Cecilia Sala, silenzio stampa o inchino a Teheran? “Fare rumore per gli oppositori detenuti”

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A 16 giorni dall’arresto di Cecilia Sala, si alzano le voci dei dissidenti iraniani.

Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, riferendosi all’arresto di Sala, ha definito la presa in ostaggi di cittadini stranieri come una forma di ricatto di antica tradizione della Repubblica islamica. La dissidente Nasrin Sotoudeh chiede di non far cadere il silenzio sulla orribile politica repressiva e sulla condizione degli oppositori detenuti. Sotoudeh ha detto che nella prigione di Evin il tempo “non passa mai” perché una ingiustizia di tale gravità può distruggere il controllo della persona detenuta: “Le mie compagne di reclusione e io eravamo solite sfidare le regole della prigione resistendo anche nella violazione delle regole dell’hijab. Vorrei che sapesse quanto l’ammiro – ha detto Sotoudeh, riferendosi a Cecilia Sala – perché ha avuto il coraggio di venire qui e raccontare il mondo terribile in cui sono costretti a vivere gli uomini e le donne iraniane”.

Anche Masih Alinejad, giornalista e attivista per i diritti umani che guida la rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” per la cacciata della Repubblica islamica dall’esilio forzato negli Stati Uniti, perseguitata dagli ayatollah che hanno tentato più volte di ammazzarla, è intervenuta sul caso Sala: “Il giornalismo non è un crimine, eppure la Repubblica islamica prende di mira giornalisti, attivisti e visitatori, trasformandoli in pedine nel suo sinistro gioco della diplomazia degli ostaggi. Ogni visitatore innocente trattenuto diventa una merce di scambio, aiutando il regime a proiettare un falso senso di normalità al mondo. Non bisogna rimanere in silenzio: la Repubblica islamica prospera mettendo a tacere il dissenso e trasformando le vite in armi. Per sostenere veramente il popolo iraniano, è necessario amplificate le loro voci da lontano. Occorre stare al fianco di coloro che lottano per la libertà e la giustizia e non legittimare inavvertitamente un regime che commercia nella paura e nell’oppressione. L’Iran è una trappola per gli innocenti malcapitati”.

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Cecilia Sala è detenuta arbitrariamente in Iran, è stata presa in ostaggio e non è la prima volta che la Repubblica islamica arresta, per meglio dire rapisce, cittadini stranieri, soprattutto giornalisti stranieri o con doppio passaporto. Lo fa, come è ben noto, dal 1979, in una sorta di “diplomazia degli ostaggi” che sistematicamente mette in atto ogni qual volta voglia ottenere dei benefici diplomatici o materiali. Tre giorni prima dell’arresto di Cecilia, un membro iraniano del Corpo dei guardiani della rivoluzione, Mohammad Abedini Najafabadi, viene arrestato all’aeroporto di Malpensa su mandato internazionale spiccato dagli Usa perché accusato di “cospirazione” per aver esportato componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti all’Iran e di “aver fornito supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera”.

La storia ci insegna che non si tratta di una coincidenza. Solo negli ultimi due anni è successo a Olivier Vandecasteele, attivista umanitario belga, a Johan Floderus, diplomatico svedese e ora alla giornalista italiana Cecilia Sala. Tutti e tre, costoro, cittadini dell’Unione europea, arrestati per costringere i loro paesi a liberare pericolosi criminali pasdaran con le mani grondandi di sangue. È giunto il momento che l’Unione europea e tutte le democrazie occidentali inizino a prendere sul serio questa crescente minaccia geopolitica e a dotarsi di uno strumento legislativo per sanzionare pesantemente, a livello comunitario, questa orribile pratica della “diplomazia degli ostaggi”.

Il ministro della Giustizia iraniano ha ammesso apertamente che la liberazione di Cecilia Sala può avvenire dopo la liberazione del cittadino iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, detenuto nel carcere di Opera. Negli ultimi due anni sono almeno venti i cittadini stranieri rapiti dai pasdaran e detenuti nelle prigioni iraniane, molti sono giornalisti famosi.





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