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Fra le novità del nuovo anno sono arrivati anche i nuovi limiti al fumo nei luoghi pubblici, anche all’aperto, entrati in vigore a Milano. Con il 2025 infatti è scattata la normativa approvata nel 2021 nell’ambito del regolamento comunale sulla qualità dell’aria. Il provvedimento ha fatto discutere ben oltre i confini del capoluogo lombardo, la notizia è stata ripresa dai giornali di mezzo mondo ed ora chi è interessato alle politiche di salute pubblica guarda al “modello Milano” con grande attenzione.
CHE COSA PREVEDONO I NUOVI DIVIETI
Dal 1° gennaio 2025 nella città di Milano il divieto di fumo è esteso «a tutte le aree pubbliche o ad uso pubblico all’aperto, incluse vie e strade, ad eccezione quindi delle aree isolate in cui è possibile rispettare la distanza di 10 metri da altre persone». Riguarda « i prodotti del tabacco, mentre è ammesso l’utilizzo di sigarette elettroniche (e-cig)». Il nuovo limite era stato previsto dal Regolamento per la Qualità dell’Aria approvato dal Consiglio Comunale nel 2020. Già dal 2021 era scattato il divieto di fumare in alcune aree all’aperto come le fermate dei mezzi pubblici, i parchi e le aree verdi, comprese aree cani e parchi giochi, i cimiteri e le strutture sportive.
CHE DIFFERENZA CON IL RESTO D’ITALIA?
A livello nazionale le normative vietano il fumo nei luoghi pubblici al chiuso (come stabilito dalla legge n. 3 del 2003, più nota come legge Sirchia, di cui a gennaio ricorre il ventennale dell’entrata in vigore). La norma a “Tutela della salute dei non fumatori” estende il divieto di fumo a tutti i locali chiusi ad eccezione dei locali per fumatori e degli ambiti strettamente privati (le abitazioni civili). Dal 2016, poi, l’Italia ha recepito la Direttiva europea sul fumo e ha stabilito il
- divieto di fumo in autoveicoli in presenza di minori e donne in gravidanza
- divieto di fumo nelle pertinenze esterne degli ospedali e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) pediatrici, nonché nelle pertinenze esterne dei singoli reparti pediatrici, ginecologici, di ostetricia e neonatologia.
A CHE COSA SERVE
A che cosa e soprattutto a chi serve limitare la possibilità di fumare in alcuni luoghi, anche all’aperto? Il Comune di Milano ha motivato la decisione con obiettivi molto chiari:
- migliorare la qualità dell’aria, ovvero «contribuire a ridurre il PM10, ossia le particelle inquinanti nocive per i polmoni, a tutela della salute dei cittadini e delle cittadine». Secondo i dati Arpa Lombardia il fumo di sigaretta è responsabile del 7 per cento delle emissioni di polveri sottili.
- proteggere le persone dal fumo passivo «nei luoghi pubblici, frequentati anche dai più piccoli»
- sensibilizzare e «scoraggiare stili di vita che sappiamo essere dannosi per la salute di tutte le persone, non solo dei fumatori».
UN OBIETTIVO CONSOLIDATO
Chi lo dice che applicare dei limiti alla possibilità di fumare tabacco è una misura utile a raggiungere questi obiettivi di salute pubblica e individuale? Di certo non solo il Comune di Milano. Già nel 2016 il Comitato nazionale di bioetica auspicava l’estensione dei divieti di fumo ad alcuni luoghi all’aperto. Nel 2021 un disegno di legge bipartisan presentato dal senatore Giuseppe Auddino e sostenuto anche da Fondazione Veronesi proponeva di estendere il divieto di fumo di sigarette a combustione, a tabacco riscaldato ed elettroniche alle aree esterne degli ospedali, dei bar e ristoranti, alle spiagge, ai parchi e aree gioco, monumenti pubblici, impianti sportivi, stazioni e fermate dei mezzi di trasporto. Ma si arenò con la fine della legislatura.
Nel dicembre 2024 il Consiglio d’Europa ha aggiornato le Raccomandazioni sugli ambienti liberi dal fumo, accogliendo la proposta della Commissione Europea di estendere le misure per limitare fumo e svapo alle principali aree all’aperto, per proteggere meglio i cittadini europei, in particolar modo bambini, giovani e persone vulnerabili («ad esempio cittadini con malattie croniche o altre patologie preesistenti, e donne in gravidanza»). Le zone outdoor libere dal fumo, sottolinea la Commissione, dovrebbero includere i luoghi frequentati da bambini, come parco giochi, parchi divertimento, piscine, aree nelle vicinanze di strutture sanitarie o scolastiche, edifici pubblici, fermate dei mezzi pubblici e stazioni. Ma non solo. L’Europa raccomanda anche di includere nelle normative i prodotti emergenti come riscaldatori di tabacco e sigarette elettroniche, sempre più diffusi fra giovani e giovanissimi e indicati anche dall’OMS come prodotti contenenti quantità variabili di «nicotina e altre sostanze tossiche dannose sia per gli utenti che per i non utenti esposti agli aerosol di seconda mano».
Sempre in Europa (dove – vale la pena ricordarlo – si stima che il 27% di tutti casi di cancro siano legati al fumo) è stato presentato e sottoscritto dagli stati membri un piano strategico per contrastare i tumori (Europe’s Beating Cancer Plan), in cui ci si pone l’obiettivo di scendere al di sotto del 5 per cento dei fumatori entro il 2040. Siamo nel 2025 e fuma circa un quarto della popolazione del vecchio continente.
CHE COSA ACCADE NEGLI ALTRI PAESI?
In diversi Paesi europei sono state implementate norme che limitano il fumo nei luoghi di cura, anche negli spazi all’aperto, e nei luoghi frequentati dai bambini, le aree gioco soprattutto. Nel 2021 un’indagine sui parchi giochi di 11 paesi europei ha riscontrato che nel 41 per cento dei parchi era presente nicotina nell’aria, più alta nelle aree più deprivate; nel 20 per cento dei parchi c’era gente che fumava e nel 57 per cento c’erano mozziconi a vista.
Nel Regno Unito col Tobacco and Vape Bill si sta discutendo il divieto nelle aree vicine alle scuole e nei parco giochi. I club sportivi hanno spesso tracciato una linea virtuosa, come accaduto in Spagna e nei Paesi Bassi, dove nel 2020 un quarto dei club di hockey su prato, tennis o calcio prevedeva spazi smoke-free.
Molte località di mare hanno implementato divieti di fumo all’aperto sulle spiagge (come Bibione, che in Italia è stata ha fatto da apripista, o Barcellona, in Spagna), altrove se ne discute (Portogallo) o si sono protette le aree verdi e boschive. Secondo gli autori di un recente editoriale pubblicato sulla rivista Tobacco Prevention and Cessation (Recommendations from the 2nd Joint Action on Tobacco Control), in generale «tali divieti favoriscono comportamenti più sani, proteggono gli spazi naturali dai mozziconi di sigaretta tossici per suolo e acqua e riducono il rischio di incendi accidentali».
In Svezia non si fuma fuori degli edifice pubblici, nelle aree di attesa dei trasporti pubblici, nei dehors di ristorante e bar, nei parchi giochi, negli impianti sportivi all’aperto. A Parigi non si fuma in oltre 70 parchi e giardini. In Messico da alcuni anni è vietato fumare nei luoghi pubblici, comprese spiagge e parchi. In Australia lo stato del Queensland ha esteso i divieti a parchi giochi, piscine e campeggi. A New York dal 2003 non si fuma in nessun parco, passerella, spiaggia, centro ricreativo, piscina o area pedonale. In California non si fuma in spiaggia e vicino agli edifici pubblici. In varie città giapponesi, compresa Tokyo, non si può accendere una sigaretta per strada. A Singapore i limiti in vigore da alcuni anni hanno dato effetti misurabili sulla salute degli anziani.
IL MEDICO: “ECCO PERCHÉ É UNA BUONA DECISIONE”
Abbiamo chiesto un commento a Roberto Boffi, responsabile della Pneumologia dell’Istituto nazionale dei Tumori di Milano e componente del Comitato scientifico per la lotta al fumo di Fondazione Veronesi. Che saluta con favore la decisione del Comune di Milano: «Fa discutere, c’è anche un prevedibile sarcasmo – “dottore, vado in giro col metro?” – ma la realtà è che era ora».
Restiamo alla faccenda delle misure: perché dieci metri come limite per non fumare vicino agli altri? «Perché lo dicono i dati. Vero è che il fumo può essere una componente minoritaria dell’inquinamento dell’aria, ma a meno di 10 metri può essere dannoso, anche all’aperto. Anche nei nostri studi condotti negli stabilimenti balneari di Bibione, abbiamo visto che 4-5 metri non bastano per non essere esposti al fumo passivo del vicino di ombrellone. Analizzando ciò che accade nei cosiddetti “canyons urbani”, come le vie strette di città con locali, patios e dehors dove le persone fumano ed è impossibile mantenere la distanza di 10 metri, abbiamo misurato la qualità dell’aria e abbiamo visto che chi sta lì si espone a picchi alti di particolato, rischiosi per i soggetti più sensibili, come bambini, anziani, donne incinte. Qualche anno fa a Copenhagen, in occasione di un congresso di pneumologia, con lo stesso sistema di misurazione del particolato abbiamo appurato che il posto più inquinato dopo i locali dove si poteva ancora fumare era la pensilina all’ingresso della sede congressuale, sotto cui si radunavano a fumare i partecipanti».
EDUCARE O VIETARE?
Che cosa pensa di chi sostiene che educare è meglio di vietare? «Penso che una cosa non esclude l’altra, anzi – conclude Boffi -. Certo, una volta stabilite delle norme bisogna farle rispettare, servono investimenti in ricerca e prevenzione, e un piano strategico: bisognerà tenere in considerazione anche il fumo elettronico e riscaldatori di tabacco, altrimenti si finisce per incentivare un consumo alternativo di nicotina. Ma Milano, che fra l’altro può contare su tante realtà di ricerca e informazione di eccellenza, sta diventando un esempio a cui il mondo guarda. Di che cosa abbiamo paura?».
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