Il praticante avvocato: cosa fa oggi? La giustizia che non c’è

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di Adriano J. Spagnuolo Vigorita* e Riccardo Vizzino**

Conto e carta

difficile da pignorare

 

La professione di avvocato è molto varia, e può aprire la strada a carriere piuttosto stimolanti. Per potervi accedere, però, oltre al completamento del corso di laurea magistrale in Giurisprudenza, è necessario portare a termine un periodo di tirocinio, pari a diciotto mesi, durante il quale gli aspiranti avvocati iniziano ad acquisire esperienza pratica nella professione di avvocato.
Il praticante avvocato, generalmente, è un neolaureato che svolge un periodo di formazione obbligatorio presso uno studio legale il cui titolare (il c.d. dominus) deve essere iscritto all’Albo professionale da almeno 5 anni.
La disciplina dell’ordinamento della professione forense, contenuta nella Legge n. 247 del 31 dicembre 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 18 gennaio 2013, ha inciso profondamente sullo svolgimento della pratica legale. A quasi 90 anni dal regio decreto del 1933, l’attuale normativa che regolamenta la materia sembra, oltre che riportare notevoli lacune, non tutelare pienamente quella che è la figura del praticante avvocato.
I giovani che si avvicinano alla professione forense, infatti, devono necessariamente svolgere un tirocinio dalla durata di 18 mesi (prima della riforma del 2012 ne erano addirittura 24) durante i quali, spesso, non gli viene attribuito alcun compenso.
Se la finalità ultima del tirocinio è quella di insegnare al praticante le capacità necessarie per l’esercizio della professione di avvocato…non c’è logica che tende a rafforzare, in nessun modo, il testo letterale di cui alla summenzionata norma.
Eppure, un praticante, a primo impatto, dopo aver lasciato le aule dell’università…dovrebbe ritrovarsi a fare la guerra nelle aule dei tribunali, al fine di tutelare i diritti del cittadino. Ma come possiamo difendere il prossimo se non riusciamo prima a difendere la nostra stessa categoria?
Con l’avanzare dei lustri, purtroppo, la strada verso l’avvocatura sta facendosi sempre più insidiosa, vuoi a fronte dell’attività svolta dai «laureifici» (tali da intendersi la maggior parte delle università telematiche e quelle di base nei Paesi dell’Est Europa), vuoi soprattutto perché tale professione viene concepita non più come un interpretariato del diritto, bensì come una «passeggiata» nelle Aule Giudiziarie (il più delle volte senza averne titolo, come si preciserà di séguito), oltreché un copia-incolla di dottrina e giurisprudenza.
Esemplificando, la figura del patrocinatore legale tanto cara a chi ci ha preceduto è stata, di colpo, soppiantata da quella di un Azzeccagarbugli che, sì e no, ha imparato a memoria qualche libercolo, oppure ha, come si suol dire metaforicamente, le mani in pasta ovunque…per via dell’influenza esercitata dal suo dominus su qualche Magistrato compiacente.
Quello studio approfondito che illo tempore i giureconsulti erano chiamati a compiere, oramai, non esiste più, così come l’insegnamento del diritto: non è, infatti, raro trovare professori che si limitano a dettare appunti, ovvero tengono la lezione basandosi unicamente sul contenuto di scarne diapositive, senza prepararla con lo zelo e la passione che animavano gli studiosi attivi lustri addietro (guarda caso, nel latino parlato nella Roma repubblicana…la parola «studium» traduce il lemma «zelo», per poi essere inteso come «studio» solamente in epoca posteriore).
La Legge Forense (n. 247/2012) ha giocato, poi, un ruolo a dir poco determinante. Se si considera che nell’arco degli ultimi anni, la riforma forense sembra continuare ad andare a sfavore dei praticanti avvocati, specie per ciò che concerne l’abilitazione al patrocinio…ora solo sostitutivo.
Infatti, l’attuale disciplina sull’abilitazione al patrocinio del praticante avvocato, a seguito della riforma forense con Legge n. 247/2012 – e da ultimo, con Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016 – risulta radicalmente modificata rispetto alla disciplina previgente.
Nel contesto attuale, invero, esiste la figura del patrocinio sostitutivo – disciplinata dall’art. 41, co. XII, L. 247/2012 -, per cui il praticante abilitato non può più avere cause proprie ma può patrocinare esclusivamente in sostituzione del dominus.
Da ciò si evince, pertanto, che il ruolo attuale del praticante avvocato abilitato al patrocinio sarà essenzialmente sostitutivo dell’avvocato presso cui svolge la pratica o, comunque, detto patrocinio va sotto la sua responsabilità e supervisione, anche qualora non sia il dominus a gestire un determinato affare in prima persona.
Il Decreto Ministeriale n. 70/2016, di attuazione del suddetto art. 41 Legge n. 247/2012, ci fornisce qualche ulteriore indicazione in tal senso. Esso prevede, all’art. 1, che il suddetto Regolamento (dunque le nuove modalità di svolgimento del tirocinio forense, compresa la parte relativa al patrocinio sostitutivo) trovi applicazione ai tirocini iniziati a partire dalla sua entrata in vigore, ossia il 3 giugno 2016. Per quelli in corso a tale data, invece, continua ad applicarsi la previgente normativa.
L’art. 41, co. 12, L. n. 247/2012, innovando rispetto alla previgente disciplina, prevede che il praticante possa svolgere attività per una durata di cinque anni e senza limiti territoriali ma esclusivamente in sostituzione del proprio dominus «e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo», davanti agli uffici giudiziari specificamente indicati dalla legge, tra cui non è previsto il TAR ma esclusivamente il Tribunale ordinario ed il Giudice di pace (con diversi limiti a seconda che si tratti di cause civili o penali).
Dunque, è stata eliminata la limitazione relativa al valore delle cause, come anche la restrizione territoriale al Distretto di Corte d’Appello cui afferisce l’Ordine di appartenenza (vedasi il Parere del Consiglio Nazionale Forense n. 3 del 2019); inoltre, l’abilitazione dura al massimo cinque anni dalla delibera di iscrizione nell’apposito registro.
Da una parte è stato quindi anticipato il momento in cui è possibile richiedere l’abilitazione da dodici a sei mesi dall’inizio del praticantato, ma dall’altra è stata ridotta la sua durata da sei a cinque anni.
Tra le modifiche apportate al tirocinio forense questa è una delle più negative per chi si avvicina a tale professione, in quanto non poter patrocinare cause proprie significa essere penalizzati sul piano della formazione effettiva, che traeva giovamento dalla possibilità di gestire in maniera autonoma cause di un determinato valore. L’attuale disciplina, dunque, ritarda di parecchi anni l’effettiva entrata nel mondo del lavoro da parte dei giovani tirocinanti…se si pensa anche a quanto è diventato complesso superare l’esame finale.
Ma, a dispetto di quanto statuito, vari pseudo-maestri consentono ai propri allievi di andare in udienza senza la sunnominata abilitazione, ordinandogli finanche di fingersi un’altra persona che ne è, invece, provvista (condotta che integra, ben vero, un reato); i praticanti, al fine di non vedersi buttati fuori dallo Studio da un secondo all’altro, accettano, loro malgrado. A suffragare ulteriormente quanto affermato è, invero, la casistica pratica che s’intende passare in rassegna di séguito, inerente a giudizi curati dallo Studio Legale Vizzino:

1. In una causa pendente innanzi al Giudice di Pace di Gragnano, l’avv. Riccardo Vizzino, difensore di parte convenuta, s’è avveduto che il difensore attoreo non possedeva il titolo d’avvocato (o, per meglio dire, era un avvocato ormai decaduto): non ha, quindi, esitato ad eccepire il tutto, ma…il GdP, anziché trasmettere – come previsto dalla Legge – gli atti alla competente Procura della Repubblica, ha rinviato la causa in prosieguo di prima udienza ai sensi dell’art. 320 del Codice di rito civile;
2. Allo stesso giuoco si è giocato anche nel Mandamento di Nola, ove l’incarico difensivo di parte attrice era stato assunto da un praticante che non aveva ancora superato l’esame di abilitazione all’esercizio dell’avvocatura. Ebbene, anche qui lo Studio ha rappresentato al Giudicante la situazione, ma costui…non ne ha voluto sapere d’informare la Magistratura requirente: il giovanotto in questione era, nelle more della lite, divenuto avvocato, quindi il ritrovato cui s’è inteso ricorrere è consistito nel disporre la rinnovazione dell’atto introduttivo, facendo finir tutto a tarallucci e vino, come di consueto;
3. Non dissimile è un episodio occorso nel Mandamento di Napoli, ove, nel corso della prima udienza, un professionista del suddetto Studio ha rappresentato al Giudicante che era ivi presente, per parte attrice, un avvocato delegato da una «collega» che, in realtà, era da tempo decaduta. Come s’è mosso il Giudice di Pace? Semplice: ha disposto la rinnovazione della notifica dell’atto introduttivo e, nelle more del giudizio, s’è costituito per l’attore un altro avvocato non decaduto.
Nel frattempo…si sono avvicendati più Giudici, l’ultimo dei quali s’è riservato riguardo alla questione; La colpa dello svolgimento delle udienze in modo anomalo è da ascriversi, pertanto, al sistema-Giustizia, dal momento che la maggior parte degli Uffici sunnominati sono privi di ogni presidio: ne consegue, ça va sans dire, che alle aule può accedere chiunque, magari camuffandosi da avvocato pur essendo ancora praticante (perché molti Giudici non controllano il tesserino in udienza) o, peggio ancora, col proposito di ostacolare il pacifico svolgimento dell’attività giudiziaria (non si dimentichi che recentemente, presso il Mandamento di Barra, una Giudice è stata brutalmente aggredita da un tale che si spacciava per colui che avrebbe dovuto rendere una testimonianza, riportando la frattura di un dito dopo aver scoperto l’arcano).
Ma il discorso riguardo al percorso odisseico che i futuri avvocati son costretti a compiere (unitamente alle insidie che si è poc’anzi terminato d’illustrare) non si esaurisce qua!
Per i giovani che si sono iscritti al Registro dei Praticanti dopo il 1° aprile 2022 è stata, infatti, resa obbligatoria la frequenza della Scuola Forense per poter sostenere il cennato esame.
Il corso obbligatorio, secondo le linee ministeriali, deve prevedere:
• un minimo di 160 ore di lezione da distribuire uniformemente nell’arco di 18 mesi; • la suddivisione delle lezioni in tre semestri con la seguente cadenza temporale: novembre – aprile / maggio – ottobre; • le verifiche al termine di ogni semestre da effettuarsi nei mesi di aprile e ottobre. Si tratta di test a risposta multipla (30 domande per le due verifiche intermedie e 40 domande per quella finale), metodo tutt’altro che meritocratico, dacché le qualità di un avvocato vanno ben al di là dell’apposizione di stupide crocette!
Solo con il superamento di tutte le verifiche intermedie (che definire «barzelletta», se non addirittura… «farsa» è poco) si accede all’esame di abilitazione.
Le materie che necessariamente devono essere affrontate sono: diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo, diritto processuale civile, penale e amministrativo, ordinamento e deontologia forense, tecnica della redazione degli atti, tecnica della ricerca telematica delle fonti e del precedente giurisprudenziale, teoria e pratica del linguaggio giuridico, diritto costituzionale, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto dell’Unione Europea, diritto internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, organizzazione e amministrazione dello studio professionale, profili contributivi e tributari della professione, elementi di ordinamento giudiziario e penitenziario.
Quindi… dopo una lunga, lunghissima gavetta…il praticante deve, tra l’altro, sperare di superare tempestivamente il temutissimo esame finale per poter esercitare autonomamente la professione. Diversamente… continua ad essere un mero sostituto del suo dominus e, il più delle volte, anche un autentico valletto al servizio di quest’ultimo (argomento sul quale si tornerà fra breve).
Ma cosa succede se il praticante avvocato non rispetta i limiti dello Ius postulandi? La Corte di Cassazione, con ordinanza del 5 luglio 2019, n. 18047, ha statuito che gli atti compiuti dal praticante abilitato al patrocinio, al di fuori dei limiti previsti, sono radicalmente inesistenti o, comunque, affetti da nullità assoluta e, come tali, non sono sanabili ai sensi dell’art. 182, secondo comma, c.p.c.
Dunque, considerato quanto detto, qualunque atto – sia esso giudiziale o stragiudiziale -, posto in essere dal praticante avvocato oltre i limiti dello Ius postulandi …è completamente inesistente.
E se il praticante viene delegato dal dominus? Chi commette l’illecito deontologico in questo caso, il dominus o il praticante che ha agito per conto di quest’ultimo?
L’art. 36 del codice deontologico forense (CNF) recita come segue:
«1.COSTITUISCE ILLECITO DISCIPLINARE L’USO DI UN TITOLO PROFESSIONALE NON CONSEGUITO OVVERO LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ IN MANCANZA DI TITOLO O IN PERIODO DI SOSPENSIONE.
2.Costituisce altresì illecito disciplinare il comportamento dell’avvocato che agevoli o, in qualsiasi altro modo diretto o indiretto, renda possibile a soggetti non abilitati o sospesi l’esercizio abusivo dell’attività di avvocato o consenta che tali soggetti ne possano ricavare benefici economici, anche se limitatamente al periodo di eventuale sospensione dell’esercizio dell’attività.
3.La violazione del comma 1 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno. La violazione del comma 2 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi».
Se il praticante agisce per una direttiva avanzata dal dominus…rischia di violare il summenzionato art. 36 del codice deontologico?
Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza 28 maggio 2022, n. 201, ha statuito che non commette illecito deontologico il praticante avvocato che si limita ad agire in sostituzione del dominus, che lo aveva espressamente delegato ad operare in tal senso.
Dunque, l’unico soggetto passibile di sanzione disciplinare sarà il professionista forense presso il cui studio viene svolta la pratica.
Altra vexata quaestio in materia di pratica forense è rappresentata dalla sempre più marcata propensione, in capo a parecchi domini, a concepire il praticante (od anche il novello avvocato, tale da intendersi chi ha appena conseguito la tanto anelata abilitazione professionale) alla stregua di chi «non sa fare alcunché», o di una persona che «ha ancora parecchia strada in salita da percorrere», sentendosi in diritto di non corrispondergli alcuna remunerazione per l’attività eventualmente svolta, o persino di adibirlo a mansioni che nulla hanno a che vedere con l’avvocatura, quali l’effettuazione sistematica di fotocopie, il disporre faldoni pesantissimi sugli scaffali od addirittura la pulizia ed il riordino dello studio a fine giornata.
Agli sventurati collaboratori sfugge sovente che l’ordinamento in vigore riserva loro una sfilza di tutele avverso le condotte umilianti dei loro titolari, oppure – vuoi per non perdere il «posto», vuoi perché il padre-padrone presso cui lavorano ha le mani in pasta dovunque -, preferiscono restare silenti e continuare ad essere privati della loro dignità.
Le tutele in questione, come detto, sono molteplici, ragion per cui ci si appresta a fornire di séguito un’illustrazione dei casi più ricorrenti di sfruttamento verso il praticante (o del neo-avvocato collaboratore di studio), utilizzando nomi di pura fantasia:
A) supponiamo che a Bertoldo, iscritto al Registro dei Praticanti Avvocati abilitati al patrocinio sostitutivo, venga imposto, da parte dell’avvocato Diletta, l’osservanza di un orario giornaliero prestabilito, unitamente alla presenza nei locali dello studio ed all’utilizzo di apparecchiature ivi presenti: ebbene, in siffatta ipotesi sarà possibile adire il Consiglio Distrettuale di Disciplina per l’assunzione dei provvedimenti necessari, nonché – ma solo laddove il postulator sia tenuto a seguire le direttive della domina per svolgere la sua attività – il Tribunale del Lavoro competente per il riconoscimento della natura subordinata del rapporto, ovvero – qualora l’eterodirezione non sia intensa – il diritto al compenso per prestazione d’opera intellettuale;
B) s’immagini che Ilaria, neo-laureata che ha appena iniziato la pratica, venga incaricata dal proprio dominus tanto di svolgere con sistematicità mansioni segretariali quanto di provvedere al riordino dello studio prima della chiusura: anche in tal caso sarà possibile adire il Giudice del Lavoro – in virtù della chiara ed evidente eterodirezione (di gran lunga più forte rispetto all’ipotesi descritta di sopra) – per vedersi eventualmente riconoscere lo status di lavoratrice dipendente, oltreché azionare un procedimento di natura disciplinare.
La casistica in materia è a dir poco amplissima, dunque non è il caso di passare in rassegna tutti i singoli episodi; si reputa, tuttavia, doveroso invitare caldamente le persone coinvolte a rivolgersi con prontezza al team Vizzino e, contemporaneamente, esortare la colleganza tutta a compiere «scelte impopolari», segnalando a chi di dovere qualsivoglia inosservanza della legislazione in materia forense: non si deve assolutamente permettere che i sogni dei futuri patrocinatori siano infranti dalle condotte tanto disumane quanto illecite di individui che la toga non meritano di vederla neppure col cannocchiale, né tantomeno che la figura dell’avvocato divenga gradualmente assimilabile a quella di un azzeccagarbugli-udienzista (sovente abusivo) al servizio dei «potenti», perdendo quella dignità che da secoli la contraddistingue.
Per qualsiasi ipotesi +di truffa, i lettori potranno scrivere all’indirizzo e-mail denunciolatruffa1@gmail.com, tutti i soprusi asseritamente subìti.

Si insiste affinché venga istituito un OSSERVATORIO SULLE PROBLEMATICHE INSITE ALL’INTERNO DEI PALAZZI DI GIUSTIZIA, ciò nell’interesse esclusivo della collettività!
Esemplificando, la Giustizia che non c’è danneggia i cittadini onesti e i contribuenti. Solo un recupero di etica dei comportamenti e di efficienza La potrà salvare.

*giurista, saggista, abilitato all’avvocatura

**responsabile nazionale di Civicrazia contro le truffe



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