Il presidente del Senato: sarei sordo per l’età? Gli auguro di arrivarci come me
Il giorno dopo le scintille in Aula con Matteo Renzi, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, è in viaggio: «Dopo tanti Capodanni tra Alagna, Cortina e Courmayeur, torno a passare il 31 dicembre dopo mezzo secolo nella mia casa sull’Etna. Sono felice».
Il senatore Renzi le ha chiesto scusa?
«No. Ma non sono offeso».
L’altroieri ha fatto battute sulla sua età…
«Quello che ha detto mi è scivolato addosso. Sarei sordo per l’età? Io l’età non l’ho mai nascosta (77 anni, ndr) e anzi gli auguro di arrivarci come ci sono arrivato io. In crescendo. Ma lui promette male, visto che è passato dal 40% (col Pd, ndr) al 3% (con Iv, ndr) dei voti».
Le ha dato pure del «camerata».
«Cercava la rissa. Sinceramente, però, sapendolo bravo nell’invettiva, mi aspettavo qualcosa di più originale. L’ho trovato un segno di decadimento, chissà quando avrà la mia età! Ma volete la verità?».
Prego.
«Sabato in Aula c’era una disattenzione totale mentre Renzi parlava, difendendo — io dico pure “legittimamente” — i suoi redditi guadagnati all’estero. E l’ha mandato in bestia proprio questo fatto che c’era la diretta Rai e i senatori non stavano a sentirlo: anzi entravano e uscivano come succede durante l’80% degli interventi, mentre invece non vola mai una mosca quando ci sono gli interventi top, compresi i suoi. Ma non stavolta».
Renzi a parte, lei è accusato sovente di non essere un presidente super partes.
«Io invece sono soddisfatto di come sto svolgendo il mio incarico, i rapporti con tutti i capigruppo, anche quelli dei partiti più a sinistra, sono buoni, direi anzi amichevoli. Io faccio il vigile urbano, dirigo i lavori nel modo migliore che posso e me lo riconoscono le opposizioni. Quest’anno ho fatto pure il giudice di pace tra Renzi e Calenda dopo che avevano litigato».
Però a volte…
«Quando non indosso l’abito del presidente del Senato mi piace dire la mia, anche se per opportunità non per legge mi devo trattenere e allora diciamo che mi esprimo liberamente al 30%. Infatti da presidente la cosa che mi manca di più è quella di poter intervenire in Aula. Ma ricordo che è il regolamento stesso del Senato a prevedere che il suo presidente si debba iscrivere a un gruppo e io sono iscritto a FdI. Vogliamo parlare dei miei predecessori?».
Parliamone.
«Fanfani faceva addirittura le riunioni della sua corrente Dc a Palazzo Giustiniani. Presidenti di Camera come Bertinotti e Fini hanno fondato partiti. E mi attaccano per il busto del Duce…».
Beh, insomma.
«Quel busto ha raggiunto 234 mila citazioni giornalistiche, le ho contate. Ora sta a casa di mia sorella. Mi dispiace però che nella ripresa video, carpita anni prima che diventassi presidente, sia stato tagliato che si trattava di un oggetto di valore ereditato da mio padre, che conservavo in sua memoria. È stato un errore? Lascio a voi giudicare».
E un errore che riconosce di aver fatto?
«Quando parlando dell’attentato di via Rasella dissi che i soldati altoatesini uccisi dai partigiani erano solo una banda militare: ma l’avevo letto in un libro, era sbagliato e io in buona fede lo citai. Ma è altrettanto sbagliato dire che erano SS. Comunque ho chiesto scusa».
Ha ricostruito l’incidente capitato durante il concerto di Natale di Riccardo Muti?
«Il telefonino non era di un senatore, ma di un signore con un abito spezzato, pantaloni grigi e giacca sportiva, che stava nel palco dove c’erano le telecamere e alcuni ospiti. Gli è arrivato un messaggio e ha suonato, così mi hanno riferito».
Sulla legge di Bilancio, però, il Senato ha potuto fare ben poco.
«Lo so. Per rimediare allora bisogna cambiare il bicameralismo. Da anni, però, per la legge di Bilancio regna la prassi che una Camera la fa e l’altra la subisce, diciamo così. L’anno prossimo toccherà a noi farla».
Ce l’ha un sogno?
«Sempre lo stesso: la pacificazione per gli anni di piombo, ma sono costretto a tenerlo in un cassetto. Il dopoguerra non è ancora finito».
Il 7 gennaio torneranno le polemiche per l’anniversario dell’eccidio di Acca Larenzia.
«Noi di FdI lo ricordiamo sempre. Trovo invece criticabile il modo troppo militaresco con cui lo fanno quei ragazzi (di Casapound, ndr) che s’inquadrano nella via. In Italia, però, si riaprono tanti processi ma per quella pagina mai. E gli assassini di Bigonzetti e Ciavatta sono infatti ancora ignoti e impuniti».
Che dice della sentenza che ha assolto Salvini?
«Gli ho espresso la mia affettuosa vicinanza ma qui torno l’uomo di destra e dico che se pure c’è qualche magistrato ideologizzato che può dare interpretazioni estensive ad alcune norme, ci sono poi molti altri giudici che certe storture le correggono. Noi non siamo dei mangia-magistrati. E io non lo sono di certo. Paolo Borsellino, quando era vivo, eravamo noi a volerlo al Quirinale! Tutti gli altri l’hanno scoperto dopo. Il magistrato più preparato, per me, è stato Piercamillo Davigo e non lo dico perché il padre era missino».
Ci sono speranze per i giudici mancanti della Corte costituzionale?
«Ho parlato coi capigruppo M5S e Pd. Sono convinto che molto presto avremo il plenum».
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