«Crisi climatica? La comunicazione è uno dei principali strumenti che la scienza deve saper usare»

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«Non stiamo fallendo soltanto l’obiettivo della mitigazione: non riusciamo neanche a raggiungere gli obiettivi di adattamento e di finanziamento». A parlare è Jim Skea, presidente dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della valutazione scientifica relativa ai fenomeni indotti dai cambiamenti climatici. In un’intervista al magazine online di Enea “Energia ambiente e innovazione”, il climatologo britannico fa un’analisi della situazione attuale, degli impegni assunti dai governi mondiali nel corso degli anni e di come le decisioni assunte nei meeting internazionali siano state finora puntualmente disattese. E, ultimo ma non ultimo, del ruolo che in tutto ciò svolge la comunicazione.

Già in passato, il docente di Energia sostenibile all’Imperial College di Londra aveva sottolineato che «negli obiettivi dell’Accordo di Parigi ci sono lacune tra le aspirazioni e le azioni intraprese» o affermato che rispetto agli obiettivi di spesa globali «ci sono evidenti lacune tra i finanziamenti climatici monitorati e ciò che è necessario per imboccare percorsi di sviluppo a basse emissioni e resilienti al clima» o, ancora, attirato l’attenzione sul fatto che «solo tra il 4 e l’8% dei finanziamenti climatici monitorati è destinato all’adattamento, e oltre il 90% dei finanziamenti per l’adattamento proviene da fonti pubbliche». E oggi Skea ribadisce la necessità di un maggior impegno multilaterale osservando che «è meno difficile trovare finanziamenti per la mitigazione, 

 rispetto all’adattamento, perché per la mitigazione esiste un’unità di misura molto semplice, cioè il costo in termini di anidride carbonica equivalente»: «Al contrario, per l’adattamento non esiste un’unica metrica sulla quale misurare gli investimenti per la prevenzione. L’altro aspetto di cui tener conto è che molte misure di adattamento sono legate allo sviluppo economico in generale e alla pianificazione di nuove infrastrutture. Ad esempio, il modo in cui si progetta una nuova città potrebbe renderla più o meno resiliente ai cambiamenti climatici. Se nel piano si integrano infrastrutture verdi e blu, cioè più alberi, più aree verdi con laghi o fiumi, questo può davvero contribuire all’adattamento ai cambiamenti climatici, ma fa parte dello sviluppo generale. Quindi, è molto più difficile attrarre finanziamenti privati per l’adattamento». Gli esempi di possibili iniziative private di adattamento che il presidente dell’Ipcc avanza nell’intervista riguardano diversi settori: «Ad esempio, il settore assicurativo potrebbe essere interessato a finanziare misure di adattamento, per proteggersi da future perdite; un altro settore è quello delle filiere alimentari, potenzialmente vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. È probabile che i rivenditori o i produttori di generi alimentari possano avere interesse a investire nella resilienza climatica, perché in questo modo proteggeranno la loro filiera. E possono esserci anche settori dove gli interventi possono contribuire a ridurre le emissioni e a rendere le comunità locali più resilienti agli effetti dei cambiamenti climatici. È il caso, in particolare, idi alcuni interventi per il territorio, ad esempio in agricoltura, dove le tecniche agricole che consentono di accumulare carbonio nei suoli, contribuendo all’assorbimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera, possono renderci più resilienti anche agli effetti del cambiamento climatico. Se le aziende private investiranno in questo tipo di misure, con i benefici sia per la mitigazione che per l’adattamento, dovranno sostenere i costi della mitigazione, ma allo stesso tempo si otterrà anche un certo adattamento».

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Ma c’è una precondizione che Skea mette sul piatto, prima di poter affrontare qualsiasi ragionamento su come affrontare con più efficacia le sfide poste dalla crisi climatica. Se già in passato, nel suo  discorso all’Assemblea  delle Nazioni Unite sull’ambiente, aveva sottolineato che «il mondo non sta davvero ascoltando la scienza», e aggiunto che «abbiamo ancora del lavoro  da fare» per fornire informazioni che possano essere messe in pratica e comunicarle ai pubblici giusti, nell’intervista al magazine di Enea Skea ribadisce che la comunicazione è un fattore essenziale per vincere la sfida ambientale perché è tutt’ora evidente che «il mondo non sta agendo sulla base della scienza»: «Se ciò sia dovuto al fatto che il mondo non ci ascolta o perché ci ha ascoltato ma ha scelto di non agire, è qualcosa che va chiesto direttamente a coloro che oggi non stanno agendo. Non posso parlare per loro. Tuttavia penso che sia molto importante che quando pubblichiamo i nostri rapporti Ipcc, riflettiamo su come dobbiamo scriverli per riuscire a convogliare messaggi molto chiari sulle possibili conseguenze del cambiamento climatico, ma soprattutto sulle azioni positive che possiamo intraprendere in futuro, ai decisori politici, al pubblico in generale e alla società civile». 

Un esempio per tutti, di quel che è opportuno e non opportuno fare per una efficace comunicazione, e di quello che è il lavoro necessario svolgere per far arrivare il messaggio, Skea lo trae proprio dall’ultimo ciclo dell’Ipcc, ovvero il sesto Assessment Report realizzato dal gruppo di esperti intergovernativo: «Abbiamo prodotto 10.000 pagine di rapporti: non le ho lette tutte di seguito e non credo che nessuno lo abbia fatto. Per noi, quindi, è un’esigenza imprescindibile riassumerle e comunicarne i contenuti scientifici in modo molto chiaro affinché le tutti possano comprendere i rischi del cambiamento climatico e le possibilità di intervento per affrontarlo. Nel prossimo ciclo rifletteremo con ancora più attenzione al modo in cui scriviamo i nostri rapporti e a come li comunichiamo».

Un’esigenza, questa, sollevata da più parti, perché ormai è chiaro che la sfida contro la crisi climatica non si vince soltanto sulla base di dati e statistiche ed è invece essenziale saper comunicare ed educare all’informazione. Un’esigenza, ribadisce il presidente dell’Ipcc, di cui si deve tener conto nel breve come nel lungo termine, anche riguardo gli obiettivi dell’Accordo di Parigi di cui si parlava all’inizio. Dice infatti Skea che per raggiungerli «è necessario un cambio di rotta sostanziale»: «Per la mitigazione sono necessarie trasformazioni a livello sistemico nell’energia, nei trasporti e nel modo in cui gestiamo il territorio. Credo che molti governi trovino tutto ciò piuttosto difficile da conciliare con altre questioni urgenti; ad esempio, tematiche come la sicurezza energetica hanno la priorità nei bilanci pubblici. Quindi, penso che la difficoltà sia questa e che per questo sia importante comunicare i rischi del cambiamento climatico e i benefici effetti degli interventi per contrastarlo, molti dei quali comportano ulteriori vantaggi per quanto riguarda gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Se non riusciremo a comunicare tutto questo in modo efficace, penso che ci saranno scarse probabilità di sviluppare politiche ambiziose per il clima. La comunicazione è uno dei principali strumenti che la scienza deve saper utilizzare per proteggere il clima».



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