Ore drammatiche hanno segnato l’arrivo del nuovo anno in Corea del Sud dove, dopo un braccio di ferro durato sei ore, la polizia ha sospeso il tentativo di arrestare il presidente deposto Yoon Suk Yeol. Gli oltre 150 agenti coinvolti nell’operazione, si sono trovati infatti in netta inferiorità numerica rispetto al gran numero di sostenitori pro-Yoon radunati fuori dalla sua residenza nel centro di Seul, e anche rispetto al personale di sicurezza all’interno della proprietà in cui il presidente si è asserragliato. La polizia stava cercando di eseguire il mandato di arresto emesso dopo che Yoon aveva ignorato tre convocazioni in tribunale per rispondere delle accuse di abuso di potere e incitamento all’insurrezione in seguito al suo tentativo di imporre la legge marziale nel paese lo scorso 3 dicembre. Da allora, la Corea del Sud è in preda al caos politico, con il parlamento e il paese spaccati tra i sostenitori di Yoon e coloro che cercano di deporlo. I primi, accampati davanti alla residenza presidenziale da giorni, hanno esultato con canti e balli all’ annuncio della sospensione. Alcuni cartelli mostravano la scritta “Stop the Steal”, una citazione dello slogan lanciato dai sostenitori del presidente statunitense Donald Trump dopo la sua sconfitta alle elezioni del 2020. In un raro commento sui disordini politici in corso nel Sud nelle ultime settimane, l’agenzia di stampa nordcoreana Kcna ha sottolineato come la Corea del Sud si trovi “nel caos” e sia di fatto “politicamente paralizzata”.
Cosa succederà ora?
Il braccio di ferro tra Yoon e le forze dell’ordine non è del tutto inaspettato, data la renitenza che il presidente deposto ed ex procuratore capo del paese ha mostrato durante la fase delle indagini. L’ultima volta che Yoon ha lasciato la sua residenza – lo scorso 12 dicembre – aveva affermato con tono di sfida in un discorso alla nazione che avrebbe combattuto contro ogni tentativo di estrometterlo. Ora, gli inquirenti hanno tempo fino al 6 gennaio per arrestarlo prima che scada il mandato di cattura in vigore. Secondo la stampa sudcoreana la polizia avrebbe aperto un procedimento penale contro il capo del servizio di sicurezza di Yoon e il suo vice e li ha convocati per interrogarli. Nel frattempo, Park Chan-dae, il leader del principale partito di opposizione, il Partito Democratico, ha criticato il presidente deposto per non aver mantenuto la promessa di assumersi la responsabilità legale e politica del suo fallito tentativo di imporre la legge marziale: “Si trattava di una bugia totale” ha affermato, esortando la polizia a rinnovare i tentativi di arrestarlo. Secondo un sondaggio di Hankook Research circa il 65% dei sostenitori del partito conservatore, il People Power Party di Yoon, ritiene che le elezioni parlamentari dello scorso aprile siano state fraudolente. Un’opinione che solo il 29% dei cittadini coreani condivide.
Stallo alla coreana?
Mentre la Corea del Sud assiste alla vicenda con il fiato sospeso, il braccio di ferro sembra tutt’altro che concluso: gli avvocati di Yoon, infatti, hanno presentato ricorso contro il mandato, affermando che esso non può essere eseguito presso la sua residenza a causa di una legge che protegge i luoghi potenzialmente collegati a segreti militari da perquisizioni, senza il consenso della persona responsabile. Intanto, la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sull’impeachment nei confronti di Yoon approvato dal Parlamento. Gli otto giudici in carica della Corte costituzionale hanno tenuto una seconda udienza venerdì per decidere se rimuovere Yoon dall’incarico. La corte avrà tempo fino a giugno per emettere un verdetto, anche se questa scadenza può essere prorogata. Sono necessari almeno sei voti per approvare l’impeachment. Se alla fine venisse arrestato, Yoon sarebbe il primo presidente sudcoreano in carica a essere detenuto. Inoltre, in caso di una sua rimozione, le elezioni presidenziali dovrebbero tenersi entro 60 giorni.
Previsioni al ribasso?
Pur avendo difeso la sua decisione di imporre la legge marziale, accusando le opposizioni di aver “paralizzato” il parlamento e l’approvazione di varie leggi, tra cui quella di bilancio, il presidente sudcoreano ha innescato una crisi i cui contraccolpi sono difficili da prevedere. Le turbolenze hanno già iniziato a pesare sull’economia del paese, già alle prese con il potenziale aumento delle tariffe statunitensi in vista dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Giovedì, il governo ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita di quest’anno dal 2,2 all’1,8% e sta valutando la possibilità di elaborare un extra budget per aumentare i consumi interni. Le azioni e la valuta della Corea del Sud – ricorda il Financial Times – sono state tra le peggiori in Asia lo scorso anno con l’indice azionario Kospi in calo di quasi il 10% e il won, la moneta locale, scambiata vicino al livello più basso dal 2009. Il ministro delle Finanze e presidente ad interim Choi Sang-mok ha ordinato ai funzionari di adottare misure “rapide e coraggiose” per stabilizzare i mercati finanziari in caso di elevata volatilità.
Il commento
di Guido Alberto Casanova, ISPI Asia centre
“La Corea del Sud si ritrova invischiata in una crisi da cui ogni attore cerca di trarre il massimo vantaggio: Da un lato, il presidente Yoon – oltre a difendersi contro le accuse di insurrezione per aver imposto la legge marziale il 3 dicembre – è determinato a rovesciare la sentenza di impeachment su cui si dovrà esprimere la Corte Costituzionale entro giugno. Dall’altro, l’opposizione guidata dal partito democratico sta aumentando la pressione sul presidente al fine di rimuoverlo quanto prima dal suo incarico e andare così a elezioni anticipate. Elezioni che il leader democratico Lee Jae-myung si aspetta di vincere, a patto che si tengano abbastanza presto da evitare che i suoi guai giudiziari lo raggiungano prima del voto. In questo contesto convulso, l’attenzione dei vertici istituzionali della Corea del Sud rimarrà tutta concentrata sulla dimensione interna. In un momento però molto delicato anche per la sua posizione internazionale: le tensioni con la Corea del Nord sono ai massimi livelli e il ritorno di Trump alla Casa Bianca mette in dubbio le certezze su cui si basa la politica estera di Seul.”
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