Ruolo di gestione della variabile fiscale per il CdA nell’adempimento collaborativo

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Nell’ambito del regime di adempimento collaborativo anche il Consiglio di amministrazione è chiamato ad assumere ruoli e responsabilità nella gestione della variabile fiscale.

In generale, gli organi apicali, in aderenza al Codice di condotta approvato con decreto 29 aprile 2024, devono contribuire all’impegno ad agire nel pieno rispetto della legalità, improntando i comportamenti dell’impresa alla correttezza e alla buona fede, intesa come il dovere di comportarsi con lealtà e onestà, integrità, trasparenza, chiarezza e professionalità, sia all’interno della propria organizzazione che nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria. Si tratta di principi che devono essere attuati in concreto e che devono pervadere tutti i livelli aziendali e l’intera organizzazione.

In pratica, nella costruzione di un tax control framework, uno dei primi tasselli è l’adozione del documento di Strategia fiscale, ossia un documento scritto e firmato dagli amministratori di vertice della società contenente un piano di azione di lungo periodo che, sia a livello strategico sia a livello operativo, definisce gli obiettivi della società nella gestione della variabile fiscale (circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/2016). In altre parole, con l’approvazione della strategia fiscale, il CdA identifica i principi ispiratori dell’operatività aziendale nella gestione della variabile fiscale, definendo la propria propensione al rischio e i valori che ispirano la condotta dell’azienda in ambito fiscale.

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La Strategia fiscale reca l’esplicitazione dei principi enunciati nel Codice di condotta (Doveri del contribuente, par. 2) in relazione alla propensione al rischio fiscale (risk appetite), ai percorsi operativi da seguire al fine di posizionare la società sui livelli di rischio prescelti e alla descrizione dei c.d. soft controls, ossia piani di formazione destinati al personale, codice etico, eventuali sanzioni per chi viola le regole del codice di condotta, assenza di obiettivi assegnati ai manager volti alla minimizzazione del carico fiscale.

Il Consiglio di amministrazione o l’amministratore unico, inoltre, nell’ambito del requisito essenziale del TCF costituito dalla governance del sistema di controllo, svolge un ruolo fondamentale in quanto è chiamato ad assumere funzioni di governo e indirizzo attraverso l’istituzione e la formalizzazione del TCF. I vertici aziendali sono responsabili sia dell’architettura del TCF che del suo corretto funzionamento (assurance del TCF).

In pratica, il Consiglio di amministrazione, attraverso l’approvazione del Tax compliance model e dei manuali (eventuali), disegna e definisce le linee guida per la gestione del rischio fiscale, in coerenza con i principi indicati nel documento di strategia fiscale.

Il CdA, avendo definito il framework di riferimento per la gestione del rischio fiscale, viene informato con una relazione periodica predisposta entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi contenente informazioni su tutte le attività svolte, sulle criticità rilevate e sulle azioni di rimedio implementate. Ciò è necessario affinché gli organi di vertice dispongano delle informazioni necessarie a volgere il proprio ruolo di assurance sul disegno, l’implementazione e l’effettività del TCF.

La relazione periodica, generalmente predisposta dalla funzione di tax risk management, informa, in primo luogo, degli esiti dell’attività di monitoraggio periodica sul tax control framework svolta mediante attività di testing nelle due diverse tipologie di “Test of design” e “Test of operating effectiveness”. La prima tipologia prevede lo svolgimento di procedure di test finalizzate a valutare se il disegno di controllo è adeguato a prevenire violazioni di norme tributarie; la seconda tipologia di test è invece finalizzata a valutare se il controllo è stato effettivamente svolto e se ha operato in modo corretto. Gli esiti di questo monitoraggio sono riportati nella relazione periodica al CdA, ivi inclusi gli eventuali piani di azione definiti ad esito delle verifiche. La relazione contiene quindi anche le eventuali proposte di revisione e integrazione del Tax compliance model per effetto, ad esempio, di nuovi rischi fiscali, variazione nella valutazione dei rischi, nuovi processi rilevanti.

Ulteriori informazioni che è opportuno indicare nella relazione periodica sono quelle relative all’andamento delle interlocuzioni con l’Agenzia delle Entrate, con riferimento in particolare alle posizioni non condivise e ai presidi attivati (consulenze, escalation decisionale interna). Si tratta delle posizioni per le quali può essere esercitato il principio c.d. agree to disagree, seppure non in modo sistematico.

Il CdA può comunque, in qualsiasi momento, richiedere aggiornamenti sulla gestione del rischio fiscale e il funzionamento del TCF, indipendentemente dal processo di relazione periodica.

La funzione di tax risk management, con cadenza almeno annuale, oltre a predisporre la relazione per gli organi apicali, invia ai singoli risk owner un report contenente la sintesi delle verifiche svolte, gli esiti e le eventuali carenze identificate e i piani di azione per gli ambiti di competenza.

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