L’epidemia d’ansia dei giovani c’è, ma na non è tutta colpa dei social

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La nostra economia va a rotoli e le nostre città sono insicure? È tutta colpa degli immigrati. I nostri giovani figli si sentono sempre più soli e infelici, soffrono di disturbi mentali quali la depressione e l’ansia, e tentano il suicidio più spesso di prima? È tutta colpa dei social e dei telefonini.

Questa è l’epoca in cui va di moda dare risposte semplicistiche a problemi complessi. Questa è l’epoca del populismo, che trova facili capri espiatori a cui attribuire le colpe di quel che non va. Purtroppo, però, le soluzioni facili sono sbagliate e non risolvono i problemi.

Pochi scienziati e senza dati

Prendiamo l’epidemia di malessere mentale dei giovani. Tutte le ricerche scientifiche e sociologiche indicano che negli ultimi quindici anni in tutto il mondo tra i giovani è aumentato enormemente il numero dei casi di depressione e di ansia e dei tentativi di suicidio, un fenomeno che è esploso proprio quando hanno cominciato a diffondersi i telefonini e i social.

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Per questo, taluni scienziati e sociologi – un’esigua minoranza, va detto – sostengono che a causare l’aumento del senso di solitudine, dei casi di depressione e dei comportamenti suicidari tra i giovani siano proprio i telefonini e i social.

Questi scienziati lo spiegano così: i giovani passano troppo tempo attaccati allo schermo e così si isolano; sui social gli influencer gli propongono ideali di successo e di bellezza irraggiungibili, così si sentono falliti e si incupiscono; online è più probabile vengano molestati o ricattati; alla fine si deprimono e si tolgono la vita. Peccato che non sia vero nulla. O, per meglio dire, che non esista una sola ricerca scientifica che dimostri in maniera chiara e inequivocabile che i social facciano male alla salute mentale dei giovani.

Screentime innocente

Per esempio, negli Usa a partire dall’anno 2000 tra gli adolescenti c’è stato un enorme aumento dei casi di depressione e dei tentativi di suicidio. Le morti provocate da suicidio sono aumentate in ogni gruppo di età, ma tra le giovani di età compresa tra i 10 e i 14 anni sono addirittura triplicate dal 1999 al 2017. Tendenze simili sono in atto in ogni paese del mondo. Il responsabile della Salute Pubblica degli Usa, il Vice Ammiraglio Vivek Murthy, l’ha chiamata «la crisi della salute mentale dei giovani».

È colpa del cosiddetto screentime, cioè del tempo che i giovani passano attaccati allo schermo dei telefonini? Candice Odgers – professoressa di psicologia dell’Università di California a Irvine, una delle massime esperte del settore – ha affermato: «La tesi che le tecnologie digitali stiano provocando una modificazione delle connessioni nervose nel cervello dei nostri bambini e causando un’epidemia di disturbi mentali non è supportata dalla scienza».

E ha proseguito: «Centinaia di ricercatori – me compresa – hanno condotto ricerche per capire se il tempo passato sui social abbia effetti pesanti. I nostri sforzi hanno dimostrato che o non c’è nessun effetto, o l’effetto è minuscolo, o molto dubbio. E quando questi studi si sono protratti nel tempo hanno suggerito non che l’uso dei social media predice o causa la depressione, ma bensì che i giovani che già soffrono di disturbi mentali utilizzano queste piattaforme più spesso o in modi diversi rispetto ai loro pari sani».

Detto in parole più semplici, non è vero che i cellulari causano il malessere psichico dei giovani; invece, quasi tutti gli scienziati e gli studi sostengono che questo nesso di causalità andrebbe rovesciato, cioè se io sono un adolescente infelice allora mi attacco allo schermo del telefonino proprio per fuggire dalle cose della mia vita che mi rendono infelice- come una famiglia disfunzionale con genitori che mi angosciano, o una situazione economica o sociale che mi terrorizza- e non viceversa.

La precarietà che pesa

Per sapere chi ha la colpa della crisi della salute mentale dei giovani, basta leggere un articolo fondamentale pubblicato qualche mese fa su Lancet Psychiatry, la più importante rivista scientifica di psichiatria del pianeta.

Il comitato editoriale di quella rivista ha riunito un centinaio tra i più importanti esperti di psichiatria delle più prestigiose università del mondo – guidati dal professor Patrick McGorry, dell’Università di Melbourne, in Australia, – per formare la Commissione di Lancet Psychiatry sulla crisi di salute mentale dei giovani. Questi illustri scienziati si sono messi al lavoro e, nel settembre 2024, hanno pubblicato un ponderoso articolo intitolato proprio “Commissione di Lancet Psychiatry sulla crisi di salute mentale dei giovani”, che espone il loro pensiero sul tema.Scrivono: «I giovani sono sensibili in maniera unica alle condizioni e alle forze strutturali prevalenti di natura sociale e politica ed economica, e gli effetti di questi fattori influenzano la salute mentale lungo tutta la vita».

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E quali sono queste forze di natura sociale ed economica che provocano la crisi di salute mentale dei giovani? Sentite cosa dicono gli studiosi: «Quattro decenni di neoliberalismo hanno portato a quella che è stata definita precarietà, e alla crescita di quel settore della società definito precariato. Quantomeno nelle nazioni occidentali, questo mega-trend politico ed economico, cominciato nei primi anni 80, ha prodotto una crescente diseguaglianza intergenerazionale, una grave erosione della sicurezza sul lavoro per i giovani, il trasferimento di ricchezza dalle giovani alle vecchie generazioni, ridotte prospettive di possedere una casa, a cui si aggiunge l’insulto della crisi degli affitti, e un aumento del debito studentesco. Le forze economiche risultato del neoliberalismo sono pesantemente implicate nel danno causato alla salute mentale e al benessere dei giovani».

Maledetto 2007

Sembra più un manifesto politico che un articolo scientifico, ma gli studiosi hanno le idee chiare: la crisi della salute mentale dei giovani è provocata dal peggioramento delle loro condizioni materiali e non dal diffondersi dei social e dei telefonini, come dimostrano decine e decine di ricerche sul campo.

D’altronde, era facile confondersi. Negli Usa e nel resto del mondo i casi di ansia e di depressione e i suicidi tra i giovani hanno cominciato ad aumentare a partire dagli anni 2007-2008: ma proprio nel 2007 la Apple lanciò il primo Iphone, che poi diede il via alla diffusione planetaria degli smartphone, e contemporaneamente esplose la catastrofica crisi finanziaria che dagli Stati Uniti si è propagata in tutto il resto del mondo provocando una recessione e un calo dei salari globale, dai quali non ci siamo ancora ripresi del tutto.

«Noi scienziati studiamo le correlazioni, cioè come varia un fenomeno in relazione ad un altro. E abbiamo visto che il peggioramento delle condizioni economiche preoccupa e mette in ansia i genitori e di conseguenza anche i nostri figli. I nostri figli sono la prima generazione che dopo decenni di crescita inarrestabile si aspetta di avere un salario inferiore a quello dei genitori, e questo è fonte di ansia e depressione», mi spiega Odgers.

La pressione accademica

«Invece, i telefonini e i social possono avere effetti variabili. Qualcuno può commentare negativamente una mia foto e io posso convincermi che non sono bella come quella influencer: questo può avere effetti negativi, ma non c’è nessuno studio che dimostri che questo provoca il malessere dei giovani. Invece sui social posso incontrare altri amici e capire che non sono solo, oppure online posso ascoltare i Beatles e leggere tutto Shakespeare, e questi sono effetti positivi».

Tornando all’articolo della Commissione di Lancet Psychiatry, gli scienziati hanno identificato altri due fattori che causano il malessere mentale dei giovani: «Un trend che i giovani frequentemente riferiscono come fonte di disagio psicologico è la pressione accademica», perché temono che se non ottengono voti alti saranno destinati «a una vita di precarietà e marginalizzazione».

Infine, «il cambiamento climatico è una preoccupazione esistenziale sostanziale per i giovani».I nostri figli stanno male? No, non è colpa dei social.

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