La stilista Rosy Garbo: «Moda banale, usa e getta. Oggi tutti indossano tutto, si sono persi gusto e stile»

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di
Michela Nicolussi Moro

Lavora da oltre 30 anni nel suo atelier di Padova: tra le clienti Elisabetta Casellati, Stefania Sandrelli, Katia Ricciarelli, Mara Venier, Lorenza Mario

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Rosy Garbo, stilista veneziana, è nell’alta moda da oltre trent’anni, con creazioni «Made in Italy» prodotte nell’atelier di Padova. I tessuti provengono da industrie italiane, ricami e applicazioni sono realizzati a mano. Tra le sue clienti il ministro Elisabetta Casellati, Stefania Sandrelli, Katia Ricciarelli, Mara Venier, Lorenza Mario, Sabrina Salerno. Delle ultime «tendenze moda» tra i consumatori dice: «Oggi tutti si mettono tutto: donne alte, basse, magre o un po’ più formose, ragazze e signore si vestono uguali, con la scusa che qualsiasi cosa fa moda. E così non c’è più vestibilità. Un abito dev’essere appropriato alla fisicità ma anche al carattere e alla personalità di chi lo indossa».

Dato il periodo storico ed economico, è una moda al risparmio?
«Si compra con la formula dell’usa e getta, sempre e solo per apparire e non per ben figurare, come un tempo. Si sta costruendo una tendenza moda o per giovanissimi o per persone avanti con l’età, non c’è più stile. Si punta su capi che possano indossare tutti: giacche molto lunghe, pantaloni o strettissimi o troppo larghi. In giro non c’è più qualità».




















































Qual è la sua filosofia?
«Il contrario dell’usa e getta. Io vorrei che una cliente potesse tenere una mia giacca tutta la vita, perché se c’è qualità un capo continua ad andare bene a tutte le età».

Insomma vale sempre l’antica aria «chi più spende meno spende»?
«Ma sì, anche perché mi devono dire come faremo a smaltire tutto l’acetilene alla base degli abiti di plastica in voga oggi, soprattutto con la diffusione delle paillettes. Sono di plastica, è più facile ricorrere a questo materiale: se le faccio io, invece, all’interno inserisco risvoltini di seta, che non grattano la pelle. Ma i giovani non fanno caso a queste accortezze».

Cos’altro non le piace di questa moda «trasandata»?
«Abbinamenti improbabili, scarpe che pesano un quintale o vanno bene per andare in montagna e poi troppe scollature e gambe di fuori, per risparmiare stoffa. Gonne e short sono sempre più corti, ma non tutte possono permetterseli. Oppure si cade nell’estremo opposto, con gonne lunghissime, che però se mal costruite conferiscono subito un’aria sciatta. È una moda banale».

Ma accessibile.
«Guardi, anche un abitino semplice o perfino banale può diventare speciale con un ricamo al punto giusto, un mezzo mantello, un accessorio indovinato. Se hai buon gusto e opti per uno stile pulito, un capo economico si trasforma in qualcosa di interessante. Il vero nodo sta nel fatto che ormai non ci sono più laboratori, sono stati tutti chiusi perché costano, il personale è andato in pensione e non c’è ricambio generazionale. I giovani non vogliono fare i sarti, non c’è più passione. Oggi resistono i laboratori dei cinesi, che hanno una buona mano ma non ancora la nostra preparazione in fatto di moda».

La qualità costa anche a voi stilisti?
«Sì, ho molte spese, compro i tessuti solo dai migliori rivenditori e lane, sete e cachemire sono molto aumentati. Ma la soddisfazione e la gratitudine delle clienti mi gratificano e mi esortano ad andare avanti. La qualità e il modo di presentarti pagano sempre. In questo momento però la gente vuole il bello senza spendere».

L’abito fa ancora il monaco?
«Certo, oggi più che mai. Quando vedi una ragazza con un bel cappottino e una sciarpa elegante ti giri a guardarla. Ma se ne incontri una che indossa una giacca enorme e pantaloni ancora più larghi ti può venire in mente solo un pagliaccio. Per fare vestiti ci vogliono fantasia, passione e tante attenzioni».

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Il pericolo è che si formi una generazione priva di gusto?
«Sì se i giovani si abituano a mettersi tutto senza chiedersi: ma sto bene vestito così?».

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