Omicidio di Pontirolo, prima della sparatoria la lite, i pugni e la coltellata. Il gip: «Ricerca di vendetta per la figlia picchiata»

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di
Fabio Paravisi

Al mattino tra le due famiglie era finita con una stretta di mano. Poi Roberto Guerrisi è tornato due volte, la terza con i rinforzi e Rocco Modaffari gli ha sparato. Il giudice:«Pericoloso, ha colpito alle spalle, deve rimanere in carcere»

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Da una parte c’era un uomo alla «ricerca di una vendetta violenta» che sferra pugni e coltellate. Dall’altra una persona che da una «posizione sicura» grazie alla cancellata dietro la quale si trovava, dopo essersi presentato con un coltello e una pistola, alla fine esplode due colpi contro un uomo che se ne sta andando, uccidendolo. È la ricostruzione di ciò che è avvenuto una settimana fa davanti al cancello della ditta «Db Car» di Pontirolo, dove è stato ucciso Roberto Guerrisi (azienda che è stata dissequestrata venerdì 3 gennaio), secondo l’ordinanza con la quale il gip Stefano Storto, al termine dell’interrogatorio in carcere di martedì, ha rigettato la convalida del fermo ma ha applicato la misura cautelare in carcere nei confronti di Rocco Modaffari, 58 anni, originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Reggio Calabria) e residente a Pontirolo, accusato di avere commesso il delitto.

Le botte del fidanzato alla figlia della vittima

Simona Guerrisi, 19 anni, cameriera, figlia della vittima, aveva una storia con Luigi Bonfiglio, 22 anni, figlio del titolare dell’azienda. Venerdì sera i due litigano, i vicini chiamano i carabinieri che trovano la ragazza tumefatta e raccolgono la sua denuncia: racconta di essere stata picchiata dal ragazzo. Questo scatena la furia del padre.




















































I due tentativi e la stretta di mano

Sabato Guerrisi, secondo la ricostruzione, si presenta due volte alla «Db Car», «dichiaratamente alla ricerca di vendetta violenta per l’offesa ricevuta dalla figlia». Arriva una prima volta la mattina e cerca Luigi e il padre Domenico ma trova solo Modaffari, il quale spiega che l’incontro si conclude con una «civile stretta di mano». Alle 14 Guerrisi entra in auto nel piazzale, trova padre e figlio, Modaffari e il fidanzato senegalese di una seconda figlia di Bonfiglio: «Gli animi già accesi per la veemenza di Guerrisi — scrive il giudice — si infiammano» quando l’uomo sferra un pugno a Domenico Bonfiglio. Ne nasce una zuffa che culmina con una coltellata che Guerrisi sferra alla spalla del senegalese «mentre si trovava accerchiato dagli altri contro la propria autovettura».

La vittima torna con i rinforzi 

Guerrisi se ne va solo per tornare mezz’ora dopo in forze, portandosi dietro sette parenti su due auto. Trova però chiusi il cancello della ditta (costituito da una lastra metallica) e il cancellino pedonale (che ha le sbarre). Ciò che succede a questo punto è ripreso dalla decina di telecamere che presidiano il piazzale della «Db Car». La prima ad avvicinarsi al cancello è la moglie di Modaffari (e sorella di Domenico Bonfiglio). Viene poi raggiunta da Modaffari che stringe già la pistola nella mano destra, e poi dai due Bonfiglio. Modaffari si tiene allora in disparte, ma lo si vede impugnare un coltello, che nasconde dietro la schiena. Tra i due gruppi si svolge una discussione fra un lato e l’altro dei due cancelli, che restano sempre chiusi.

La discussione poi gli spari

La sparatoria avviene alla fine della discussione, «quando l’acredine degli animi di stava stemperando». Tanto che secondo Salvatore Guerrisi, zio della vittima, lui e Luigi Bonfiglio si scambiano «una stretta di mano con intento riconciliativo». Mentre Roberto Guerrisi «verosimilmente si stava allontanando, nelle immagini delle telecamere compare Modaffari, che, tenendo la pistola nella destra, alza la mano ad altezza d’uomo ed esplode due colpi». Un proiettile colpisce Roberto Guerrisi provocando le ferite che lo porteranno alla morte nel giro di pochi istanti, l’altro ferisce leggermente al gomito sinistro suo fratello.

La pistola nascosta

L’arma viene avvolta in un panno e nascosta nella centralina elettrica dietro la ditta. La troveranno lunedì i carabinieri di Treviglio grazie a un cane specializzato nella ricerca di esplosivi. Si tratta di una Beretta calibro 6.35 con altre otto cartucce nel serbatoio, illegalmente detenuta e con matricola abrasa, cosa che la trasforma in arma clandestina. Modaffari dice di averla «ricevuta» e che la custodiva «per ragioni di sicurezza personale e familiare».

Lo zio del ragazzo in carcere

Al termine dell’interrogatorio Il giudice ha deciso che Modaffari resti in carcere «in ragione della intrinseca gravità della condotta delittuosa» caratterizzata dall’esplosione dei due colpi «da posizione sicura (visto che era protetto dalla cancellata)» contro una persona che «si stava allontanando o comunque era di spalle». Ma la stessa «personalità dell’indagato è allarmante», dato che di fronte alla ricerca di vendetta di Guerrisi, «non faceva ricorso all’autorità ma si affidava alla propria arma»; e quando decideva di armarsi «lo faceva in modo clandestino». Storto ha quindi deciso di tenerlo in carcere, con i domiciliari esclusi anche per «la mancanza di un luogo idoneo, necessariamente assai lontano dal luogo del fatto e non avendo i familiari manifestato la propria disponibilità ad accoglierlo».

L’autopsia: un colpo al volto uscito dalla spalla

Intanto venerdì mattina al Papa Giovanni si è svolta l’autopsia sulla vittima. Il medico legale ha accertato un colpo al volto uscito dalla spalla sinistra causando un’emorragia che ha provocato la morte.

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