I conflitti in atto, fra fragili prospettive di pace e la prosecuzione della violenza, stanno frantumando gli equilibri che hanno permesso all’Europa di godere a lungo di una sicurezza tutto sommato a basso costo. l’Alleanza Atlantica resta in sospeso nell’attesa delle prime mosse della presidenza Trump, mentre l’Ue continua a dibattersi fra le sue contraddizioni interne. Se non sarà capace di acquisire una piena capacità politica e di difesa, l’Europa finirà al traino di altri nella tutela dei suoi interessi vitali. Il presidente Mattarella ha ribadito che non è più tempo di incertezze e il tema deve essere affrontato dall’Italia in tutti i suoi aspetti.Â
Difesa europea, dunque: ma come? Quando? Con chi? Con quali strumenti? L’Unione europea ha fatto molti progressi in materia di sicurezza e difesa: coordinamenti sempre più stretti attraverso Bruxelles, missioni di protezione con comandi integrati anche fra gruppi di paesi più ristretti, un nuovo «concetto strategico» elaborato in parallelo con la Nato hanno creato l’ossatura tecnica di una difesa europea che, al contrario di quella attuale basata sul coordinamento di posizioni nazionali, possa avere una dimensione comunitaria, con meccanismi decisionali e strumenti operativi integrati.Â
Ciò tanto sul piano militare che industriale: per il caccia europeo di sesta generazione rimane la competizione fra «campioni nazionali», le piattaforme dei carri armati non sono spesso compatibili e via elencando. Commesse militari importanti coinvolgono equilibri politici e scelte industriali delicate; all’ Europa intergovernativa della difesa mancano gli strumenti per decidere la soluzione più idonea. Che invece negli Stati Uniti ci sono: le lobbies non sono meno potenti e la concorrenza meno feroce, ma il governo federale ha il potere di fare la sintesi degli interessi in gioco, indicare le priorità e imporre da Washington le scelte.
Non è detto che Trump uscirà dalla Nato, ma di certo esigerà un impegno ben maggiore dagli alleati europei per un’alleanza che Putin ha reso nuovamente centrale, mentre ai suoi occhi è una componente importante, ma non esclusiva, di scenari che guardano soprattutto verso la Cina.Â
Alla fine i paesi europei dovranno acconciarsi a spendere molto di più per la loro sicurezza, apportando ai bilanci modifiche spesso dolorose, in particolare per paesi come l’Italia o la Spagna. In cambio, potranno accrescere la proiezione di sicurezza della Nato e avere maggior peso nella definizione delle priorità di un’alleanza, che per Putin resterà comunque «americana». Il disimpegno di Trump creerebbe un vuoto nella sua credibilità , che potrebbe essere colmato solo da un’Europa della difesa capace di esprimersi con una voce unica. Mentre quella intergovernativa avrà sì un ruolo più profilato – e una maggior voce in capitolo su alcune scelte industriali – ma resterà comunque subalterna rispetto a una leadership americana, per quanto ridimensionata.
L’ Europa del Manifesto di Ventotene – di Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni – era politica e sovranazionale. La Ced (Comunità Europea di Difesa) prevedeva la creazione di un esercito europeo comune e vietava quelli nazionali. Fallito nel 1954 il tentativo, l’integrazione prese la via dell’economia e del mercato, raggiungendo traguardi insperati. Oggi il cerchio si chiude e il pendolo torna sulla politica e la difesa.
Una Difesa europea (e non il semplice coordinamento dell’azione dei singoli governi) richiederebbe il superamento dell’unanimità e la generalizzazione del voto a maggioranza che oggi a Ventisette, e domani a Trentacinque e più, non appare realistico. Nell’Ue coesistono almeno tre visioni diverse di cosa si debba intendere per Europa: una unione «hamiltoniana» in direzione sovranazionale; una di stati volti alla razionalizzazione dei mercati con poche badature istituzionali; una volta alla riappropriazione di identità nazionali, in una paradossale rivisitazione del Sacro Romano Impero. Storia, geopolitica e (pre)giudizi culturali non favoriscono la comprensione reciproca: fatte salve le unanimità di facciata imposte dall’emergenza delle crisi, la percezione della minaccia russa nel conflitto ucraino è diversa ad esempio fra baltici e polacchi, e ungheresi e (in parte) italiani. Lo stesso vale per la Siria, Israele o il Sud del Mondo. Sono diversità tutte legittime, che seguono percorsi paralleli, autonomi ma non antagonistici. Una difesa europea deve invece poter contare su priorità chiare e strumenti d’azione gestiti unitariamente.
Come uscirne? Prendendo atto che l’Unione è una realtà plurale nella quale i paesi membri sono liberi di perseguire una via sovranazionale alla difesa, da un lato, e una razionalizzazione soprattutto intergovernativa dei mercati dall’altro. Devono essere percorsi paralleli e di pari dignità ; non cerchi concentrici o velocità differenziate – che sottendono sempre l’idea di gerarchia – ma reciprocamente permeabili, aperti a chi ne condivida regole e finalità . Il tutto nel quadro di una Comunità politica anche più ampia, capace di riunire quanti si riconoscono nei principi di libertà , stato di diritto, solidarietà ed economia di mercato, che contraddistinguono l’idea stessa di Europa.Â
Una difesa europea così strutturata sarebbe un arricchimento e non un limite alla spendibilità politica dell’Unione; nel 1954 si fallì perché forse era troppo presto; se fallissimo ancora una volta, ci accorgeremmo purtroppo che si è fatto troppo tardi.Â
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