I target EU di emissioni al 2025: come raggiungerli

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Le automobili e i veicoli commerciali leggeri (furgoni) sono rispettivamente responsabili nell’Unione Europea di circa il 16% e il 3% delle emissioni totali di diossido di carbonio (CO₂), il principale gas serra che contribuisce ai cambiamenti climatici. Complessivamente, il settore dei trasporti consuma un terzo dell’energia globale, energia che oggi nel 97% dei casi proviene da combustibili fossili, e contribuisce a un quarto delle emissioni complessive di gas serra nell’Unione Europea.

2035, l’anno in cui si potranno vendere solo veicoli a zero emissioni

Per queste ragioni, come ben noto, la Commissione Europea ha deliberato che dal 2035 sarà possibile vendere solo veicoli a zero emissioni. La decisione, per precisione, è stata presa dal Consiglio dell’Unione Europea, esattamente il 28 marzo 2023, su indicazione del Parlamento Europeo. In realtà, non c’è alcuna disposizione che imponga l’uso esclusivo di veicoli elettrici, come spesso si tende a credere. Sicuramente i veicoli elettrici a batteria (BEV, Battery Electric Vehicle) sono a zero emissioni durante la marcia, ma lo sono anche, ad esempio, i veicoli a idrogeno. Non è forse un caso che, a partire dal 2023, la Cina ha assunto una leadership anche in questo settore, mentre l’Europa sta ancora discutendo sui pro e contro di questo vettore energetico. In realtà, persino i motori a combustione interna possono essere a zero emissioni nette di CO₂, purché utilizzino combustibili sintetici (e-fuel), su cui punta molto la Germania. Al contrario, i biocarburanti non possono essere considerati a zero emissioni, almeno secondo la Commissione Europea, come invece auspicava l’Italia per sostenere l’industria nazionale del settore.

2030: le emissioni devono essere ridotte del 55%

Non tutti sanno, però, che ci sono altre scadenze molto importanti e ben più vicine. Una di queste è fissata tra cinque anni: dal 2030 le emissioni di CO₂ dei veicoli dovranno essere ridotte del 55% rispetto ai livelli del 2021. Si tratta di una riduzione significativa, che, almeno con la tecnologia attuale, mette in gioco di fatto solo i veicoli elettrici e ibridi plug-in, ovvero quelli dotati di batteria ricaricabile. Eppure, ad esempio in Italia, nel 2024 solo il 7,4% dei veicoli venduti appartiene a questa categoria. Al contrario, il 67% delle auto nuove si colloca nella fascia tra 61 e 135 g di CO₂ per chilometro, e ben il 24% (un’auto immatricolata su quattro!) emette oltre 136 g/km. Considerando che cinque anni sono un lasso di tempo molto breve nell’industria automobilistica (tra progettazione, sviluppo del veicolo, catene di montaggio, prove su strada, ottimizzazione, presentazioni nelle fiere, preordini e arrivo sul mercato), c’è da chiedersi come le case automobilistiche che attualmente vendono principalmente motori a combustione interna intendano raggiungere questo obiettivo.

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2025: arrivano gli standard per le emissioni medie delle nuove vetture

Ma c’è un altro target, ancora più vicino, fissato dall’Unione Europea: quello del 2025. Per contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra nel settore dei trasporti, l’UE ha stabilito già nel 2019 un regolamento, successivamente rafforzato nell’aprile 2023, che fissa gli standard per le emissioni medie delle nuove autovetture. Dal 2025, le nuove auto dovranno avere emissioni medie di 93,6 g di CO2/km, per poi arrivare a 49,5 g di CO₂/km entro il 2030, e infine raggiungere le zero emissioni dal 2035. I target annuali di emissioni specifici per ciascun costruttore si devono, quindi, basare su questi obiettivi dell’UE, tenendo conto della massa media dei nuovi veicoli immatricolati. Dal 2021, questi target specifici sono calcolati in base al nuovo standard WLTP, i cui dati di emissione di CO2 possiamo trovare ben in evidenza sul sito internet ufficiale di qualsiasi vettura in commercio.

Italia fanalino di coda per vendita di auto a basse emissioni

Per i non addetti ai lavori, tutti questi numeri possono dire poco. È quindi fondamentale comprendere dove ci troviamo attualmente e quali sono le possibilità concrete di raggiungere gli obiettivi previsti tra pochi mesi. Cominciamo dal nostro Paese. Purtroppo, l’Italia sta andando, è inutile nasconderlo, molto male. Fanalino di coda in Europa per le vendite di auto a basse o zero emissioni (4% delle immatricolazioni), il Paese si conferma come uno dei più inquinanti. Non solo, ma secondo i dati raccolti dalla community web Vaielettrico.it, l’Italia sembra andare addirittura in direzione opposta, passando da 120,3 g di CO₂/km nel 2023 a 123 g/km nel 2024. Per fare un confronto, sempre secondo Vaielettrico.it, Germania e Francia si attestano intorno ai 100 g/km, mentre Svezia e Finlandia sono già al di sotto del livello richiesto (in Norvegia, siamo ormai a meno di 20 g/km e si punta decisamente a raggiungere le zero emissioni con molti anni di anticipo). È come se una squadra di calcio, già sotto di due o tre gol a metà del secondo tempo, continuasse a giocare nella propria metà campo invece di attaccare verso la porta avversaria (vi ricorda qualcosa?).

D’altronde, non c’è da stupirsi. L’Italia è tradizionalmente e tenacemente legata ai combustibili fossili: nel 2024 il 93% delle nuove immatricolazioni riguarda incredibilmente ancora veicoli con motore a combustione interna. In più, in modo alquanto inopportuno, la maggior parte degli incentivi statali all’acquisto di automobili nel nostro Paese è stata destinata proprio alle auto a combustione, con emissioni fino a 135 g/km (e addirittura fino a 160 g/km per i veicoli usati), un caso unico al mondo.

Case produttrici: occhio alle multe miliardarie

L’Unione Europea impone, con questo regolamento, dei limiti rigorosi per le stesse case automobilistiche. Le regole europee stabiliscono che, se le emissioni medie di CO₂ della flotta di un produttore superano il target specifico stabilito per quell’anno, il produttore deve pagare una sanzione di 95 euro per ogni grammo di CO₂/km eccedente, per ciascun nuovo veicolo registrato. Complessivamente, queste sanzioni possono tradursi in multe enormi, di miliardi di euro. Per venire incontro ai produttori, esiste comunque la possibilità di cooperare per raggiungere i target di emissioni. Ad esempio, alleanze strategiche con aziende come Tesla e Volvo potrebbero essere utili per molti produttori europei, che naturalmente dovranno “compensare” per queste collaborazioni in qualche modo.

Come già visto per le nazioni, purtroppo, anche a livello di produttori, la situazione attuale non è affatto promettente. Secondo l’ultima analisi di Transport & Environment (T&E), la principale organizzazione non governativa europea in materia di decarbonizzazione dei trasporti, emerge che a giugno 2024 (quindi a 18 mesi dalla scadenza) solo Volvo, insieme ai marchi completamente elettrici (Tesla e, appartenente allo stesso gruppo di Volvo, Polestar), sono già in linea con gli obiettivi. Gli altri produttori presentano ritardi di vario grado, da leggero (Kia, Toyota) a medio (BMW, Mercedes, Stellantis, Renault) a, infine, significativo (Ford, Volkswagen). È evidente che i produttori devono correre ai ripari, e in fretta. Ma come?

La via principale per abbassare le emissioni medie sarebbe quella di puntare decisamente sull’elettrico, come sta facendo Volvo, oltre naturalmente ai marchi già full electric (Tesla, Polestar). La nuova Volvo EX30 è in testa alle vendite di veicoli elettrici anche in Italia, subito dopo i due modelli di Tesla, Model 3 e Model Y. Anche se persistono importanti criticità legate al prezzo di vendita (vedi articolo), ormai tutte le case automobilistiche hanno in listino diversi modelli elettrici e tutte hanno annunciato nuovi modelli in arrivo. In particolare, secondo T&E, per raggiungere i target, saranno cruciali le nuove BEV di fascia bassa, dove si concentra la maggior parte delle vendite, soprattutto per marchi come Ford, Renault, Stellantis e Volkswagen.

Il contributo limitato dei modelli ibridi

Una riduzione parziale delle emissioni medie può provenire anche dai veicoli ibridi, ma il loro contributo è limitato. Alcuni costruttori automobilistici intendono concentrarsi principalmente su questa strategia. Tuttavia, la debolezza di questa azione è evidente: i motori a combustione interna, anche se ibridi, continuano a generare elevate emissioni (rispetto ai target). Per esempio, il modello ibrido più venduto in Italia nel 2024, la Fiat Panda ibrida (che copre il 16% del mercato ibrido nazionale), registra emissioni di 113-117 g/km secondo il sito di Stellantis, ben al di sopra del livello richiesto (93,6 g/km). Guardando ai motori a benzina e diesel, che coprono ancora il 43% delle immatricolazioni in Italia, i modelli più venduti (Citroën C3 per la benzina e Volkswagen Tiguan per il diesel) emettono rispettivamente 111-138 g/km (dati Citroën) e 139 g/km (dati Volkswagen per la Nuova Tiguan, modello 2025).

Secondo T&E, non vi sono dubbi: per raggiungere i livelli di emissione stabiliti dall’UE, le BEV dovrebbero rappresentare quasi il 25% delle nuove vendite. In Italia, nel 2024 siamo solo al 4%, come già detto. In realtà, in gran parte dell’Europa si punta ancora molto sui motori a combustione interna, nella versione ibrida, dove il ruolo della batteria è però del tutto marginale. Nei primi tre trimestri del 2024, l’ibrido ha coperto una quota di mercato del 30% nell’UE, mentre in Italia la percentuale sale addirittura al 40%. Per questa ragione, gruppi come Volkswagen e Stellantis vorrebbero fare affidamento su questa tecnologia per ottenere una parte significativa della riduzione delle emissioni. Tuttavia, come abbiamo visto, questa strategia ha un impatto limitato: si stima che gli ibridi possano contribuire solo al 30% delle riduzioni emissive richieste, il che aiuta, ma non è sufficiente per risolvere il problema in modo definitivo.

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Nel complesso, è inutile dirlo, la situazione è piuttosto complessa e riflette il colpevole ritardo delle case automobilistiche europee nel passaggio all’elettrico, in confronto a produttori di altri paesi, come quelli cinesi, che oggi rappresentano oltre il 50% delle vendite mondiali complessive di BEV. Questo ritardo, accumulato in decenni, richiede strategie immediate e risolutive. Puntare soprattutto sull’ibrido, viste le emissioni di cui abbiamo parlato, potrebbe non rivelarsi una scelta vincente e rischia di causare ulteriori ritardi.

Taglio emissioni: la reazione scomposta delle case automobilistiche e la fermezza della UE

Cosa si può fare, allora? Come uno studente colto impreparato durante un’interrogazione fissata da tempo, molte case produttrici hanno iniziato a criticare l’Unione Europea, ribellandosi ai limiti che considerano ora irraggiungibili, pur essendo noti fin dal 2019. Lo fanno minacciando misure drastiche, come la chiusura di stabilimenti e la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Considerando il ritardo nelle strategie industriali, questi sono, in pratica, estremi tentativi di resistere a un cambiamento che in molti non hanno saputo cogliere. E così, in gran parte unite, le case automobilistiche hanno chiesto un rinvio in extremis dei termini fissati per il 2025, e già che ci sono, anche di quelli del 2030 e 2035. Ma è davvero questa la soluzione?

Sicuramente, un rinvio potrebbe ridurre le sanzioni, ma non risolverebbe i problemi di un’industria in ritardo tecnologico che ha continuato, e continua tuttora, a puntare fortemente sul motore a combustione interna. La pensa così anche il CEO BMW Oliver Zipse che in una recente intervista a Automobilwoche ha respinto l’idea di posticipare gli obiettivi di CO2 per il 2025, sottolineando che sono noti dal 2019 e che la casa tedesca ha già adeguato la sua strategia e migliorato l’efficienza dei propulsori, pur continuando a sostenere la necessità di mantenere aperte tutte le opzioni tecnologiche. “Non vediamo alcuna ragione di posticipare i target CO2 per il 2025”, ha dichiarato il boss del colosso tedesco.

Nel frattempo, altrove, come in Cina, il futuro elettrico è già una realtà importante. Secondo diversi analisti, chiedere un rinvio è solo un modo per prolungare un declino già in atto, anziché abbracciare il progresso tecnologico e la transizione ecologica.

Scienziati, tecnici e associazioni come T&E hanno indicato chiaramente quale dovrebbe essere la direzione da seguire. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, assumendo la guida del piano d’azione industriale della Ue sul settore automotive è, su questo punto, ferma: i target del 2025, 2030 e 2035 devono essere rispettati. I governi nazionali devono supportare la domanda di veicoli elettrici, non solo nel settore privato, ma anche nelle flotte aziendali, ad esempio facilitando una completa elettrificazione di queste ultime. La Vicepresidente della Commissione Europea con delega alla Clean Transition, Teresa Ribera, lo ha ribadito, riferendosi alla possibilità di rivedere il divieto di vendita di veicoli con carburanti tradizionali: “Non è un’ipotesi che stiamo considerando”.

Tuttavia, per raggiungere questi obiettivi, non bastano solo semplici incentivi economici all’acquisto. È necessario adottare un approccio a 360 gradi, investendo massicciamente nell’infrastruttura di ricarica, lungo le strade extraurbane e nelle aree urbane. Un altro passo importante è facilitare l’installazione di colonnine domestiche, come le wallbox, nei condomini, nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro, dove le auto sono ferme per la maggior parte del tempo e dove quindi il processo di ricarica diventa estremamente comodo ed efficiente.

I target al 2025 e quelli successivi non devono essere intesi come degli obiettivi quasi arbitrari da perseguire a tutti i costi, ignorando le esigenze di costruttori e consumatori. Dovrebbero invece essere visti come un’opportunità di crescita, di cambiamento e di progresso. E poi, non dimentichiamolo, attualmente un quarto delle emissioni proviene dal settore dei trasporti. I nuovi obiettivi ci sono richiesti dall’ambiente, dalla nostra salute e dalla crisi climatica. Se concordiamo che città più pulite e salubri siano una priorità, per noi e per le generazioni future, non dovremmo avere dubbi – produttori e consumatori – sulla strada da seguire.

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