Quella “transizione infinita” che caratterizza l’occupazione femminile italiana

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In Italia le donne rappresentano il 64% delle persone inattive nella fascia d’età tra i 15 e i 64 anni. Quelle che lavorano hanno un percorso discontinuo e frammentario, dovuto alle attività di cura familiare, tradizionalmente affidate a loro, e basse retribuzioni. Ciò si traduce in un divario pensionistico di genere. Secondo l’ultimo dato disponibile, nel 2022 le pensioni delle donne italiane erano circa il 30% inferiori a quelle degli uomini, rispetto a una media europea del 26%.

Questi dati sono riportati dall’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, nel “Gender policy report 2024”, pubblicato il 16 dicembre, quest’anno dedicato al tema della “transizione infinita”, riferita alla persistente incompiutezza rispetto agli obiettivi di miglioramento collettivo. L’analisi evidenzia come non si sia ancora affermato in Italia un approccio di genere nelle politiche del lavoro, necessario per ridurre le disparità tra uomini e donne, un obiettivo ora più che mai cruciale per trasformare le attuali sfide (in particolare quella demografica caratterizzata dal calo delle nascite e dall’invecchiamento della popolazione) in opportunità di sviluppo economico e sociale.

I divari nel mercato del lavoro: contratti, retribuzioni e molestie

Nel 2023 il tasso di occupazione femminile nella classe di età attiva si attestava al 52,5%, rimanendo inferiore di 18 punti rispetto a quello maschile (70%). Nonostante un aumento di 1,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente, il dato rimane distante dall’obiettivo europeo del 60% e inferiore di dieci punti rispetto alla media Ue. Nel primo semestre del 2024, meno della metà delle 4,3 milioni circa di nuove assunzioni (42%) ha riguardato le donne.

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Tra le tipologie contrattuali prevale il tempo determinato, che coinvolge il 40,4% delle donne rispetto al 45,5% degli uomini. Il tempo indeterminato interessa solo il 13,5% delle lavoratrici, contro il 18,3% dei lavoratori, una quota inferiore persino ai contratti stagionali femminili (17,6%). Il part-time coinvolge quasi la metà delle donne occupate (49,2%), spesso per necessità e non per scelta, rispetto al 27,3% degli uomini. Nei contratti a termine femminili, la quota di part-time sale al 64,5%, contro il 33% maschile. Queste caratteristiche dell’occupazione femminile comportano per le donne un’incidenza del lavoro a bassa paga tre volte più alta (18,5%) rispetto a quella degli uomini (6,4%). Maggiormente penalizzate le donne nel Sud dove l’incidenza del lavoro povero è del 20,5% tra le part-time e del 7% tra quelle full-time. Persino le laureate full-time affrontano retribuzioni ridotte registrando un’incidenza del 20,7%.

Le lavoratrici con un background migratorio mostrano un tasso di occupazione inferiore rispetto alle donne native (48,7%) e percepiscono salari più bassi a parità di qualifica e mansione, sia rispetto agli uomini che alle italiane.

Infine, il fenomeno delle molestie di genere nei luoghi di lavoro rimane rilevante. L’Inapp evidenzia che l’80% delle vittime è costituito da donne, soprattutto giovani, con contratti precari, impiegate in settori a prevalenza maschile o con livelli di istruzione più elevati. Questo problema, strettamente connesso a squilibri salariali e culturali, rappresenta una delle forme più diffuse di violenza di genere.

Aumentare i servizi per la cura e sensibilizzare sulla condivisione delle responsabilità

Mentre per gli uomini la principale causa di inattività è lo studio o la formazione, per le donne è il lavoro di cura. Soprattutto tra i 25-34 anni di età: in questa fascia il 43,7% delle donne non lavora per questo motivo, contro appena il 4% degli uomini.

L’analisi sull’utilizzo del congedo parentale, ossia il diritto dei genitori di astenersi dal lavoro temporaneamente per dedicarsi alla cura dei figli nei loro primi anni di vita, rivela che nell’ultimo decennio le richieste da parte delle madri coprono oltre l’80% del volume totale (dati Inps 2024). Dal sondaggio Inapp 2022 emerge che circa 6 donne su dieci che dichiarano di averne usufruito lo hanno preso esclusivamente. Per quanto riguarda gli uomini solo poco meno del 5% lo ha preso esclusivamente, il resto dichiara di averlo condiviso con la partner (27,8%) o l’ha preso la partner (68%). Sebbene il congedo impatti positivamente sul reddito familiare, mantenendo le donne occupate, copre parzialmente la retribuzione determinando un gender pay gap “grezzo”, cioè senza tener conto delle tipologie di contratto, settore e professione, stimato in 5mila euro.

Rafforzare le politiche per la parità di genere e adottare le direttive Ue  

Nel mercato del lavoro italiano le disparità tra uomini e donne appaiono persistenti, ma non mancano le politiche per contrastarle. Nel 2021 l’Italia ha introdotto il bilancio di genere a livello nazionale, che mira ad analizzare l’impatto di genere delle politiche pubbliche e delle risorse finanziarie per promuovere maggiore equità e inclusione. Per rendere questo strumento più efficace, l’Inapp raccomanda una più stretta collaborazione tra le parti attraverso un tavolo di confronto istituzionale, un incremento delle attività di monitoraggio e valutazione degli interventi, una maggiore disponibilità di dati aggiornati e serie storiche dettagliate per genere, soprattutto in ambiti cruciali come il sistema previdenziale e i flussi migratori.

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Un segnale incoraggiante arriva dalla certificazione di genere. A poco più di due anni dall’introduzione di questo riconoscimento formale, circa 5mila aziende hanno già implementato politiche e pratiche volte a garantire la parità di trattamento e di opportunità tra uomini e donne in tutti gli aspetti della vita lavorativa, dalla retribuzione alla conciliazione vita-lavoro.

L’analisi, infine, ricorda l’impegno dei Paesi Ue a concretizzare l’equità tra uomini e donne con l’adozione di tre direttive europee entro il 2026. Le direttive 1499 e 1500 del 2024 mirano a migliorare l’efficacia degli Organismi per la parità di genere, stabilendo i requisiti minimi a livello europeo per diversi aspetti tra cui le competenze e l’obbligo di indipendenza e dotazione di risorse umane e finanziarie. Infine, la direttiva 970 del 2023 si concentra sul consolidamento del principio di parità retributiva tra uomini e donne per lavori di pari valore; prevede il diritto dei lavoratori di accedere alle informazioni sui criteri utilizzati per determinare le retribuzioni, sostegno legale alle vittime di discriminazioni, nonché chiarimenti sul concetto di lavoro di “pari valore”.

Leggi il Gender policy report 2024

di Antonella Zisa 

 

Fonte copertina: CoWomen, pexels



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