Perché il declino dell’auto in Italia non è colpa del green

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Altro che responsabilità della transizione ecologica. Nel nostro Paese il settore crolla per mancanza di una politica industriale. Il prezzo medio delle macchine è schizzato del 58 per cento dal 2011 al 2023, ma il potere d’acquisto delle famiglie è sceso del 3 per cento. Altrove il progresso funziona: in Norvegia l’89 per cento delle nuove immatricolazioni è stato sull’elettrico. L’Ue discute, la Cina investe, il miope governo Meloni dorme.

Perché il declino dell’auto in Italia non è colpa del green

Il mercato dell’auto in Italia continua a soffrire, ma incolpare il Green deal è una scusa che crolla di fronte ai dati. Nel 2024, con poco più di 1,5 milioni di immatricolazioni, il settore ha registrato un calo del 18,7 per cento rispetto al 2019. Il governo Meloni insiste nel dipingere la transizione ecologica come il colpevole di turno, ignorando che le ragioni di questa crisi sono altrove. La fotografia scattata dall’Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri (Unrae) racconta infatti una storia diversa. Le auto elettriche purissime si sono fermate al 4,2 per cento, mentre le ibride plug-in sono scese al 3,3 per cento. Le mild e full hybrid hanno guadagnato terreno, raggiungendo il 40,2 per cento di quota di mercato. E le tradizionali benzina e diesel? Hanno respinto l’oblio: la categoria benzina è cresciuta dello 0,8 per cento, il diesel è calato del 3,9 per cento. Risultato? Le emissioni medie di CO2 si sono ridotte di un misero 0,3 per cento. Una cifra che suona come una beffa, più che come un progresso.

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Fondo automotive, il governo ha tagliato 4,6 miliardi di euro all’anno

A mancare è una politica industriale. Non sono i regolamenti europei a frenare il mercato, ma il vuoto di strategia. Michele Crisci, presidente dell’Unrae, è lapidario: «La carenza di strumenti incentivanti e infrastrutture adeguate ha frenato lo sviluppo delle tecnologie a zero emissioni». E come potrebbe essere diversamente, se il governo ha de-finanziato il Fondo automotive, tagliando 4,6 miliardi di euro all’anno? Una scelta che non è solo miope, ma deliberatamente distruttiva per un settore che rappresenta una parte significativa del Prodotto interno lordo italiano.

Perché il declino dell'auto in Italia non è colpa del green
Auto elettrica collegata alla ricarica (foto Imagoeconomica).

Il settore ormai si rifugia nei Suv, venduti come beni di lusso

C’è però un altro colpevole più silenzioso, ma letale: il prezzo medio delle auto è schizzato del 58 per cento dal 2011 al 2023, mentre il potere d’acquisto delle famiglie è sceso del 3 per cento. Questo divario è emblematico di una crisi economica più ampia, in cui il lusso diventa l’unica via di sopravvivenza per un’industria incapace di adattarsi. Il settore si rifugia nei Suv, venduti come beni di lusso per salvare i margini, ma lasciando indietro una fetta crescente di consumatori. Non è una crisi del Green deal: è una crisi della disuguaglianza. Una crisi che riflette l’assenza di una redistribuzione equa delle risorse e una politica fiscale inadeguata.

Eppure in Norvegia si immatricolano quasi solo auto elettriche

Intanto altrove la transizione ecologica avanza. La Norvegia — con l’89 per cento delle nuove immatricolazioni in elettrico — dimostra che è possibile cambiare paradigma. L’Italia, invece, si ritrova a inseguire, zavorrata da una politica che guarda al passato. Le infrastrutture di ricarica sono inadeguate, gli incentivi scarsi, e la visione politica inesistente. Fabio Pressi di Motus-E lo ribadisce: «Un ambiente consapevole e aperto all’elettrico aiuterebbe l’industria a rialzarsi, ma servono politiche industriali chiare». Eppure, di questa chiarezza non vi è traccia nei corridoi del potere.

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In Norvegia l’89 per cento delle nuove immatricolazioni è elettrico (foto Imagoeconomica).

La Cina domina le tecnologie per la decarbonizzazione

L’Europa di certo non aiuta. Il “Dialogo strategico sul futuro dell’industria automotive”, previsto per gennaio 2025, arriva troppo tardi. Mentre Bruxelles discute, la Cina investe. Con piani pluriennali e strategie mirate, il gigante asiatico domina le tecnologie per la decarbonizzazione, lasciando l’Europa a rincorrere. L’Italia, però, non corre: resta immobile, inchiodata tra promesse non mantenute e scelte che guardano al passato. Nel frattempo, le multe Ue per il mancato rispetto dei target sulle emissioni potrebbero costare fino a 16 miliardi di euro nel 2025, un macigno che rischia di travolgere la filiera. Un macigno che non è solo economico, ma simbolico: rappresenta il peso delle decisioni mancate.

Serve coraggio e investire in infrastrutture

Il mercato dell’auto non si rilancerà con accuse infondate o nostalgie per un’industria che non esiste più. La transizione ecologica è un’opportunità, non un freno. Serve coraggio: investire in infrastrutture, incentivare l’innovazione, sostenere le famiglie. Questo coraggio manca. La politica preferisce il consenso facile alla pianificazione strategica. Ma senza un cambio di rotta il destino del settore è segnato. La vera rivoluzione è smettere di cercare alibi e iniziare a costruire un futuro che non sia solo sostenibile, bensì equo. E il tempo per agire è adesso.

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Un’auto elettrica cinese (foto Imagoeconomica).

La transizione green? Una necessità ambientale ed economica

La questione non riguarda solo l’industria, ma l’intero sistema economico. Un mercato dell’auto solido è un motore per l’occupazione, per l’innovazione, per la crescita. Lasciare che questo settore si sgretoli sotto il peso di scelte miopi significa accettare un declino che non colpirà solo le case automobilistiche, ma l’intero Paese. Investire nella transizione non è solo un obbligo morale verso l’ambiente: è una necessità economica. Ogni euro speso oggi in infrastrutture e incentivi può generare un ritorno in termini di posti di lavoro e competitività. Ogni giorno perso è un passo verso l’irrilevanza. Se l’Italia vuole davvero recitare un ruolo da protagonista nell’automotive, deve smettere di guardare al passato e iniziare a costruire un futuro. Questo richiede politiche audaci, investimenti mirati e una visione che superi le divisioni ideologiche. Le opportunità ci sono, ma serve il coraggio di coglierle. Perché il futuro dell’auto è già iniziato. E rischiamo di perderlo.



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