le divisioni lacerano Siria e Iraq

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito personale

Delibera veloce

 


Le proteste di cristiani e alawiti, gli scontri tra i sunniti filoturchi dell’Esercito nazionale siriano con le forze curde, in Siria, ma anche le mai sopite tensioni che, come una faglia sempre attiva , scuotono l’Iraq, ancora alle prese con le conseguenze di lungo periodo dell’invasione americana. Vicende che riportano nel cuore del puzzle mediorientale la questione del comunitarismo etnoconfessionale.

Elemento spesso lasciato ai margini nelle analisi di quei paesi, a favore del profilo dei leader, la natura dei gruppi e dei regimi, le alleanze internazionali. Aspetti imprescindibili, questi, ma che non esauriscono la complessità locale. Tanto più quando di tratta della Mezzaluna fertile, non solo uno spazio geopolitico ma un mosaico religioso e etnico che l’ipertrofia politica non riesce a semplificare.

Partiti regime 

Nel nuovo secolo, Siria e Iraq sono stati segnati, oltre che da guerre civili e interventi militari esterni, dal radicalismo jihadista e dalla caduta di autocrati di lunga data. Instabilità che ha origini lontane. Tra le cause un importante fattore interno: la crisi di rappresentanza dei due partiti-regime Ba’th che hanno a lungo dominato i due paesi.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

Partiti-regime che, prima di essere trasformati in partiti personali a base monocomunitaria dai suoi leader forti, Afez Assad in Siria e Saddam Hussein in Iraq, avevano un ruolo di contenitori plurali. Tutte le comunità confessionali o etniche (sunniti, sciiti, alawiti, curdi), oltre che un certo grado di diversa sensibilità politica, vi erano rappresentate. Un percorso che si interrompe negli anni Settanta.

A dimostrazione che in Medio Oriente è sempre difficile separare passato e presente, va ricordato che a far deflagrare la crisi di quel modello politico mesopotamico è l’onda lunga della Guerra dei Sei giorni che, sotto i pesanti colpi di maglio inferti da Israele a Siria, Iraq e Egitto nel giugno 1967, manda in frantumi il nazionalismo panarabista. Il crollo di quella transnazionale utopia politica – ispirata da un ideologo come il cristiano siriano Michel Aflaq, che in quella dottrina vedeva anche la possibilità di contrastare eventuali derive religiose in chiave islamica –, produce, tra gli altri effetti, l’ascesa di leader politici come Saddam in Iraq e Assad padre in Siria che, senza troppe nostalgie, prendono atto della fallimentare fine di ogni ipotesi destinata a andare oltre gli stati nazionali esistenti.

Al contempo, quei leader si impadroniscono dei loro partiti ancorando il loro potere alle originarie appartenenze confessionali, clanico-tribali, situazionali: i sunniti e il clan di Tikrit per Saddam, gli alawiti e il gruppo degli ufficiali della scuola militare di Aleppo per Assad.

Le nuove satrapie che, a partire dagli anni Settanta, governano Siria e Iraq fanno così venir meno il Ba’th nella connotazione originaria: quella che vedeva nel partito intercomunitario il superamento dei mai tramontati asabiyya, i vincoli originari etnici e religiosi che caratterizzano storicamente quelle società. Con il sequestro, al fine della conservazione del potere personale del leader, del Ba’th siriano e iracheno, trasformati in obbedienti e repressivi strumenti del regime, viene meno il contenitore capace di rappresentare, e mediare, i molteplici interessi dei gruppi etnoconfessionali della Mezzaluna fertile.

Il ruolo delle minoranze 

Prospettiva che comporta un inevitabile corollario: quando crolla il leader che impersona quel regime, cade in disgrazia anche il gruppo confessionale che con quel potere si identifica. È successo con Saddam Hussein e i sunniti in Iraq, potrebbe accadere ora agli alawiti in Siria dopo la caduta di Bashar Assad. Situazione complicata dal fatto che le due comunità sui quali il potere di quei leader si è retto sono minoranze.

Infatti, sino alla caduta di Saddam, nel 2003, l’Iraq era un paese a maggioranza sciita dominato politicamente dalla minoranza sunnita. Sino al dicembre 2024, la Siria è stato un paese a maggioranza sunnita guidato dalla minoranza alawita, setta più vicina agli sciiti per affinità confessionale. Quanto alla minoranza delle minoranze, quella cristiana, in entrambi i paesi la sua stella polare è stata l’autotutela nei confronti del gruppo maggioritario musulmano , optando per una coalizione delle minoranze, finalizzata a preservare il proprio spazio in un contesto islamico.

Così, ai tempi di Saddam, i cristiani in Iraq si sono coalizzati con i sunniti in funzione antisciita, mentre in Siria, almeno sino al 2011, hanno preferito appoggiare gli alawiti in funzione antisunnita. Infine, i curdi, il cui marcatore identitario prevalente è etnonazionale e non religioso, hanno perseguito in entrambi i contesti la via dell’autodeterminazione, divenendo oggetto della dura repressione dei regimi.

Se in Iraq, il dopo Saddam è segnato, con l’iniziale avallo americano, dalla presa di potere dello sciismo a lungo oppresso, dall’indipendenza di fatto dei curdi nel Nord, ma anche dalla rivolta sunnita sfociata, prima nell’appoggio all’Isis poi nella ricerca di nuove forme di riconoscimento politico, nella Siria post-Assad gli assetti comunitari non paiono meno problematici.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Potrà il nuovo potere, espressione del blocco islamista sunnita, che in nome della realpolitik sembra aver rinunciato allo jihadismo globale a favore di un salafismo islamonazionalista, includere le altre minoranze garantendo loro spazio politico oltre che religioso?

La dinamica dell’appartenenza 

Le dinamiche etnoconfessionali che si sono sedimentate nel tempo della repressione e della guerra civile, in Siria come in Iraq, non sono facilmente superabili. Anche perché, nelle fasi acute di conflitto, l’appartenenza a una struttura settaria, o sub-settaria, tende a rafforzarsi.

Sunniti, sciiti, alawiti, curdi, possono essere divisi internamente, nei due paesi, per classe sociale, opinioni politiche, concezione della religione, area geografica, o aver sviluppato buone relazioni con membri di altri gruppi comunitari ma, in condizioni particolari di conflitto, e in assenza di politiche capaci di abbattere le barriere di gruppo, tendono a agire secondo una logica settaria: dunque, in base a fratture di tipo etnico e religioso nel quale il marcatore identitario diventa il principale fattore di coesione o antagonismo comunitario.

Nella polarizzazione conflittuale, favorita dalla catastrofe dei contenitori intercomunitari e dall’assenza di alternative praticabili, ciascuno si appoggia ai “suoi”. Stare lontano dagli “altri” minacciosi diventa la parola d’ordine. Del resto, decenni di repressione, di guerra civile, di potere ostile, hanno scavato un fossato difficilmente superabile. Da qui la fuga nella “cantonalizzazione” confessionale e etnica che, sotto varie forme e circostanze, ha dominato nei due paesi negli ultimi anni. Opzione, che uno stato di matrice islamista come quello auspicato dai nuovi padroni di Damasco, esclude a priori.

© Riproduzione riservata



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link