«La situazione dei diritti umani è in peggioramento da 10/15 anni, in sintonia con l’indebolimento delle democrazie. Le guerre sono diventate conflitti civili, all’interno di un singolo Paese, in cui le vittime civili sono sempre di più»
I diritti umani, la ferita aperta nel mondo. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli storici italiani: Marcello Flores. Il professor Flores ha insegnato Storia comparata e Storia dei diritti umani nell’Università di Siena, dove ha diretto anche il Master europeo in Human Rights and Genocide Studies. Tra i suoi libri, ricordiamo: La forza del mito. La Rivoluzione russa e il miraggio del socialismo (Feltrinelli, 2017), Il secolo del tradimento. Da Mata Hari a Snowden 1914-2014, (il Mulino, 2017), Il genocidio degli armeni (il Mulino, nuova ed. 2015), Traditori. Una storia politica e culturale (il Mulino, 2015), Storia dei diritti umani (il Mulino, nuova ed. 2012), Il genocidio (Il Mulino, 2021).
Professor Flores, il 2024 lascia al nuovo anno appena entrato un mondo più “disumanizzato”?
Sicuramente ci troviamo di fronte a realtà dei diritti umani che non soltanto nell’ultimo anno ma già da diversi anni indietro, è andata estremamente peggiorando, in sintonia con l’indebolimento delle democrazie. Un indebolimento che i principali istituti che valutano il livello di democrazia nel mondo stabiliscono esistente perlomeno da dieci-quindici anni. Le due cose sono tra loro collegate. In particolare, poi, vivendo un periodo di guerre e di conflitti più intensi che nel passato, soprattutto attorno ai due conflitti più gravi, quello in Ucraina e quello che investe ormai gran parte del Medio Oriente, in ogni conflitto le violazioni dei diritti umani diventano estremamente continue e violente, testimoniate da numerose e documentate inchieste sia giornalistiche che giudiziarie che rimarcano un aumento dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità. Questa è la situazione generale per quanto concerne i diritti umani; una situazione che non possiamo che giudicare in maniera negativa e preoccupata. C’è poi una considerazione più di fondo che varrebbe la pena fare…
A lei la parola, professor Flores.
Al di là dei conflitti in corso, questo degradarsi del rispetto dei diritti umani, è dato da un elemento nuovo. In questo secolo, ma le avvisaglie c’erano già state negli anni 90, emergono nuove potenze, come la Cina e l’India, per le quali i diritti umani erano fondati su valori occidentali a cui aggiungere e spesso contrapporre dei valori asiatici, che, per farla breve, marcavano l’attenzione ai diritti collettivi rispetto ai diritti individuali, tipici dell’Occidente. Questo tipo di ragionamento ha portato in questo secolo, al fatto che nei paesi dittatoriali o autoritari, di tipo diverso, la Cina dittatoriale e l’India, una democrazia con tendenze autoritarie, hanno, sviluppato, come peraltro altri paesi dell’area asiatica e in parte nei paesi africani, una idea nazionalista dei diritti umani, vale a dire l’idea che i diritti umani vadano legati alla storia dei singoli paesi e quindi non possono essere universali in modo generale, in quanto conoscono delle tappe diverse. Questo giustificherebbe il fatto che alcuni diritti, considerati universali dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, siano per i paesi a cui facevo in precedenza riferimento, diritti che possono essere congelati, messi da parte, perché sarà il progresso e la storia dei singoli paesi a farli poi emergere se e quando sarà necessario. Una situazione che indebolisce fortemente la visione generale e globale che dei diritti umani si ha nel mondo.
Un tempo, i diritti umani dei civili erano contemplati anche nelle convenzioni di guerra, come la Convenzione di Ginevra, solo per citarne la più conosciuta. Non trova che oggi nelle guerre in corso, il nemico venga disumanizzato e che non si faccia alcuna differenza se veste una divisa militare o sia un civile, fosse anche una donna o un bambino?
La condanna dei crimini di guerra, che riguardano anzitutto i civili ma che si estendono anche al trattamento particolarmente violento e ingiusto nei confronti dei feriti e dei prigionieri, è stato messo in discussione nel mondo già alla fine del 1800, nel corso del 1900, dalle prime Convenzioni dell’Aja e poi nelle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai due protocolli aggiuntivi del 1977, che hanno precisato l’argomento in modo sempre più esplicito. Questo non ha impedito che in tutto questo frattempo non ci fossero ugualmente delle violazioni commesse praticamente da tutti quanti coloro che entravano in guerra, sia da quelli che la iniziavano – pensiamo alla Prima guerra mondiale, l’Austria e la Germania, o alla Seconda guerra mondiale, la Germania nazista – ma poi anche da chi rispondeva difendendosi, pensiamo ai devastanti bombardamenti alleati in Germania e Giappone, e alle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Nel secondo dopoguerra, con le convenzioni del ’49 e le aggiunte del ’77, si era cercato di fare un discorso che fosse valido per tutti.
Con quali risultati, professor Flores?
Beh, se pensiamo non soltanto alla guerra nel Vietnam, ma alle tante guerre che ci sono state in questi decenni, questa realtà giuridica ha lasciato il tempo che trovava, anche se c’era la consapevolezza che si stavano commettendo delle azioni che erano impedite dal Diritto internazionale. Quello che è cambiato, è che a partire dagli anni 90 e soprattutto in questo secolo, i conflitti sono diventati, per la stragrande maggioranza, dei conflitti civili, cioè delle guerre all’interno di un singolo paese, anche se appoggiandosi spesso ad altri Stati che li sponsorizzano e li aiutano, e questo ha comportato che le vittime civili siano cresciute sempre di più. La guerra civile di per sé crea quest’alternativa di vivere o morire, del nemico assoluto, che poi traslata in qualche modo anche nelle guerre più tradizionali, come quella della Russia che ha invaso l’Ucraina, per cui oggi l’atteggiamento degli ucraini non soltanto verso il governo russo, ma più in generale verso i russi, è un atteggiamento di ostilità che rende estremamente difficile ipotizzare in un futuro prossimo, un rapporto conciliante tra i due popoli. Per non parlare della situazione caotica in Medio Oriente, un teatro di conflitti nel quale gli attori impegnati e contrapposti sono ancor più numerosi che sul fronte russo-ucraino.
Professor Flores, lei ha scritto libri importanti su un tema di straordinaria delicatezza e attualità: il genocidio. Ci può aiutare a capire meglio l’essenza della questione che sta generando polemiche a non finire?
La cosa semplice che si potrebbe dire rispetto al genocidio è che il genocidio esiste quando c’è un tribunale che stabilisce la sua esistenza. E questo, purtroppo avviene sempre dopo che il genocidio si è consumato. Ci sono dei momenti in cui dei tribunali internazionali, come per esempio è successo alla Corte internazionale di giustizia de l’Aja, parlano di un possibile futuro pericolo di genocidio e mettono in guardia su questo rischio. Questa cosa, però, nella propaganda politica e ideologica, che soprattutto attorno a Gaza ha raggiunto dei livelli di assoluta mancanza di razionalità e buon senso, ha fatto sì che quest’attenzione ad evitare un genocidio fosse vista come una condanna di genocidio, per cui lo mette in discussione, non crede ai diritti umani e al Diritto internazionale o viceversa, da parte d’Israele, si accusa chi rimarca l’esistenza di atti genocidiali di essere antisemita. Questa è la logica distruttrice da cui non si riesce ad uscire. Il problema è cominciare a capire che, intanto, non siamo noi che possiamo decidere se c’è un genocidio o no. Quello che noi dovremmo cercare di fare, è aiutare in tutti modi, politici, diplomatici e anche militari dove fosse necessario, a impedire che vi siano crimini che non sono soltanto di genocidio, ma sono crimini di guerra e contro l’umanità. Crimini altrettanto gravi di quelli di genocidio, mentre c’è l’idea che se si parla di genocidio, si fa riferimento alla cosa peggiore, la più terribile; invece, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità si lasciano andare come fossero qualcosa di accettabile, qualcosa che è fuori dalla logica, dalla storia di qualsiasi possibilità di ragionamento sensato.
Ma non crede, professor Flores, che grande responsabilità hanno anche gli Stati nel momento in cui negli accordi bilaterali, la questione del rispetto dei diritti umani o non viene citata o messa a piè pagina, come un accessorio di cui si può fare a meno? Si pensi al Mediterraneo, in cui l’Italia e l’Europa cercano e sostengono autocrati e dittatori ai quali si chiede di fare il lavoro sporco, i respingimenti di migranti, al posto nostro.
In gran parte è così. Ogni alibi è saltato. Vede, prima ci si trincerava dietro lo schema della Guerra fredda, attribuendo soprattutto alle due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti d’America, le violazioni maggiori dei diritti umani, mentre i paesi all’interno dei due campi si ritenevano in qualche modo vittime e sostenevano di voler lottare per i diritti umani. Oggi questo schema non regge più. Non regge più in un mondo sempre più multipolare, che è tale non perché esistano tante grandi potenze ma perché oltre alle poche grandi potenze, vi sono medie potenze che hanno una sempre maggiore autonomia e capacità di influenzare autonomamente il corso degli eventi. Pensiamo, ad esempio, come si è mosso Israele rispetto agli stati Uniti, che sono il loro principale alleato. Questa realtà fa sì che ogni paese scelga un finto realismo in cui mette al primo posto i rapporti d’interesse, soprattutto con quei paesi a cui più è legato in termini economici e di interscambio commerciale, guardandosi bene a porre questioni, tanto meno vincoli, legati ai diritti umani. Sono pochissimi i capi di Stato o di governo che quando vanno in Cina ricordano a Xi Jinping la realtà dello Xinjiang o della persecuzione degli uiguri. Questo per evitare di dover pagare qualche prezzo sul piano economico. Il problema, la sfida di civiltà che dovremmo condurre, è la ricostituzione di un clima culturale e politico che oltre a porre le basi per un nuovo equilibrio internazionale più avanzato rispetto a quello che è fallito in questi ultimi anni, ponga di nuovo la questione della centralità dei diritti umani in una globalizzazione che in nome degli interessi economici assolutizzati, quei diritti ha conculcato.
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