cos’è la prigione di Evin

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Quali sono le condizioni della prigione di Evin in Iran dove è stata isolata Cecilia Sala? Una coperta utilizzata come letto, distesa sul pavimento di cemento, il chador come lenzuolo, 30 minuti d’aria in un piccolo cortile, non più di 4 giorni a settimana. Sono solo alcune delle fotografie delle condizioni di detenzione della famigerata prigione di Evin, a nord di Teheran, dove è trattenuta anche Cecilia Sala.

Cecilia Sala, il carcere dove è rinchiusa la giornalista italiana

Tante storie di dissidenti, giornalisti, accademici, studenti, attivisti e membri di minoranze etniche e religiose, che si intrecciano in un destino comune: essere prigionieri politici nell’Iran degli ayatollah, in un non luogo dove le ong denunciano il sovraffollamento delle celle, il mancato accesso a cure mediche e l’uso sistematico della tortura. Sono le testimonianze dirette e indirette che da anni permettono di squarciare il velo su quanto accade nel penitenziario simbolo della repressione di Teheran, che si stima ospiti 15mila detenuti.

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«Fariba e Mahvash sono state due delle prigioniere che ho incontrato a Evin che mi hanno ispirato di più», ha raccontato in una recente intervista Roxana Saberi, reporter iraniana-giapponese-americana condannata a otto anni per spionaggio ma rilasciata dopo un mese nel 2009 grazie alle pressioni internazionali. Le due donne di cui parla sono esponenti dei baha’i, la più grande minoranza religiosa del paese che la Repubblica islamica perseguita. Fariba e Mahvash «sono confinate in una cella di circa quattro metri per cinque metri, con due piccole finestre coperte di metallo.

«Devono dormire su coperte, non hanno nemmeno cuscini, il bagno è in fondo al corridoio e serve il permesso per usarlo, e quando ero con loro ci era permesso di fare la doccia e lavare i nostri vestiti a mano tre giorni della settimana», racconta Saberi, che ricorda le due compagne di cella come «altruiste, preoccupate più della propria comunità e delle proprie convinzioni che di se stesse».

Iran, chi e perché viene rinchiuso a Evin

Per finire a Evin basta partecipare ad una manifestazione pacifica, come quelle per i diritti delle donne in seguito alla morte della giovane Mahsa Amini, nel 2022, per mano della polizia.

Nasim, che ama la musica rap e truccarsi, era stata presa in custodia dopo essersi unita alle proteste con le sue amiche. Dalla cella riusciva a sentire il rumore di torture proveniente dall’esterno. Poi la guardia bussava alla sua porta e diceva: «Sentite quel pestaggio, sarete le prossime». Tutto questo dopo interrogatori estenuanti, fino a «10 ore al giorno», ha ricostruito la Bbc mettendo insieme resoconti da più fonti affidabili. Dopo l’isolamento Nasim è stata trasferita nell’ala femminile, con 20 detenute per cella. Tra loro c’era Rezvaneh, arrestata anche lei per le proteste su Mahsa insieme al marito: durante gli interrogatori, le dicevano che avrebbero ucciso il compagno e «lo avrebbero colpito così forte che sarebbe diventato nero come il carbone e viola come una melanzana». Poi, dopo 4 mesi, la scoperta di essere incinta.

«Pianse per diversi giorni»: trovare un posto tranquillo nelle celle, dove le persone trascorrono la maggior parte delle loro giornate sedute sui loro letti, era una sfida continua. E mentre ascoltava «ogni battito cardiaco, il senso di speranza diventava più forte», ma allo stesso aveva paura che le condizioni in prigione avrebbero messo a repentaglio la salute del bambino. Per il parto, è uscita dal carcere (ma senza il marito) e ora teme di tornare a Evin per scontare il resto della sua condanna, quasi quattro anni. C’è poi Vida, una giornalista, che ama dipingere. Usa le lenzuola come tele per fare i ritratti alle altre detenute. Come Pakhshan, un’attivista curda che ha assistito le vittime dell’Isis ed è stata condannata a morte dall’Iran con l’accusa di aver usato armi per combattere il regime. Vida è stata avvertita di non disegnare nulla con un significato nascosto. Su uno dei muri del cortile ha dipinto mattoni sbriciolati con una foresta verde dietro. Le autorità carcerarie l’hanno fatto coprire con uno spray. 

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