tra Alpi Carniche e Giulie, mai fuggire dalle difficoltà della vita

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Il Friuli Venezia Giulia ha dato i natali (e forse solo quelli) a due fra i migliori pugili della storia della boxe italiana e mondiale: Primo Carnera e Nino Benvenuti. Appartenuti a due generazioni differenti, nati in contesti opposti e con storie diverse di avvicinamento a questo sport. Hanno entrambi avuto bisogno di un knockout a un certo punto della loro carriera per smettere, si sono sempre spinti fino al limite delle loro forze, delle loro capacità, senza mai arrendersi.

Figli della loro terra, silenziosa, cristallizzata fra la roccia scura delle alpi Carniche e Giulie, il riflesso limpido del gelido tagliamento, il mar adriatico e i fischi della bora. Una regione dalla quale sono fuggiti, ma che ha segnato il loro carattere: mai fuggire dalle difficoltà della vita.

E’ qui che nascono i due pugili.

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Primo Carnera nacque a Sequals (Pordenone) nel 1907. Sin da giovane si mostra di robusta costituzione, arrivando addirittura a 1.97 cm e 130 kg. Infatti, per sfruttare il suo potenziale, viene ingaggiato come manovale, fino a quando un circense lo assolda per girare l’Europa. Si avvicina al pugilato nel 1929 e vincerà 58 incontri su 62 nei successivi tre anni. L’incredibile fisico che madre natura gli aveva donato, la forza dei suoi colpi e la tenacia lo caratterizzavano.

L’evento che cambiò la sua vita avvenne di lì a poco: dopo aver trascorso un periodo negli states, Primo era divenuto famoso e iniziava ad affrontare incontri di livello. Nel febbraio 1932 era in programma quello che lo vedeva contrapposto all’americano Ernie Shaaf. Un incontro che non scorderà mai. Sembrava un incontro durissimo, teso, infinito. Dopo innumerevoli riprese Shaaf sembrava reggere il confronto con il gigante italiano. Ma alla tredicesima ripresa, liberandosi dalla morsa dell’avversario, Carnera si liberò in modo dinamico e sferrò un montante con il sinistro che colpì il piena testa Shaaf che cadde tramortito a terra. Non accennò a rialzarsi e Carnera tentò anche di aiutarlo, mentre l’arbitro, disinteressato, provava ad afferrare il suo braccio per sollevarlo nel cielo e proclamarlo vincitore. Pochi giorni dopo il pugile americano morì.

Carnera era a pezzi e pensò addirittura al ritiro a soli trent’anni.

Passato il momento di sconforto, primo carnera si allenò per l’incontro più importante della sua carriera: l’avversario stavolta era il rivale Jack Sharkey, contro il quale aveva perso qualche anno prima. Era ancora scosso dall’avvenuto, ma era anche fortificato e più motivato che mai. Era giunto il momento più importante della sua vita. Al Madison Square Garden di New York andò in scena la vittoria che lo consegnerà all’olimpo della disciplina: “Primo Carnera è campione del mondo”, così uscirà la Gazzetta dello Sport il giorno seguente.

Siamo in pieno ventennio fascista e Mussolini lo vuole incontrare, in quanto emblema della vittoria italiana in terra straniera, oltre che esempio di virtù e forza.

Carnera oramai domina la scena mondiale ma, come tutti i grandi pugili, sta per arrivare l’incontro che lo segnerà in negativo, stavolta per sempre. Incontra negli states, Max Baer, più piccolo e più veloce dell’italiano. Primo soffrì molto, lo subì, cadde ben undici volte a causa di una frattura alla caviglia e alla fine fu costretto a capitolare e a cedere il titolo di campione dei pesi massimi.

Proverà a rialzarsi sfidando il “bombardiere negro” Joe Louis, ma subì una lezione di pugilato che, dopo una breve ma gloriosa carriera, dopo 89 vittorie e 14 sconfitte, lo porterà al ritiro.

Nino Benvenuti nacque in Istria nel 1938, all’epoca territorio italiano. Dopo la guerra si trasferì a Trieste, crescendo sulle orme del suo idolo Tiberio Mitri. Inizia una carriera brillante, ma non viene selezionato per l’europeo del 1956, ma solo per quello dell’anno seguente che vincerà a Praga, a soli 19 anni.

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Si presentò alle Olimpiadi di Roma del 1960 come il favorito: divenne famoso per la sua tecnica nei colpi, per la rapidità, ma soprattutto per il fatto che, fino a quel momento, Nino Benvenuti, non aveva mai perso un solo incontro. Era l’uomo da battere.

Non dà speranza a nessuno: ebbe la meglio, su tutti i più forti pugili del momento e si aggiudicò il titolo di campione olimpico superwelter.

Nel 1963, battendo Truppi, diventò campione italiano.

Due anni dopo, nella splendida cornice di San Siro, andò in scena l’incontro fra Benvenuti e Mazzinghi, una rivalità che divideva tutta la penisola. Davanti a 80.000 spettatori, l’istriano vinse facendo valere, ancora una volta la sua tecnica, di gran lunga superiore. Ci sarà la rivincita, stavolta a Roma: i due se le diedero di santa ragione, l’incontro durò numerose riprese, ma prevalse ancora l’invincibile Benvenuti che, fino a quel momento non conosceva sconfitta.

Carnera e Benvenuti: tra Alpi Carniche e Giulie, mai fuggire dalle difficoltà della vita

Eppure, non conoscerla, non sempre è qualcosa di cui vantarsi. Perché prima o poi, arriva per tutti.

E per Benvenuti arrivò nel giugno del 1966, contro il koreano Kim-Ki-Soo a Seul. Sembrava l’inizio del declino per il campione italiano. Un momento significativo della sua vita fu la cosiddetta “trilogia Griffith”: tre incontri, fra il 1967 e il 1968, di assoluto equilibrio e spettacolo. Benvenuti vinse 2-1 la serie, disputando il suo miglior incontro di sempre e tornando ad essere campione del mondo.

Il 1968 si poteva considerare, per Benvenuti, l’ultimo anno di gloria: gli anni successivi subirà sonore sconfitte (contro Tiger, Bethea e Monzòn), ma non mollerà mai, cercherà sempre la via del riscatto. Questa continua ostinazione, una illusione cieca di poter vincere ancora, lo condurrà sul palcoscenico della sua ultima sconfitta, che lo farà capitolare definitivamente.

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Principato di Monaco, 1971. Monzòn dopo tre riprese si prende gioco dell’italiano. Dopo l’incontro, Benvenuti si lamenterà di essere stato fermato dal suo allenatore, ma anni dopo ammetterà che, forse, era giusto così. Si ritirerà a soli 33 anni, con 89 incontri disputati e sole 7 sconfitte.

Di solito, per raccontare una storia di sport, non basta raccontare vittorie e sconfitte, titoli vinti e onorificenze ricevute. Di solito, al contrario, è necessario trovare un filo conduttore, non banale, né scontato. Come se ci fosse un comune denominatore. Nel pugilato, di base, l’esito di un incontro può essere duplice: per K.O. o, come si dice in gergo, ai punti.

Un vero pugile non vorrebbe mai perdere per K.O., perchè sarebbe la sconfitta meno onorevole. Un vero pugile non vorrebbe mai vincere ai punti, lasciando ad altri il giudizio sull’incontro.

L’avversario va messo al tappeto, annientato sotto una pioggia di colpi ben portati. Non va solo battuto, va impressionato a tal punto che non avrà più voglia di vederti.

Allora, solo a questo punto, potrai dire di averlo battuto.

Allora, solo a quel punto, potrai dire di essere stato battuto.

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