Enti locali, un 2024 a tinte rosa

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Abolizione del limite di mandato dei sindaci nei piccoli comuni e cancellazione del reato di abuso d’ufficio, vera spada di Damocle per i primi cittadini. Sono le conquiste più importanti portate a casa dagli enti locali nel 2024. Un anno che si chiude con un bilancio positivo per un comparto che sta producendo il maggiore sforzo attuativo dei progetti Pnrr. L’anno si apre con un decreto legge molto atteso, quello che, in vista delle elezioni amministrative di giugno, cancella del tutto i limiti di mandato per i sindaci dei comuni fino a 5.000 abitanti e assegna un mandato consecutivo in più (il terzo) nei municipi da 5.001 a 15.000 abitanti. Sopra i 15.000 abitanti resta il limite del doppio mandato, con una disparità di trattamento che ha fatto molto arrabbiare i sindaci dei comuni medio grandi ma è stata di recente giudicata non irragionevole dalla Consulta

Abuso d’ufficio

Il 18 gennaio, parlando alla Camera, il ministro della giustizia Carlo Nordio annunciava ufficialmente che tra le proposte di intervento sul reato di abuso d’ufficio (art.323 del codice penale) il governo avrebbe scelto quella più radicale: ossia l’abrogazione totale. Nordio in quella sede ha evidenziato come si tratti di un “reato evanescente” che nel 97% dei casi non porta neppure al rinvio a giudizio degli amministratori ma incide in modo molto pervasivo sulle loro vite e carriere politiche esponendole “a una gogna mediatica per un reato che non ha confini ben definiti”. Il ministro ha poi ricordato come, con l’eliminazione del reato, si cancellerebbero anche oltre 5.000 procedimenti all’anno realizzando una deflazione dei processi penali del 10%. Dopo un lungo iter parlamentare e molte polemiche con le opposizioni che hanno accusato il governo di voler abbassare la guardia sulla corruzione, l’abolizione dell’abuso d’ufficio è scattata con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 9 agosto 2024 n.114, entrata in vigore il 25 agosto. Ma la partita non è ancora chiusa perché molti tribunali hanno sollevato questione di legittimità costituzionale. L’ultima parola, quindi, spetterà nei prossimi mesi alla Consulta che potrebbe ancora una volta sparigliare le carte, come accaduto con l’autonomia differenziata.

Autonomia differenziata

La “madre di tutte le riforme” per il ministro leghista Roberto Calderoli, approvata a giugno in via definitiva, è stata pesantemente depotenziata dalla recente sentenza della Consulta (n.192/2024) che ha picconato anche la riforma del Titolo V da cui la legge Calderoli (legge n.86/2024) ha tratto origine. Per la Corte costituzionale la devoluzione di poteri alle regioni deve riguardare “specifiche funzioni legislative e amministrative” e non intere materie, o ambiti di materie, come previsto invece dalla legge Calderoli. E quanto al titolo V e all’art.116 della Costituzione da esso introdotto nel 2001 (che consente l’attribuzione alle regioni di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”), i giudici delle leggi hanno evidenziato come vi siano competenze, nel lungo elenco (23 in totale) che la Costituzione ritiene astrattamente trasferibili alle regioni, “alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà”. È il caso del commercio con l’estero, della tutela dell’ambiente, della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, delle grandi reti di trasporto e di navigazione, delle professioni e soprattutto della scuola che deve garantire “un’offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale”, ragion per cui “non sarebbe giustificabile una differenziazione che riguardi la configurazione generale dei cicli di istruzione e i programmi di base, stante l’intima connessione di questi aspetti con il mantenimento dell’identità nazionale”. Insomma, dopo i rilievi della Consulta, della legge Calderoli è rimasto poco in piedi. E quel poco potrebbe essere sottoposto a referendum abrogativo a giugno dopo che la Cassazione ha ritenuto legittimo il quesito proposto dai comitati per la richiesta di abrogazione totale della legge. Ora la parola definitiva spetterà proprio alla Consulta che dovrà valutare l’ammissibilità del referendum.

Conto e carta

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Pnrr

Il 2024 si chiude con un dato che conferma quanto siano proprio i comuni il motore propulsivo dell’attuazione del Pnrr. I municipi hanno registrato pagamenti per investimenti pari a 20 miliardi e a fine luglio il 78% dei cantieri di competenza comunale erano aperti o già conclusi. Come emerso dall’ultima cabina di regia a palazzo Chigi, in totale la spesa complessiva per i progetti Pnrr si attesta a quota 59 miliardi di cui 22 miliardi registrati nel 2024. Un bel balzo in avanti rispetto al precedente dato di luglio in cui il contatore del 2024 si era fermato a meno di 10 miliardi. Merito anche dell’accelerazione dei pagamenti impressa dal governo prima con il decreto legge Pnrr (dl n.19/2024) che ha elevato dal 10% al 30% la misura delle anticipazioni erogabili ai soggetti attuatori (in primis gli enti locali) da parte dei ministeri e poi con il decreto Omnibus (dl n.113/2024) che ha addirittura portato le anticipazioni al 90%. Il decreto attuativo della norma è stato firmato dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti il 7 dicembre, quindi è ancora presto per stimare i benefici effetti di questa misura sull’accelerazione dei pagamenti. Ma di certo il 2025 si apre sotto i migliori auspici.

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