I dati principali della Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per l’anno 2024, Francesca Subioli

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Approvata dall’apposita Commissione lo scorso 30 settembre, la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per l’anno 2024 presenta i risultati conseguiti dall’Italia in materia di contrasto all’evasione fiscale e contributiva nel periodo 2017-2021. Rispetto alle versioni precedenti, la Relazione 2024 aggiunge alcune informazioni richieste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (con specifico riferimento all’obiettivo di “Riduzione del tax gap” di cui alla Missione 1, Componente 1 del PNRR), e inserisce i dati per il nostro Pease nel più ampio contesto europeo in risposta alla recente riforma della governance economica europea e ai suoi impatti sul ciclo di programmazione economico-finanziaria dei singoli paesi membri. Come principale evidenza, la Relazione conferma una tendenza di medio periodo alla riduzione sia dell’incidenza dell’economia non osservata sul PIL, sia del cosiddetto tax gap, ossia il rapporto fra le entrate sottratte alla finanza pubblica a causa dell’evasione e il gettito potenziale. Riportiamo in quanto segue i dati e le osservazioni principali contenute nella Relazione relative all’estensione dell’economia sommersa e del tax gap e alle misure di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale e contributiva nel periodo considerato.

Il sommerso economico. L’economia non osservata, ossia l’insieme di tutte le basi imponibili che, per vari motivi, sfuggono all’osservazione statistica diretta, è composta dall’economia sommersa, che comprende attività legali ma non dichiarate, e dall’economia illegale. Le due principali componenti dell’economia sommersa sono la sotto-dichiarazione, ovvero la mancata dichiarazione di una parte del reddito o del valore aggiunto generato dalle imprese, e il lavoro irregolare, cioè le forme di impiego non dichiarate ufficialmente. Le due componenti rappresentano rispettivamente il 52,5 e il 39,2 per cento del totale. Le altre componenti dell’economia sommersa, che pesano per l’8,3 per cento, comprendono altre attività come le mance non dichiarate e i canoni di locazione in nero. Sulla base dei Conti nazionali pubblicati a marzo del 2024, il valore aggiunto generato dal sommerso economico si attesta nel 2021 a 173,8 miliardi di euro. L’incidenza sul PIL nel 2021 è stata del 9,5%, che è inferiore di un punto rispetto a quella del periodo pre-pandemico e di circa un quinto rispetto a 10 anni prima.

In termini di settori coinvolti, l’incidenza dell’economia sommersa sul valore aggiunto complessivo è particolarmente elevata nel settore terziario e, in particolare, nelle altre attività dei servizi (parrucchieri, centri estetici, palestre, servizi domestici), dove nel 2021 è stata del 34,6%, nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (20,9%) e nelle attività professionali, scientifiche, tecniche (12,2%). Un peso significativo si osserva anche nelle costruzioni (18,2%) e in agricoltura, silvicoltura e pesca (15,7%). In termini di contribuzione alla complessiva riduzione dell’incidenza del sommerso sull’economia nazionale, si riscontra una riduzione di 1,2 punti percentuali del peso del sommerso per agricoltura, costruzioni e commercio, trasporti alloggio e ristorazione, ma un incremento nelle attività professionali, scientifiche e tecniche di 1,2 punti percentuali e nelle altre attività di servizi (personali, ricreativi e domestici) di 0,6.

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Emergono inoltre rilevanti disparità regionali nell’incidenza dell’economia non osservata; nel 2021 era pari al 17,2% nel Mezzogiorno, al 12,3% nel Centro, al 9,7% nel Nord-est e al 9,2% nel Nord-ovest. Anche a livello regionale prevale ovunque l’incidenza del valore aggiunto generato dalla sotto-dichiarazione, che raggiunge il livello più alto nel Mezzogiorno (7,8%) e quello più contenuto nel Nord-ovest (4,4%). Nel Mezzogiorno è significativa anche la quota di valore aggiunto generato dall’impiego di lavoro irregolare: il 6,5% – ed il record è della Calabria (19,1%). L’incidenza più bassa si registra nella Provincia Autonoma di Bolzano (8,0%). La Figura 1 fornisce il quadro completo dell’incidenza delle tre componenti dell’economia non osservata sul valore aggiunto di ogni regione.

Figura 1: Incidenza delle componenti dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale, anno 2021 (valori percentuali)

Fonte: Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva anno 2024, p. 21.

L’evasione fiscale e contributiva. La Relazione utilizza come indicatore dell’evasione fiscale e contributiva il cosiddetto tax gap, che misura l’impatto del mancato adempimento degli obblighi di dichiarazione e versamento delle principali imposte e dei contributi. Il tax gap viene presentato in termini assoluti, come totale delle entrate sottratte alla finanza pubblica a causa dell’evasione, o come propensione al tax gap, ossia in rapporto al gettito potenziale. L’analisi del tax gap viene effettuata dall’Agenzia delle entrate, dal Dipartimento delle finanze del MEF e dall’Istat. È importante sottolineare che una diminuzione del tax gap non è, di per sé, indicativa di un aumento del gettito fiscale, perché risente anche dell’andamento del gettito potenziale. Nel 2021, il gap complessivo, tributario e contributivo, risulta pari a 82,4 miliardi di euro, di cui circa 72 miliardi di entrate tributarie. Nella media del quinquennio 2017-2021, il gap complessivo è stato di circa 96 miliardi di euro, di cui 84,4 di mancate entrate tributarie e 11,6 di mancate entrate contributive. Nello stesso periodo, si osserva una riduzione del gap di circa un quarto (26 miliardi), quasi interamente dovuta alla riduzione del tax gap relativo alle entrate tributarie (24,6 miliardi). La Figura 2 mostra il contributo delle singole voci di imposta sul gap fiscale complessivo (escludendo quindi il gap contributivo): oltre il 70% della riduzione, pari a circa 17,8 miliardi di euro, è dovuto alla riduzione del gap IVA che si è dimezzato. In termini percentuali, la maggiore riduzione si registra per il tax gap delle locazioni, che si riduce di quasi l’80%.

Figura 2: Il tax gap fiscale in Italia, 2017-2021 (milioni di Euro)

Fonte: Elaborazioni dalla Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva anno 2024, Tabella I.1.

Espresso in rapporto al gettito potenziale, il tax gap è sceso al 15% nel 2021, con una riduzione di circa 6 punti percentuali nel quinquennio 2017-2021. È bene ricordare che, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal PNRR, l’obiettivo M1C1-121 (Missione 1, Componente 1 del PNRR) prevede che la propensione all’evasione, calcolata per tutte le imposte ad esclusione dell’IMU e delle accise, passi dal 18,5% del 2019 al 17,6% nel 2023 e, infine al 15,7% nel 2024. Al netto di eventuali inversioni di tendenza che dovessero intervenire fra il 2022 ed il 2024, quindi, l’obiettivo risulterebbe già raggiunto nel 2021, essendo la propensione al gap delle imposte al netto dell’IMU e delle accise pari al 14,9%, quasi il 20% in meno rispetto al valore del 2019.

La Relazione fornisce anche un quadro del tax gap nel lungo periodo, dal 2001 al 2021, per le quattro principali imposte che incidono sul mondo delle imprese e del lavoro autonomo (IRAP, IVA, IRES, e IRPEF da lavoro autonomo e impresa). La media annuale tra il 2001 e il 2021 si attesta sugli 80,8 miliardi di euro, con significative oscillazioni. Come mostra la Figura 3, il tax gap ha seguito un marcato andamento oscillatorio. Il picco è stato raggiunto nel 2004: 90,5 miliardi di euro mentre il valore più basso è stato rilevato, dopo 4 anni di continue riduzioni, nel 2021: 60,1 miliardi.

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Figura 3: Il tax gap in Italia per le quattro imposte principali, 2001-2021 (milioni di Euro)

Fonte: Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva anno 2024, p. 50.

Queste cifre si riflettono sulla propensione al gap per le quattro imposte mostrata in Figura 4: negli ultimi 20 anni, essa è rimasta sempre piuttosto alta (32,5% in media), ma si è sostanzialmente ridotta passando dal 34,2% nel 2001 al 24,3% nel 2021. La riduzione maggiore a livello complessivo è avvenuta tra il 2004 e il 2007 (da 36,9% a circa 27,8%), dovuta in buona parte all’innalzamento dell’imposta potenziale, il denominatore del rapporto, ma anche alla riduzione del gap in valore assoluto già evidenziata in Figura 3. Il valore elevato della propensione è dovuto principalmente all’IRPEF da lavoro autonomo e impresa: l’imposta evasa rappresenta mediamente il 63,9% di quella potenziale e, diversamente dalle altre imposte, risulta in quasi costante crescita negli ultimi anni. All’estremo opposto si trova l’IRAP, non soltanto per l’entità assoluta dell’evasione, ma anche per il valore minimo della propensione ad evadere (20,2% in media). Nel 2021, l’ultimo anno di osservazione, la propensione all’evasione si è ridotta in tutte e quattro le imposte considerate.

Figura 4: Propensione al gap in Italia per le quattro imposte principali, 2001-2021

Fonte: Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva anno 2024, p. 52.

L’Italia nel contesto europeo. Il confronto con gli altri paesi europei è possibile, per il momento, solo con riferimento all’imposta sul valore aggiunto (IVA), per la quale sono disponibili valutazioni omogenee di fonte ufficiale. Come riportato in Figura 5, il tax gap italiano per l’IVA (VAT gap), in termini di imposta potenziale, è rimasto significativamente al di sopra della media europea (10,8% contro 5,3%) ma, al tempo stesso, si è ridotto in modo più pronunciato nell’ultimo quinquennio (12,7 punti percentuali contro 5,6 punti percentuali).

Figura 5: VAT gap nei paesi europei, 2017-2021 (valori percentuali)

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Fonte: Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva anno 2024, p. 10.

Prevenzione e contrasto. Nella letteratura economica (si veda J.Alm, “What Motivates Tax Compliance”, Journal of Economic Surveys, 2019, per una rassegna) è ormai diffusa la consapevolezza che i livelli e gli andamenti dell’evasione fiscale e contributiva dipendano da un complesso insieme di fattori, tra i quali sono di importanza fondamentale le strategie di prevenzione e contrasto dell’evasione da parte delle pubbliche amministrazioni. In Italia, sono responsabili di tali attività l’Agenzia delle entrate, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, la Guardia di Finanza, le Regioni e gli Enti locali, l’Ispettorato nazionale del lavoro (INL), l’Inps e l’Inail. La Relazione sottolinea che gli andamenti sopra descritti dell’evasione fiscale e del tax gap possono, almeno in parte, essere ricondotti alle azioni di prevenzione e contrasto dell’evasione basate, da un lato, sulla scelta di promuovere e rafforzare la propensione all’adempimento spontaneo e, dall’altro, alla maggiore efficienza dei controlli mediante una migliore selezione ex ante delle posizioni da sottoporre ad accertamento. Inoltre, le strategie di controllo hanno beneficiato dell’utilizzo efficiente delle informazioni disponibili.

L’attività di prevenzione e contrasto all’evasione si è focalizzata sull’incremento della compliance fiscale, attraverso lo sviluppo di strumenti e servizi digitali che semplificano la presentazione delle dichiarazioni, riducono gli adempimenti a carico dei contribuenti e potenziano l’assistenza telematica. Tra gli esempi riportati nella Relazione troviamo la “dichiarazione precompilata” e la possibilità di registrare online i contratti preliminari di compravendita. Nel quadro delle misure per favorire la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha messo in atto iniziative come la fatturazione elettronica obbligatoria e le lettere di compliance, che segnalano possibili anomalie fiscali ai contribuenti, permettendo loro di correggere errori tramite il cosiddetto ravvedimento operoso. Queste misure si sono integrate con l’uso avanzato di tecnologie come l’Intelligenza Artificiale e l’interoperabilità delle banche dati, migliorando l’efficacia delle strategie di controllo.

In termini di risultati, nel 2023 sono state inviate oltre 3,2 milioni di lettere di compliance, che hanno contribuito all’incasso di 4,2 miliardi di euro. Complessivamente, l’attività di promozione della compliance e di controllo ha portato nelle casse dello Stato 24,7 miliardi di euro, di cui 4,2 derivanti da versamenti diretti da attività di promozione della compliance, 8,1 miliardi derivanti dalla riscossione tramite ruoli, e 12,4 miliardi relativi a incassi da versamenti diretti da contrasto all’evasione. Questi ultimi, in particolare, si riferiscono a versamenti diretti a seguito dell’attività di accertamento per imposte dirette, IVA, IRAP e Registro, di controllo formale delle dichiarazioni dei redditi, degli atti e delle dichiarazioni sottoposte a registrazione, nonché di liquidazione automatizzata delle dichiarazioni. I controlli hanno puntato sui fenomeni di evasione più rilevanti, come frodi IVA, evasione totale, frodi doganali e internazionali, spesso attuate tramite piattaforme digitali. Come anticipato, per migliorare l’efficacia dei controlli, l’Agenzia ha utilizzato tecnologie avanzate e ha rafforzato la selettività degli accertamenti, indirizzandoli verso soggetti ad alta “pericolosità fiscale”. Sono state inoltre intensificate le verifiche sui crediti d’imposta, come quelli legati ai bonus edilizi, e le attività di contrasto alle frodi IVA intracomunitarie.

Tutto ciò dimostra che le potenzialità di recupero dell’evasione con una sapiente raccolta di dati ed un loro altrettanto sapiente (e prudente) utilizzo sono degne di nota. Questa evidenza spinge a interrogarsi sull’efficacia e opportunità di misure alternative come il Concordato fiscale preventivo che, come ha recentemente osservato sul Menabò Cecilia Guerra, rischia di condurre a un aumento dell’evasione fiscale.



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