenendo lontano dai riflettori dei media probabilmente perché esiste una naturale e condivisibile propensione a non creare aspettative troppo elevate tra gli imprenditori e a parlare quindi solo a risultati raggiunti. D’altro canto, pesa anche la tendenza a non voler ammettere che anni di atti di fede verso le magnifiche sorti e progressive della Ue hanno avviato la desertificazione industriale ed ammettere di aver sbagliato è comprensibilmente
La pressione che sta montando dal fronte delle imprese verso il report di sostenibilità e la direttiva (Csddd del 2024) – che le obbligherebbe a una complessa attività di rendicontazione e di prevenzione e monitoraggio del rispetto dei fattori ESG lungo tutta la catena di fornitura a monte e a valle – ha quindi trovato almeno un canale lungo cui defluire e arrivare sul tavolo della Commissione, che non avrà tanto tempo per tergiversare. Sultavolo di consultazione prontamente istituito presso il Mase sono già arrivate le perplessità dei tecnici di viale dell’Astronomia verso quelle regole che impongono uno sproporzionato onere informativo alle imprese.
Dopo alcune settimane di consultazioni anche con le analoghe associazioni di Parigi e Berlino, le proposte si concentrano su due direttrici. La prima è quella di rinviare di almeno due anni l’entrata in vigore degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità per le grandi imprese e per le PMI quotate. Infatti, non si può chiedere alle imprese italiane di partire già dalle prossime settimane nel predisporre un complesso e costoso apparato informativo con rilevanti ricadute organizzative, mentre lo scorso 20 settembre la Commissione ha avviato una procedura d’infrazione per il mancato recepimento di quella direttiva a carico di ben 17 Stati membri (tra cui spiccano Germania e Spagna).
La seconda è quella di bloccare i termini per il recepimento della Csddd – entrata in vigore il 25 luglio 2024 e da recepire entro 18 mesi – per un periodo di tempo sufficientemente lungo, necessario per capire il funzionamento in concreto del report di sostenibilità, a cui è legata a doppio filo. Con il probabile esito di mettere definitivamente nel congelatore la Csddd. Contro la quale proprio domenica 22 sul Financial Times si è scagliato il ministro dell’energia del Qatar, Saad al-Kaabi, rifiutando le sanzioni che comporta e minacciando di interrompere le forniture di gas alla UE.
Peraltro, in Italia e nella UE, relativamente ai fattori ESG esiste già uno sterminato elenco di leggi che impongono il rispetto dell’ambiente, dei lavoratori e delle comunità in cui si opera, oltre a un assetto di governo societario che prevenga frodi e corruzione. Motivo per cui le imprese sono sostenibili per definizione, perché l’alternativa sarebbe finire in Procura. Tutto il resto è una paccottiglia di ulteriori regole che si sta cercando surrettiziamente di introdurre, ammantandole come principi tecnici (gli standard Esrs) che invece limitano la libertà d’impresa, creando imprese di seria A e serie B, aggirando così la potestà legislativa.
Il Green Deal della Von der Leyen
Parole pesanti come macigni che hanno costretto la neonata Commissione a promettere un “clean industrial deal” con l’obiettivo diminuire il peso regolatorio che minaccia la competitività dell’industria europea. La prima scadenza è fissata per febbraio, quando la Commissione dovrà proprio adottare un atto normativo per correggere le due direttive sulla sostenibilità.Nell’attesa, è bene che le imprese attendano prima di impegnarsi in costosi, complessi e delicati interventi per fare i conti con quelle disposizioni che, al momento, non valgono nemmeno la carta su cui sono stampate.
(Testo ampliato e aggiornato di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità il 24 dicembre)
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